Ernesto Borghi

Un anno con Martin Lutero

Un anno di approfondimenti, confronti, riflessioni

«Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Attraverso l’ascolto comune della Parola di Dio nelle Scritture, il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, di cui celebriamo il 50° anniversario, ha compiuto passi importanti. Chiediamo al Signore che la sua Parola ci mantenga uniti, perché essa è fonte di nutrimento e di vita; senza la sua ispirazione non possiamo fare nulla. L’esperienza spirituale di Martin Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio. «Come posso avere un Dio misericordioso?». Questa è la domanda che costantemente tormentava Lutero. In effetti, la questione del giusto rapporto con Dio è la questione decisiva della vita. Come è noto, Lutero ha scoperto questo Dio misericordioso nella Buona Novella di Gesù Cristo incarnato, morto e risorto. Con il concetto di «solo per grazia divina» ci viene ricordato che Dio ha sempre l’iniziativa e che precede qualsiasi risposta umana, nel momento stesso in cui cerca di suscitare tale risposta. La dottrina della giustificazione, quindi, esprime l’essenza dell’esistenza umana di fronte a Dio. Gesù intercede per noi come mediatore presso il Padre, e lo prega per l’unità dei suoi discepoli «perché il mondo creda» (Gv 17,21)».

Queste sono alcune delle affermazioni fatte da papa Francesco proprio un anno fa a Lund, in Svezia, cristiani luterani e di altre denominazioni diedero inizio alle celebrazioni in ricordo di un anniversario «complesso»: il quinto centenario della cosiddetta affissione delle 95 tesi redatte da Martin Lutero contro la pratica delle indulgenze. La data – 31 ottobre 1517 – aiuta a riflettere sul contenuto di tali affermazioni, nella consapevolezza che l’affissione di esse non avvenne, che non furono discusse nella sede accademica per la quale erano state predisposte, ma che si diffusero rapidamente in tutta la Germania ed innescarono quel processo che poi, in tre anni, condusse alla scomunica del frate e biblista agostiniano e alla sua veemente presa di distanza dalla Chiesa di Roma e dalle sue autorità.

Durante questo anno abbiamo assistito a fenomeni vari:

  • da un lato, tante manifestazioni pubbliche, nelle più diverse località anzitutto europee e molte pubblicazioni, a livello accademico e divulgativo, che hanno inteso delineare la figura e l’opera di Lutero più come una benedizione per il Vangelo e la Chiesa di Gesù Cristo che una jattura o una tragedia;
  • dall’altro, in misura numericamente molto inferiore, prese di posizione anti-evangeliche, frutto di vieti pregiudizi anti-luterani in una prospettiva anti-ecumenica, spesso, perlomeno in ambito cattolico, rivolte ad attaccare Lutero e la valorizzazione del suo pensiero teologico ed antropologico soprattutto per un altro scopo: prendere posizione contro papa Bergoglio e la sua azione ecumenica senza strabismi di un passato anche recente, quindi rivolta pure verso il mondo luterano e protestante in genere.

Nonostante queste ultime manifestazioni di un’imbarazzante ignoranza culturale e di una triste inconsapevolezza evangelica, l’anno che si conclude oggi è stato assai importante non per «mitizzare» o «santificare» Lutero, ma per dare rilievo e diffusione ampia a dati teologici, antropologici, storici e religiosi in precedenza assai più confinati negli ambiti degli studi e delle riflessioni degli «addetti ai lavori». Vediamo alcuni di questi aspetti.

 

Acquisizioni fondamentali

Leggendo e rileggendo Ab 2,4b («Il giusto secondo la fede vivrà»), Lutero colse il nesso tra l’espressione «giustizia di Dio» e la fede esistenzialmente intesa. Egli ebbe modo di scoprire ulteriormente, testi biblici alla mano (letti nelle lingue originali, ebraico per quelli dell’Antico Testamento, greco per quelli del Nuovo Testamento) che

