Bangladesh, l’intesa tra le religioni dopo la visita di Francesco

Nel dicembre scorso Papa Francesco ha visitato il Bangladesh, uno dei Paesi più densamente popolati al mondo: 160 milioni di abitanti su un territorio grande la metà dell’Italia. Un Paese nel quale i cattolici costituiscono una minoranza esigua: meno di 400 mila persone. Vi sono poi protestanti (meno di 300 mila) buddisti (circa 700 mila) e indù (poco meno di otto milioni). La stragrande maggioranza della popolazione professa la fede islamica Nel corso della visita, Francesco presiedette un incontro ecumenico ed interreligioso per la pace cui parteciparono leader musulmani, indù, buddisti e cristiani: le parole pronunciate dal Papa furono un invito a costruire la pace, a vivere non solo «una mera tolleranza» tra le religioni, ma una autentica «apertura del cuore».

 

A quasi sei mesi da quella visita Vatican Insider – per raccontare la convivenza tra cristiani e musulmani – incontra padre Franco Cagnasso: torinese, 74 anni (di cui 20 trascorsi in Bangladesh), missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), vive nella capitale, a Dhaka, dove presta servizio in una parrocchia di periferia, insegna e segue la formazione di un gruppo di giovani in ricerca vocazionale. Fu lui, il 2 dicembre, a dare il benvenuto a papa Francesco a nome di tutti i missionari presenti in Bangladesh.

 

In ordine alla convivenza tra cristiani e musulmani, quali sono state le conseguenze a breve termine della visita di Francesco e quali auspica saranno quelle a lungo termine?  

«La visita del Papa ha avuto una buona copertura da parte dei media e il suo incontro amichevole con i leader delle altre religioni è stato molto apprezzato. Non ho sentito levarsi alcuna voce critica. Al momento, che mi risulti, non sono state avviate iniziative nuove di dialogo su temi specifici, ma certamente Francesco ha gettato un seme: con le sue parole e con il suo stile amichevole ha molto sostenuto e incoraggiato la convivenza pacifica tra fedeli delle diverse religioni: e questo è fondamentale in un Paese che nel corso della sua storia ha vissuto anche stagioni di grande violenza e che in negli ultimi anni è stato ripetutamente colpito dal terrorismo».

 

Come descriverebbe gli attuali rapporti tra cristiani e musulmani?  

«Occorre fare una premessa: in Bangladesh esistono minoranze musulmane radicali, rigide (che si sono diffuse negli ultimi decenni soprattutto a seguito del finanziamento, da parte dell’Arabia Saudita, di decine di migliaia di scuole coraniche di matrice salafita) e minoranze musulmane violente (i due fenomeni non coincidono). Negli ultimi due anni si sono registrati ben 70 episodi di violenze a danno di fedeli di altre religioni, motivati soprattutto da ragioni economiche o politiche. È bene ricordare questo fenomeno per evitare visioni idilliache, non rispettose della reale situazione del Paese. Tuttavia, bisogna sottolineare che quelle rigide e violente sono minoranze, se pure in crescita. Vorrei concentrarmi sulla maggioranza della popolazione, che invece è tollerante, pacifica e accogliente. Per illustrare la situazione menziono un episodio che ritengo emblematico: proprio pochi giorni fa, in occasione dell’incontro formativo con i giovani cattolici che organizzo periodicamente, è venuto a portare la propria testimonianza un mio confratello, fratel Lucio Beninati, che insieme a 75 giovani volontari (di fede diversa) si prende cura dei bambini di strada, piccole vite abbandonate di cui nessuno si occupa. Quel giorno, insieme a fratel Lucio, vi erano quattro volontari: due ragazzi musulmani e due indù, che hanno raccontato con semplicità ed entusiasmo il loro lavoro. Un aspetto mi ha particolarmente colpito: ciascuno dei ragazzi ha descritto l’attività svolta ancorandola ai princìpi della propria religione e facendo riferimenti opportuni e sereni alla religione degli altri. Questo episodio mostra che in Bangladesh è possibile vivere una collaborazione vera e feconda tra persone di fede diversa. L’associazione del mio confratello è un segno eloquente del clima che si può creare in questo Paese».

 

Quali altri segni lei ritiene particolarmente significativi? In quali ambiti si sta rafforzando la collaborazione tra cristiani e musulmani?  

