Corinne Zaugg

Turoldo, un «disturbatore delle coscienze» che cercò di portare Dio a tutti

Sono passati trent’anni dalla morte di padre David Maria Turoldo. Un prete che ha segnato il suo tempo e la storia del ›900 religioso italiano. Fu «poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini» per usare le parole con cui il card. Martini ricordò il frate servita, durante i suoi funerali, l’8 febbraio del 1992. Di certo padre Turoldo fu tutto questo, ma forse è ancora aperto il dibattito sull’ordine con cui declinare queste definizioni: per chiedersi se fu più poeta che profeta, più uomo di Dio o amico degli uomini. Turoldo nacque il 22 novembre del 1916 in una casa che «forse (era) la più povera del paese », in un Friuli segnato dalla miseria e a cui sentì, per tutta la vita, di essere debitore dei suoi valori più profondi. Poi, la vocazione religiosa, segnata dalla sua vicinanza alla gente, al popolo, agli ultimi, a cui sentì sempre di appartenere. E Gli ultimi sarà anche il titolo del film del 1963 diretto da Vito Pandolfi e padre Turoldo stesso, ispirato alla sua infanzia a Coderno, negli anni ’30 del secolo scorso. Fu anche poeta: molti lo conobbero proprio attraverso la sua poesia. Una poesia che lo accompagnerà per tutta la vita, che gli valse il riconoscimento di altri grandi poeti, tra cui Alda Merini, Pier Paolo Pasolini, Mario Luzi, Andrea Zanzotto. Una poesia che soprattutto nell’ultimo tempo della sua vita, divenne dialogo serrato e appassionato, quasi un corpo a corpo con Dio, come un critico ebbe a scrivere, «perché gli svelasse il suo segreto». La malattia e l’avvicinarsi di una morte lenta quanto inesorabile dovuta ad un tumore al pancreas che lo colse nel ’88, rappresentò per lui occasione di porre domande: quelle che contano, quelle paradossalmente che non muoiono mai e che accompagnano – per lo più sommesse – l’uomo durante l’arco tutta la sua esistenza. Turoldo ebbe il coraggio non solo di porsele, ma di farlo a voce alta, in un momento in cui la fede si professava per lo più a fior di labbra e le novità del Concilio Vaticano II – che prevedevano più condivisione e collaborazione tra laici e preti e allargavano il dialogo anche ai fratelli di altri «credo»– ancora facevano fatica a prendere il largo. Chi ancora non lo aveva conosciuto né nella Milano sventrata dalle bombe dove per un decennio predicò in duomo su invito del Cardinal Schuster, né nel suo impegno accanto a don Zeno Saltini nel convertire l’excampo di concentramento di Fossoli (Carpi) in quello che diventerà l’avventura di Nomadelfia, né negli anni ’50 a Firenze dove lavorò fianco a padre Ernesto Balducci, e nemmeno quando, dopo i turbinosi anni ’60 – ’70, avviò a Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo) l’esperienza di «Casa di Emmaus», imparò a conoscerlo allora: attraverso questi suoi Canti ultimi e le (sue) Notti con Qoehlet, che lo resero fratello e vicino a tutti, ben oltre la cerchia di coloro che condividevano la sua fede. Il suo modo di affrontare l’«orrendo drago» (la malattia) confermò quella che fu la sua vita: una lunga e accesa battaglia per dare concretezza storica al Vangelo, per incarnarlo, giorno dopo giorno, nei fatti della vita; aprendosi al dialogo con quel «fratello ateo nobilmente pensoso» per «attraversare insieme il deserto» andando «oltre la foresta delle fedi » per ritrovare, alla fine del cammino «il nudo Essere ».

Si parlerà di Padre David Maria Turoldo, nel trentesimo dalla sua morte, con la storica e biografa Mariangela Maraviglia, anche a «Chiese in diretta», in onda oggi, domenica, alle 8.30 sulle onde della Rete Uno.

Corinne Zaugg

foto David Maria Turoldo ROMANO GENTILE @messaggerodisantantonio.it
13 Febbraio 2022 | 05:43
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