«la giustizia di Dio non è la giustizia attiva che ricompensa, punisce, si vendica, bensì la giustizia passiva che fa essere giusto l’uomo e così lo rende libero, è giustizia che perdona e consola che ci viene comunicata non sulla base delle nostre opere umane, ma solo per grazia e misericordia di Dio, non in seguito a forme esteriori di pietà come l’indulgenza, ma mediante la fede. In tal modo contro l’esteriorizzazione di allora e in favore di un’interiorizzazione dell’essere cristiani, egli fece valere un’esigenza profondamente mistica…L’istanza di Lutero riguardava il vangelo della gloria e della grazia di Dio. Il vangelo non era per Lutero un libro, non era semplicemente la Bibbia e neppure un codice di dottrine, bensì un messaggio vivo che interpella esistenzialmente la persona, un incoraggiamento e una promessa. Era il messaggio della croce, il solo che dona pace. Per Lutero, nel suo rifiuto della giustizia delle opere, era in gioco tutt’altro che un cristianesimo a buon mercato, a prezzi stracciati…Lutero era così un uomo desideroso di rinnovamento, non un Riformatore. Egli non pensava di diventare il fondatore di una separata chiesa della Riforma. Il suo scopo era il rinnovamento della chiesa cattolica…Egli diceva di voler far risplendere di nuovo la luce del vangelo nel suo nucleo centrale, togliendola dalle tenebre nelle quali era tenuta nascosta. Nonostante tutte le affermazioni, occasionalmente taglienti, questa era un grido di sveglia e un dono dello Spirito santo alla chiesa»[1].

Tutti coloro che si aprono a tale disponibilità divina, non divengono giusti grazie alle loro azioni in quanto tali, perché «la giustificazione, in quanto azione di Dio, non ha bisogno di un intervento da parte dell’uomo, se non la sua libera disponibilità ad accogliere il dono: la fede appunto. E tuttavia le opere germoglieranno dall’uomo proprio in conseguenza di quanto egli ha ricevuto da Dio»[2].

Lutero ha vissuto un’epoca, tra XV e XVI secolo, in cui molti segnali parlavano dell’inizio di una nuova era: la scoperta del nuovo mondo, la fine dell’impero bizantino, la fine della definitiva cacciata dell’Islam dalla Spagna, l’invenzione della stampa, la rivoluzione copernicana nelle scienze della natura. Dal ritorno del papato a Roma, dopo la presenza al Avignone, dunque dalla fine del XIV secolo, erano sempre più evidenti alcuni dati di fatto (sono soltanto alcuni esempi):

  • la formazione del clero era assai poco curata e significativa (pochissimi preti avevano una minima preparazione teologica e conoscevano il latino, pochi risiedevano nelle parrocchie di loro competenza, moltissimi avevano concubine);
  • a Roma si succedevano Papi (si pensi ai pontefici quattrocenteschi e cinquecenteschi delle famiglie Medici, Piccolomini, Borgia) che, per tante ragioni, erano assai lontani dal mettere il Vangelo al centro della vita loro e della loro corte e avevano necessità economiche molto rilevanti per ricostituire il loro Stato e avere delle forze militari a propria disposizione (di qui ogni opportunità di acquisire denaro era utile, a cominciare dalla simonia più sfrenata);
  • la formazione religiosa popolare (per es. la conoscenza della Bibbia) poteva arrivare da «laici» che avevano imparato a memoria le Scritture e così le proponevano.

Solo nel quadro di questa tensione tra Medioevo e Età Moderna e delle tensioni tra istanze di riforma della Chiesa – già presenti almeno dal XIII secolo, da Pietro Valdo e Francesco d’Assisi a John Wycliffe e Ian Hus, a varie figure di vescovi e cardinali quali Contarini e Pole – si può comprendere Lutero.

La Riforma protestante è senz’altro un processo storico molto complesso, ma certamente l’appello di Lutero ad una vita radicalmente battesimale, in cui perseguire un costante cambiamento di mentalità verso il Vangelo di Gesù Cristo non fu accolto nella Roma del tempo. Si rispose con polemiche e condanne che raggiunsero il loro apice nel 1520[3].

La spaccatura che condusse a frammentare la Chiesa di Gesù Cristo anche in Occidente ebbe in questo disinteresse e in queste prese di posizione delle motivazioni molto importanti. Dopo la scomunica del 1521 ad opera di Leone X (il vescovo di Roma che affermò in almeno un’occasione: «Fatemi godere il mio papato») Lutero fu sempre più assillato dall’idea di trovarsi dinanzi all’Anticristo predetto nella seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi[4].

