Cristina Vonzun

Un anno fa la preghiera di papa Francesco in piazza San Pietro per il mondo colpito dalla pandemia

Forse quelle immagini non le dimenticheremo mai: il Papa claudicante e sotto la pioggia battente che sale il sagrato di una piazza San Pietro vuota per andare a rivolgere una preghiera per il mondo colpito dalla prima ondata della pandemia di Coronavirus. Un anno fa, era il 27 marzo 2020, sul Sagrato della Basilica di San Pietro, il mondo scosso dall’incertezza come i discepoli sulla barca nel mezzo della tempesta (Mc 4,35-41) guardava anche a quel gesto del Papa come ad un segno di speranza, motivazione, incoraggiamento. Un gesto che ha spezzato per un attimo la solitudine in cui in quelle ore di confinamento ci trovavamo per farci sentire, in qualche modo, anche se davanti ad uno schermo, da un lato ancora un popolo, credenti e non credenti, «tutti sulla stessa barca», dall’altro ci ha fatto immedesimare in quell’uomo solo e vestito di bianco che sembrava portare a Dio tutte le fragilità, ansie, paure e incertezze di quelle ore e di quelle che sono seguite, comprese le nostre. Le parole del Papa pronunciate allora restano attuali, non solo per l’emergenza sanitaria ancora in corso nel mondo, ma anche per la forte evidenza di un’esperienza, quella della fragilità, che ancora stiamo vivendo, che come i discepoli sulla barca nel mare in tempesta abbiamo forse scoperto per la prima volta come la possibilità che la nostra invulnerabilità presunta fosse appunto «solo» presunta. Scoprirsi fragili fa male, ci fa star male. Ma è l’inizio della consapevolezza di quello che siamo come uomini e donne: siamo capaci di pensare Dio (ci dice il Salmo 8) ma siamo anche meno di un granello di polvere davanti all’universo, un granello fragile che potrebbe scomparire per un niente. E allora è a Dio che occorre guardare, a Cristo, come ci ha ricordato il Papa quella sera e tante altre volte ancora, Cristo che si è fatto non solo «carne» ma fragilità che ha assunto fragilità scegliendo per sè di definirsi «Figlio dell’uomo» che nella tradizione ebraica ha il senso dell’uomo fragile. Il Figlio di Dio si definisce «Figlio dell’uomo», uomo fragile che condivide la sorte di tutti. Mi piace allora lasciarvi un pensiero del cardinale Carlo Maria Martini, in un libretto dal titolo «Verso la Pasqua» (edizioni San Paolo 2021), che ripropone in forma di itinerario quotidiano delle brevi meditazioni e preghiere da scritti dell’indimenticabile biblista e arcivescovo di Milano. Questo pensiero vale per tutti noi, perché tutti, «siamo sulla stessa barca»: famiglie, malati, persone stanche e affaticate da questa pandemia, fragilizzati dalla situazione economica e sociale. Ognuno sa cosa metterci dentro.

«Cristo non ha inventato la croce, l’ha trovata anch’egli sul proprio cammino. La novità che egli ha inventato è stata quella di mettere nella croce un germe di amore. Cosi’ la croce è diventata la strada che porta alla vita»

Ce la faremo anche noi a mettere un po’ di amore nelle nostre croci? Forse l’amore oltre noi stessi e verso gli altri, in qualche modo, potrebbe essere il primo inizio di una liberazione.

La meditazione di papa Francesco pronunciata il 27 marzo 2020 nel momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia.

27 Marzo 2021 | 10:10
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covid-19 (130), Papa (1256)
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