Inos Biffi

Tristezza e gioia cristiana

Un cristiano ha motivi reali per essere triste: egli vede intorno a sé dolori e sofferenze materiali e spirituali, quasi conseguenze della situazione in cui si trova.
Eppure, egli è certo che non ci sia situazione tale, per cui Dio lo dimentichi, lo lasci in balìa del suo ineluttabile destino.
Di là da ogni apparenza, Dio lo tiene legato a sé, lo tiene nel suo cuore.
Essere nel cuore di Dio è ragione e fonte per l’uomo di una gioia «divina», che non può essere eliminata o spenta per nessun motivo.
Una volta ancora risalta la funzione della fede – «Iustus ex fide vivit» –.
La fede dispone nell’intimo dell’uomo un seme inestinguibile di vita, grazie al quale egli vince le motivazioni o le inclinazioni alla tristezza: potremmo parlare di gioia drammatica. Questa condizione, d’altronde, pur situata nel credente, trova il suo vero e stabile fondamento in Dio.
È Dio che dona questa stabilità. Non, però, come dono dato una volta per sempre. Esso proviene da Lui per un suo intervento sempre in atto e attuale.
Questo vuol dire che noi siamo sotto lo sguardo amorevole di Dio in ogni istante.
Lo sguardo, poi, di Dio non è, per così dire, generico: ciascuno è guardato nella sua singolarità, nei suoi bisogni e nelle sue occupazioni. La sua attenzione è come quella di un padre o una madre, che amano tutti i figli che hanno in modo singolare, ascoltando le loro coscienze e il loro cuore. Dio è presente a tutti, ma non serialmente, appunto non genericamente, e non parcellizza il suo amore, nemmeno lo suddivide, ma lo elargisce nella sua inscindibile totalità.
Proprio per questo ci sentiamo amati nel nostro essere e per il nostro essere, con i nostri pregi, ma anche con i nostri limiti; proprio come un padre o una madre riservano una attenzione speciale per il figlio che abbia qualche malanno, o che sia nato o abbia contratto una deficienza, una deformazione fisica o mentale. O, anche, che abbia commesso atti sbagliati, che abbia peccato.
Non raramente si sente una madre esclamare: «Se lo butto via io, chi lo raccoglierà?». Da qui l’angoscia dei genitori che pensano al tempo in cui non ci saranno.
«Quem autem ex vobis patrem filius petierit piscem, numquid pro pisce serpentem dabit illi? Aut si petierit ovum, numquid porriget illi scorpionem? Si ergo vos, cum sitis mali, nostis dono bona dare filiis vestris, quanto magis Pater de caelo dabit Spiritum Sanctum petentibus se (Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!)» (Lc 11,11-13).

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5 Maggio 2022 | 15:10
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