Questa sua coscienza apocalittica, questa persuasione di essere impegnato nella lotta escatologica tra Cristo e l’Anticristo fu un dato che ebbe una grande rilevanza nell’irrigidire le posizioni e le contrapposizioni e nel rendere impossibile qualsiasi mediazione. «Con l’Anticristo non si intrattiene nessun dialogo. A lui si può solo resistere con fermezza. Così il monaco e cattolico, desideroso di riforma, che nel 1517[5], ancora da figlio della chiesa spronava alla riforma e si appellava al Papa, divenne il Riformatore, pur non definendosi tale, che per inaugurare il processo di riforma, ne assunse personalmente la guida, per poi doverla lasciare già presto ad altri»[6].

Lutero fu responsabile di varie scelte anche molto incoerenti rispetto alle sue legittime istanze di ritorno al Vangelo: le violenze incoraggiate contro gli anabattisti e le prese di posizione anti-giudaiche[7] furono certamente delle pagine terribili nell’opera del Riformatore, comprensibili nel quadro storico dell’epoca, ma per nulla giustificabili neppure al suo tempo anzitutto dal punto di vista del Vangelo di Gesù Cristo.

D’altro canto la mancata distinzione, da parte di Lutero, tra la figura del Papa in sé e i terribili abusi anti-evangelici perpetrati dai pontefici della sua epoca fu incoraggiata, a Roma come in Germania, da quanti alle proteste motivate di Lutero opposero soltanto una difesa ad oltranza dell’autorità papale, minimizzando le affermazioni luterane e considerando il suo autore un impertinente da costringere semplicemente alla loro ritrattazione[8].

Cionondimeno se anche la lettura della Bibbia, nel cristianesimo, ha avuto un’importanza via via più notevole, occorre rendere sinceramente grazie anche a questo ostinato, appassionato e complesso figlio della Germania del XV e XVI secolo[9], persona totalmente assorbita

«da un’idea, anzi da un fatto: il cuore stesso del Vangelo di Cristo. La forza di una Parola che compie nell’uomo quello che dice; il dono grande e ineffabile di Dio che si piega sulla propria creatura e la assimila a sé, unendola alla sua stessa vita divina; l’assoluta gratuità di una promessa impensabile e inattesa che fa dell’umana carne il luogo non solo della presenza, ma della stabile dimora di Dio»[10].

 

Possibilità, opportunità, prospettive dal presente al futuro

A 500 anni di distanza dalla Riforma, la visita a Lund di Papa Francesco ci costringe a considerare che cosa oggi unisca nell’identica fede cristiana la Chiesa cattolica e le comunità ecclesiali nate dalla protesta di Martin Lutero nel XVI secolo. Oggi tutti ammettono che non rientrasse nelle intenzioni del monaco di Wittenberg il desiderio di dividere l’unica Chiesa di Cristo. Di fatto sappiamo che le cose andarono diversamente.

D’altra parte la storia non si cambia. Occorre piuttosto prendere atto delle colpe reciproche e aiutarci a leggere insieme – cattolici e protestanti – il nostro passato di divisione, per purificare la memoria e per cercare ciò che oggi ci unisce più che non ciò che ancora ci divide e per contrastare positivamente insieme l’indifferentismo etico e una serie di altri atteggiamenti disumanizzanti propri del nostro tempo[11].

Certo, non è possibile cambiare il passato, ma è possibile, a partire dal presente, leggerlo e raccontarlo in modo diverso, riconoscendo serenamente gli errori e chiarendo gli antichi fraintendimenti.

Diventa chiara la logica del movimento ecumenico nelle sue ultime tappe più ufficiali e solenni, quelle del 1999 e del 2016. Cattolici e luterani sono sostanzialmente d’accordo nella tesi della «giustificazione per fede» che mette in gioco la centralità di un presupposto cristologico ugualmente condiviso: «Ora, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Dio manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù» (Rm 3,21.26).

La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (31 ottobre 1999) ha messo in luce questa verità, dalla quale occorreva trarre la conseguenza estrema: essendo noi partecipi della medesima fede di Cristo (genitivo oggettivo!), siamo immediatamente abilitati a rendere testimonianza insieme a Cristo davanti al mondo intero, lasciando diventare concretamente operate nelle opere dell’amore quella medesima appartenenza a Cristo che si chiama libertà evangelica, nella quale siamo stati istituiti e liberati per il compimento di ogni opera buona.

È questo il senso più vero e profondo dell’ultima Dichiarazione congiunta, quella firmata a Lund il 31 ottobre 2016, tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale.