«Nelle diocesi vi sono Commissioni per il dialogo interreligioso che organizzano regolari incontri con rappresentanti delle altre religioni per promuovere la conoscenza reciproca e riflettere insieme su temi decisivi per la coesione sociale. Ho l’impressione che il dialogo interreligioso non sia un tema particolarmente sentito dalla popolazione, ma vi sono iniziative lodevoli sostenute da piccoli gruppi di persone desiderose di conoscersi e offrire un contributo allo sviluppo del Paese. Nella capitale, ad esempio, un gruppo ecumenico organizza ogni anno un pellegrinaggio nei luoghi di culto delle diverse religioni. Nella vita quotidiana non pochi cristiani e musulmani si frequentano, spesso si scambiano inviti e lavorano insieme per il bene del Paese. Molti sono impegnati in associazioni che operano in difesa delle minoranze, dei poveri, dei diritti civili e dei diritti delle donne. Nella nostra Caritas, apprezzata dalla popolazione, prestano servizio anche operatori di fede islamica e lo stesso accade in associazioni o Ong cristiane: lavorano tutti insieme serenamente, con grande spirito di collaborazione. Nelle scuole cattoliche, che si sono guadagnate la fama di realtà educative serie e affidabili, sono accolti studenti di tutte le religioni e tra gli insegnanti non mancano quelli musulmani. Le nostre scuole sono un laboratorio prezioso di educazione al rispetto e alla convivenza pacifica».

 

Pensando al futuro, lei ritiene che le molte forme di collaborazione e di buona intesa tra cristiani e musulmani potranno costituire un argine alla crescita di quelle minoranze rigide di cui parlava? 

«Lo spero e faccio il poco che posso affinché il Bangladesh sia un Paese nel quale sia possibile vivere in pace e in armonia. Dipenderà anche, in certa misura, dall’Arabia Saudita: questo Paese – nel quale di recente sono stati promossi positivi cambiamenti che testimoniano posizioni meno rigide su diversi temi – ha da poco accettato di finanziare in Bangladesh scuole con cui il governo bengalese vuole contrastare il fondamentalismo».

 

Come giudica l’impegno dello Stato nella promozione della serena convivenza tra le diverse comunità religiose?  

«In questo Paese c’è libertà di culto, non sono ostacolate né la pratica religiosa né l’edificazione di nuovi luoghi di culto. Il governo sta sostenendo l’Islam, che è la religione di Stato dal 1988, tuttavia mostra simpatia per i cristiani e più in generale attenzione verso le esigenze delle minoranze religiose. Mi sembra inoltre impegnato a promuovere buone relazioni tra tutti i fedeli e a contrastare sia l’Islam più rigido sia il fondamentalismo violento. Il governo invita sempre i leader religiosi alle cerimonie pubbliche e organizza dibattiti per incoraggiare e diffondere la tolleranza e l’amicizia tra i fedeli. All’università di Dhaka è stato istituito il dipartimento di Scienza delle religioni, con docenti cristiani, musulmani, indù e buddisti. Nelle scuole pubbliche l’ora di religione è obbligatoria e si contempla la possibilità che ogni alunno studi la propria religione. Alcune delle principali ricorrenze delle minoranze religiose (per i cristiani il Natale) sono feste nazionali e nessuno mette in discussione il calendario delle festività. Al Bangladesh piace considerarsi un Paese nel quale si vive in armonia: tolleranza e armonia tra le religioni sono reputati valori positivi».

 

Nel corso degli anni ha costruito legami di amicizia con persone di fede islamica?  

«Sì. Penso che l’amicizia tra persone di fede diversa possa nascere ed essere feconda a condizione che si sia disposti a riconoscere apertamente e lealmente la propria identità religiosa e si sia sostenuti dalla volontà di cercare insieme il bene comune e punti di intesa. Da tempo, nonostante alcuni trasferimenti, faccio parte di piccoli gruppi interreligiosi che si incontrano periodicamente per riflettere insieme e ho stretto rapporti di amicizia con diversi musulmani. Ho constatato che esistono molte persone (di fede cristiana e islamica) disposte a cercare una sintesi tra l’interpretazione dei rispettivi testi sacri, la tradizione e la modernità. Noi cristiani ne parliamo apertamente, i musulmani meno, ma lo sforzo è il medesimo. Con tutte queste persone si dialoga facilmente ed è possibile giungere a intese molto interessanti su temi cardine quali la libertà e il rispetto della persona. Anche questo mi pare sia un segno incoraggiante».

Cristina Ugguccioni –  VaticanInsider

22 Maggio 2018 | 19:00
Tempo di lettura: ca. 5 min.
bangladesh (33), cristiani (131), musulmani (43)
Condividere questo articolo!