La vera storia di Suor Sujila Susanna Asakra, l' «Angelo Azzurro» di p. Carlo Buzzi

da http://issuu.com/munda.education.centre.bd – 4 febbraio 2015

Prefazione

Una volta P. Carlo Buzzi, che quest’anno festeggia il 40° di Missione in Bangladesh, mi ha detto quante centinaia di migliaia di chilometri ha percorso con la sua ormai mitica motoleggera. Non ricordo la cifra esatta, ma credo che abbia superato la distanza tra la Terra e la Luna. In data 8 dicembre 2014 mi spiegava per e-mail quale è attualmente il suo programma settimanale di viaggio, ovviamente in moto. In questo suo girovagare missionario, P. Carlo riesce a connettersi ad Internet con molta difficoltà. Credo gli sia del tutto impossibile quando è «su al Nord» tra i suoi bambini. Quando ci riesce, con un telefonino o un portatile, cerca di dare notizie tramite Facebook oppure per e-mail. È riuscito comunque a leggere la mia Lettera aperta «Suewa, 22 January 1999″ che ho messo online lo scorso 1° febbraio, ed è stato tanto gentile da rispondermi, raccontando questa bella storia dell'»Angelo Azzurro». Ha usato il linguaggio telegrafico di chi deve digitare su un portatile prima che gli si scarichi la batteria: mi pare che ciò aggiunga al racconto un tocco personalissimo ed assai piacevole.

Dino Kaka

 

Caro Dino,

il suo vero nome è Sujila Susanna Asakra. Villaggio nativo: Madobpur, Stazione di Polizia Durgapur, Distretto di Netrokona, Parrocchia Ranikong. Famiglia tutta non cristiana. Frequenta la scuoletta di villaggio Cattolica. Se alla domenica scappa nella cappelletta di villaggio per le preghiere e se il papà si accorge, la lascia tutto il giorno senza mangiare. Sono 7 tra fratelli e sorelle. A 12 anni mentre frequenta la scuola della missione si fa battezzare da sola. Dopo l’VIII frequenta una scuola governativa nel capoluogo Durgapur. Organizza con altre ragazze un ostello perché il villaggio è lontano. È qui che organizzando feste per le ricorrenze civili della scuola si distingue nelle danze, portando sempre l’unico sari che possedeva, di color azzurro.

Veniva acclamata «Fata Azzurra o Angelo Azzurro».

Non riusciva bene negli studi. Ha fatto per 3 anni consecutivi gli esami di X senza riuscire. Quasi combinato un matrimonio, ma poi andato in fumo.

Una sua amica era entrata nel gruppo delle suore di Madre Teresa. Si mette in contatto e viene trascinata anche lei nel gruppo delle stesse suore. Ha sofferto moltissimo perché dopo alcuni mesi la sua amica che l’aveva trascinata dentro se ne è uscita non riuscendo a sopportare la vita dura della loro regola.

Il primo stadio è a Calcutta a contatto diretto con Madre Teresa. Lì ha fatto la prima professione con relativo taglio di capelli. Lì ha cambiato anche il nome: Maria Suewa.

Il nome certamente non ha niente di bengalese; probabilmente qualche benefattore o benefattrice di Madre Teresa presente in quel tempo a Calcutta ha influenzato per il nome. Questa persona certamente era di un paese nordeuropeo, forse scandinavo (Danimarca, Svezia, Norvegia?) o forse Olanda. Le sorelle di casa mi hanno detto che è stata in tanti paesi europei prima di recarsi in Sierra Leone: Jugoslavia, Francia, Inghilterra, e molto importante fu il suo soggiorno in Olanda. Là viaggiava in motorino. Un giorno è caduta ed è stata soccorsa e portata in ospedale da un giovane e guarda un po’… è nato un sentimento profondo tra i due. È rimasta parecchio incerta, anche perché avrebbe potuto risolvere i problemi di povertà di casa sua. Ha addirittura scritto a casa per chiedere consiglio. Da casa, anche lì con tante incertezze, alla fine le hanno risposto che lei era partita per diventare suora e la volevano rivedere tornare come suora (veramente miracoloso un pensiero così tra tribali che da buoni cacciatori sono sempre pronti ad afferrare la preda). Il ragazzo era matto per lei, tanto che i genitori sono andati in convento per portare una seria proposta. il Signore le ha dato la forza per rimanere fedele. Cosi in questo stato d’animo dopo alcuni giorni è andata a Roma dove era presente Madre Teresa e nelle sue mani ha emesso la promessa definitiva.

È stato scritto da certe suore un rapporto sugli ultimi giorni di prigionia delle loro consorelle. Il carissimo P. Garello, che voleva fare un suo libro sulla suora, mi ha perso due grosse cartellette con tutti i documenti raccolti nelle mie interviste, compreso anche quel rapporto, se no te ne mandavo una copia.

Un vero calvario più o meno come quello di Gesù Cristo.

La cosa più toccante è che dopo che il ragazzo ha ucciso senza nessun motivo Suor Suewa, il capitano dei ribelli voleva giustiziarlo. Le altre due suore che già erano ferite per la deviazione dei proiettili delle sparatorie precedenti hanno supplicato il capitano di non ucciderlo dicendo: «No, non farlo, abbiamo già visto tanti morti non ne vogliamo vedere altri». Al che un soldato apertamente ha esclamato:

«Veramente questa è la vera religione».

Lei era in Africa a portare il Vangelo e suo papà e sua mamma erano ancora pagani. La mamma poi si è fatta cristiana ed il papà si è fatto cristiano solo in punto di morte. Di questo suor Suewa ha sofferto moltissimo.

Le interviste le raccolsi andando in giro per 10 giorni nei posti frequentati dalla Suora. Poi dopo Natale 1999 nel giro di 15 giorni ho steso il testo e l’ho fatto stampare con la prefazione del Vescovo di Mymensing.

Il 22 gennaio 2000, nel giorno del primo anniversario, ho potuto portare il libro al villaggio nativo, dove il Vescovo con tante altre personalità ha celebrato la Messa. A scriverlo mi ha aiutato un seminarista, Angelo Rozario, che purtroppo è già andato in paradiso perché colpito da malaria e non ben curato. L’ho scritto con lo stile del «Reader’s Digest» per cui lo si legge tutto di un fiato [se si conosce il bengalese, ndr]. Io ho scritto questo libro con rabbia. Lo sai che dopo un martirio di questo tipo nessuno l’ha fatto notare in Bangladesh? Né nella stampa né nelle discussioni. Sono cose che disturbano. Si ferma tutto il Paese «dorato» se c’è il compleanno di qualche vescovo o superiora. Ne riempiono le pagine della rivista cattolica, lisciamenti a tutto spiano. Ma di questo fatto grandioso di cui la chiesa Bengalese dovrebbe essere orgogliosa nessun accenno. Un cristiano è veramente cristiano quanto più si avvicina alla croce di Cristo e non per gli onori ed i lisciamenti. Faglielo capire!

Non ho potuto rivedere il testo e la punteggiatura perché mi sta finendo la batteria del portatile.

Ciao,

 

21 Febbraio 2015 | 18:00
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