In questo quadro non possiamo non ricordare un testo di oltre un anno prima. Si tratta di un brano dell’intervento del moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini, quando accolse papa Francesco a Torino nel Tempio Valdese (22 giugno 2015 – il grassetto è mio):

«abbiamo letto nella Sua esortazione apostolica Evangelii gaudium due affermazioni sul modo di intendere e vivere l’ecumenismo che siamo lieti di poter condividere. La prima riguarda la visione dell’unitaÌ» cristiana come «diversitaÌ» riconciliata» che Lei propone (n. 230), e che eÌ» la stessa che l’ottava Assemblea mondiale della Federazione Luterana riunita a Curitiba (Brasile) proponeva nel 1990. Crediamo anche noi che l’unitaÌ» cristiana possa e debba essere concepita proprio cosiÌ»: come «diversitaÌ» riconciliata», in cui occorre sottolineare sia la parola «diversitaÌ»«, sia l’esigenza che sia «riconciliata». La seconda affermazione riguarda i rapporti tra le diverse chiese cristiane. Lei scrive: «Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (n. 246). EÌ» molto bello questo pensiero di cercare nelle chiese diverse dalla nostra non i difetti e le mancanze – che indubbiamente ci sono – ma cioÌ» che lo Spirito Santo vi ha seminato «come un dono anche per noi». Proprio questo eÌ» l’ecumenismo: la fine dell’autosufficienza delle chiese; ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo essere cristiani da soli… Dovremo affrontare, peroÌ», anche questioni teologiche tuttora aperte…La prima eÌ» questa: il concilio Vaticano II ha parlato delle chiese evangeliche come di «comunitaÌ» ecclesiali». A essere sinceri, non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa espressione: una chiesa a metaÌ»? Una chiesa non chiesa? Conosciamo le ragioni che hanno spinto il Concilio a adottare quell’espressione, ma riteniamo che essa possa e debba essere superata. Sarebbe bello se questo accadesse nel 2017, quando ricorderemo i 500 anni della Riforma protestante. EÌ» nostra umile ma profonda convinzione che siamo chiesa: certo peccatrice, semper reformanda, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha ancora raggiunto la meÌ»ta (cfr. Filippesi 3,14), ma chiesa, chiesa di GesuÌ» Cristo, da Lui convocata, giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria»[12].

Un ecumenismo del cuore, della mente, della Parola e della collaborazione inter-ecclesiale: questo è in sintesi la direttrice sulla quale l’attenzione al pensiero e all’opera di Martin Lutero invita chiunque a camminare e a progredire.

E la centralità dell’ascolto esistenziale della Parola di Dio contenuta nelle Scritture primo e neo-testamentarie può costituire un antidoto a fondamentalismi e settarismi di ogni genere. La testimonianza religiosa di Lutero, con tutte le sue difficoltà, appare, nella sua attenzione assolutamente prioritaria e centrale alla Parola che dà la salvezza, un contributo ancora assai rilevante per una fede cristiana libera e liberante. Una fiducia esistenziale, che costruisca una cultura della riconoscenza e della gratuità come spazio fondamentale dell’umanità comune, al di là di quanto scienza e tecnica ed economia, tra luci ed ombre, riescono a fornire. E quanto ci sia bisogno oggi e nel futuro di questo genere di fede e di questa umanizzazione globale è sotto gli occhi di tutti, in piena libertà e responsabilità…

 

[1] W. Kasper, Martin Lutero Una prospettiva ecumenica, Queriniana, Brescia 20173, pp. 24.26-27.

[2] S. Xeres, O Roma o Cristo. La drammatica scelta di Martin Lutero (1517-1520), Ancora, Milano 2017, p. 51. «Non sono le opere buone a fare l’uomo buono, ma è l’uomo buono a fare opere buone» (M. Lutero, la libertà del cristiano, tr. it., Claudiana, Torino 2005, p. 168).

[3] La bolla «Exsurge Domine» firmata da Leone X il 15 giugno 1520, giunse in Germania soltanto nell’autunno successivo, quando Lutero aveva già pubblicato, ancorché successive al documento papale in questione, le tre opere che testimoniano la sua presa di posizione anti-romana, ossia Ai nobili cristiani della nazione tedesca, La cattività babilonese della chiesa e La libertà del cristiano. «Si assiste, dunque, ad una sorta di scollamento cronologico, per cui Roma condanna Lutero prima che egli abbia alzato a livelli effettivamente inaccettabili il tono della polemica contro il papato e, d’altro canto, Lutero dopo quella condanna si convince che era necessario passare dalla contestazione delle indulgenze a quella della stessa struttura di vertice della Chiesa. Tale divario esprime con evidenza una drammatica incomprensione di fondo. Essa non ha al centro la condotta di Lutero, quasi si trattasse di un’intemperanza adolescenziale, non accettata da un superiore, quanto la contraddizione tra un’istituzione ecclesiastica diventata talmente rigida e chiusa in se stessa da non poter recepire un appello al ripensamento se non come una ribellione da reprimere e il fondamentale richiamo evangelico alla conversione dal quale aveva precisamente preso le mosse Lutero esponendo le sue 95 tesi» (S. Xeres, O Roma o Cristo, pp. 86-87).

