Ernesto Borghi

Un uomo di Dio per il presente e il futuro della chiesa e della società

di Ernesto Borghi

Mercoledì 31 agosto è stato ricordato con bella evidenza anche mediatica il quarto anniversario della morte del Cardinale Carlo Maria Martini. Ero quasi sedicenne, quando egli arrivò a Milano e qualche interesse specifico per la lettura della Bibbia avevo sin dalla IV ginnasio al liceo «Berchet». Ovviamente anche grazie al grandissimo biblista Martini tale passione si è molto sviluppata, diventando una delle ragioni essenziali della vita personale e professionale.

E’ banalissimo dire che quest’uomo, da Milano al mondo, ha fatto molto crescere interiormente e socialmente tante persone, vicine a lui e lontanissime da lui, tanto geograficamente quanto culturalmente. La libertà di coscienza, il rifiuto di qualsiasi massificazione religiosa o culturale, l’allergia al movimentismo fatto di ordini di scuderia applicati autoritariamente e ad ogni compromesso tra religione e politica: ecco alcuni dei punti di riferimento fondamentali della sua vita, il tutto immerso in un amore profondo ed appassionato per le Scritture ebraiche e cristiane, per il dialogo interculturale ed interreligioso, per l’essere parte della Chiesa di Gesù Cristo facendo ecumenismo a trecentosessanta gradi…Insomma tutte qualità che l’attuale vescovo di Roma in buona parte condivide.

A Milano, come arcivescovo per 22 anni, Martini avrebbe potuto fare di più? E’ difficile rispondere, considerando che la nomina gli giunse, secondo le sue stesse parole, senza che egli avesse alcuna idea su che cosa volesse dire essere vescovo…Tuttavia, pensando alla sua statura culturale ed accademica, forse avrebbe potuto fare di più, soprattutto da tre punti di vista:

– la scelta e nomina di collaboratori in grado di agire seriamente sia in merito ad ambiti culturalmente essenziali (la diffusione della conoscenza biblica diretta in Diocesi; l’insegnamento di cultura religiosa nelle scuole; il coordinamento dei centri culturali in ordine alla diffusione di una cultura storico-religiosa più rilevante e moderna;

– un deciso impulso affinché la Facoltà Teologica di Milano evitasse autoreferenzialità culturali e scientifiche e nutrisse maggior attenzione verso le esigenze formative del territorio;

– la realizzazione di visite pastorali più incisive e meno «a volo d’uccello»…

Dico questo perché ebbi modo di parlare di questi argomenti con Martini durante i due incontri che avemmo a tu per tu (una quarantina di minuti per volta) in arcivescovado, all’inizio degli anni Novanta, incontri durante i quali egli stesso, tra l’altro, si rammaricava di non essere stato in grado di mettere effettivamente in mano ai giovani la Bibbia…

Comunque, lasciato il ministero episcopale milanese, egli disse cose fondamentali che spesso aveva adombrato da arcivescovo in carica (anzitutto sulla riforma della Chiesa cattolica, per es., nel memorabile discorso a Sant’Ambrogio «Lasciamoci sognare» nel 1996 o nell’intervento al Sinodo sull’Europa nel 1999). Se quello che Silvano Fausti disse prima di morire – cioè che nell’ultimo incontro tra Martini e Ratzinger egli invitò il suo coetaneo tedesco a lasciare il ministero di vescovo di Roma – fosse vero (non abbiamo motivo di dubitarne) e se queste parole martiniane hanno contribuito alla scelta ratzingeriana comunicata l’11 febbraio 2013, esse potrebbero essere state l’ultimo contributo positivo di Martini vivente alla vita della Chiesa.

Carlo Maria Martini è stato un grandissimo dono per cristiani e non cristiani. E il documentario di RAISTORIA trasmesso il 6 settembre scorso lo ha confermato. Quelle immagini e quelle parole, di Martini e di altri, hanno fatto andare la mia mente in varie direzioni.

– Martini era un uomo di studio prestato alla pastorale, Bergoglio è un uomo di grande spessore cultural-esistenziale, ma è un pastore: che egli possa dare concretezza a varie istanze culturali, ecclesiali e sociali martiniane si comprende, credo, al di là della differenza delle epoche – più plumbea e disincantata quella a partire dalle cui difficoltà Bergoglio è divenuto papa – proprio nella diversa impostazione e fisionomia esistenziale dei due.

– Martini, dopo il Conclave che elesse Ratzinger, facendo il confronto tra il suo coetaneo tedesco e un cardinale italiano assai potente durante il pontificato di Giovanni Paolo II, cardinale che era parso profilarsi tra gli eleggibili, a chi gli chiedeva il perché della scelta di Ratzinger, avrebbe detto: «Tra un tradizionalista che ha fede in Gesù Cristo e un tradizionalista che non crede in nulla, abbiamo preferito il primo». Se questo aneddoto fosse verità, la Chiesa e il mondo hanno corso un rischio che è stato evitato e, dopo pochi anni, hanno assistito ad una scelta coraggiosa ed intelligente, quella delle dimissioni di colui che, per es., aveva nominato Tarcisio Bertone come segretario di Stato.

Grazie a Dio attraverso papa Giovanni Paolo II (che sarebbe stato convinto dal Prof. Giuseppe Lazzati a nominarlo arcivescovo a Milano) la Chiesa universale e il mondo hanno conosciuto ad ampio raggio Carlo Maria Martini. Speriamo che la sua determinazione all’ascolto e al dialogo interculturale e la sua straordinaria sensibilità per la Parola di Dio contenuta, senza integralismi e aprendo piste nuove per il bene di tutti, possa trovare in tutti noi interpreti e continuatori non troppo inadeguati, anzi capaci di nuovo coraggio e nuova intelligenza…Sempre tenendo conto di quello che Martini scrisse nel volume «Siamo tutti nella stessa barca», pubblicato nel 2009 con quello «spregiudicato figuro senza pregiudizi» che fu don Luigi Verzé:

«Credo si possa e si debba dare più libero campo all’opinione pubblica, anche nella Chiesa. È necessaria una maggiore, libera discussione senza pensare che tale discussione sia una critica o una contestazione… Non possiamo trasformare i testi della fede cristiana in qualcosa che assomiglia agli oggetti dei musei. Vivere la fede significa anche essere partecipi di una tradizione e rinnovarla senza sosta… La libertà di scelta, priva di costrizioni che non siano semplicemente comandate dalla natura della cosa, come pure la necessità di non imporre dall’alto una verità, un’azione, una fede credo debba sempre essere tenuta presente. Altrimenti si limita l’identità dell’uomo e non si riconosce in lui la creatura speciale di Dio» (pp. 24-25).

 

Carlo Maria Martini, biblista e cardinale (1927 – 2012)
9 Settembre 2016 | 14:24
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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