[4] 2Ts 2 (trad. CEI 2008): «3Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, 4l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio».

[5] Per quanto riguarda il testo delle tesi che, secondo la tradizione, sarebbero state affisse a Wittenberg e un commento sintetico sulle loro linee di contenuto fondamentali cfr., per es., S. Xeres, O Roma o Cristo, pp. 43-50; P. Ricca- G. Tourn, Le 95 tesi e la cristianità del nostro tempo, Claudiana, Torino 20162).

[6] W. Kasper, Martin Lutero, pp. 32-33.

[7] In ambito cattolico l’antigiudaismo ha conosciuto tante manifestazioni di vario genere nei secoli (la preghiera della liturgia del venerdì santo «per i perfidi giudei» è stata rimossa nel 1959). Pochi anni fa la Pontificia Commissione Biblica si espresse, su questi temi, nel modo seguente, speriamo, valido per sempre: «Nel Nuovo Testamento i rimproveri rivolti agli ebrei non sono più frequenti né più virulenti delle accuse espresse contro di essi nella Legge e nei Profeti. Non devono quindi servire da base all’antigiudaismo. Un utilizzo a questo scopo è contrario all’orientamento d’insieme del Nuovo Testamento. Un vero antigiudaismo, cioè un atteggiamento di disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei, non esiste in alcun testo del Nuovo Testamento ed è incompatibile con l’insegnamento che questo contiene… Ma bisogna riconoscere che molti di questi passi si prestano a servire da pretesto all’antigiudaismo e che sono stati effettivamente utilizzati in questo senso. Per evitare deviazioni di questo tipo bisogna osservare che i testi polemici del Nuovo Testamento, anche quelli che si esprimono in termini generalizzanti, restano sempre legati ad un contesto storico concreto e non vogliono mai avere di mira gli ebrei di ogni tempo e di ogni luogo per il solo fatto che sono ebrei. La tendenza a parlare in termini generalizzanti, ad accentuare i lati negativi degli avversari, a passare sotto silenzio i loro lati positivi e a non prendere in considerazione le loro motivazioni e la loro eventuale buona fede, è una caratteristica del linguaggio polemico in tutta l’antichità, rilevabile anche all’interno del giudaismo e del cristianesimo primitivo nei riguardi dei dissidenti di ogni genere» (Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Città del Vaticano 2001, n. 87).

[8] S. Xeres, O Roma o Cristo, pp. 88-89.

[9] «L’anima può fare a meno di ogni cosa tranne che della Parola di Dio, senza la quale nulla in assoluto può venirle in aiuto…E Cristo non è stato mandato per un altro servizio se non per quello della Parola. E l’intero ceto ecclesiastico – apostoli, vescovi, preti – non è stato chiamato e istituito se non per il servizio della Parola» (M. Lutero, la libertà del cristiano, pp. 88-90).

[10] S. Xeres, O Roma o Cristo, p. 107.

[11] Anche la Chiesa di oggi, come e più di quella cattolica del tempo di Lutero risulta «così spesso lontana da quel fuoco prospettico dell’intero disegno teologico del cristianesimo e vitale di tutta l’esistenza cristiana che è appunto il dono di Dio in Cristo. E se l’assenza della novità evangelica impoverisce l’uomo contemporaneo di una formidabile possibilità di rinnovamento della propria esistenza, la sua dimenticanza tra i cristiani riduce la vita ecclesiale a un ripetitivo repertorio di celebrazioni o, ancora peggio, a un’arida agenzia di iniziative, più o meno socialmente utili. Mentre perdura quel silenzio sulla verità del Vangelo da cui Lutero cercò di risvegliare le coscienze» (ivi, p. 109).

[12] «Parola&parole» 24 [2015], 55-56 (il grassetto è opera del redattore).

31 Ottobre 2017 | 10:24
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