Ernesto Borghi

Sinodo dei vescovi sulla famiglia: dalla Bibbia alla vita di oggi (4)

 

di Ernesto Borghi

Nelle letture bibliche proposte durante i tre interventi precedenti ho cercato di evidenziare i criteri essenziali che devono ispirare ogni relazione familiare e sociale, lo ripeto, biblicamente intesa: capacità di dialogo interpersonale nel rispetto delle differenze sessuali e culturali; costruzione dei rapporti con l’altro sesso nella comune salvaguardia dell’ambiente naturale; attenzione solidale verso gli altri sino all’amore per i nemici; rifiuto di ogni idolatria e di qualsiasi ipocrisia. Questo quadro complesso, arduo ed entusiasmante sarà considerato seriamente da coloro che parteciperanno al Sinodo dei Vescovi 2015? Lo possiamo sperare, ma, per il momento, vediamo quali sono alcune questioni fondamentali con le quali essi dovranno confrontarsi…[1]

 

 

  1. Matrimonio e legami familiari multiculturali

La famiglia ha oggi una diversità di tipologie di cui bisogna prendere atto. Pertanto non è possibile parlare di famiglia come di un’istituzione immutabile, di un modello unico sempre valido. Più che di «famiglia» bisogna sempre più parlare di «famiglie», senza ovviamente pensare che ogni esperienza debba essere denominata nello stesso modo (per es. l’unione tra due donne o tra due uomini non è culturalmente denominabile famiglia come l’unione tra un uomo e una donna con uno o più figli).

D’altra parte, in contesti culturali extra-europei (anzitutto africani), dove è diffusa la cultura della poligamia e dove ci sono uomini che effettivamente hanno rapporti positivi e costruttivi con varie mogli, la conversione alla fede cristiana deve condurre necessariamente a privilegiare una di queste donne «distruggendo» i rapporti con le altre e con i figli derivanti da tali unioni matrimoniali? Anche questo è un problema tutt’altro che agevolmente risolvibile, se si dà al messaggio evangelico il suo effettivo valore, ossia la notizia bella e buona dell’amore di Dio in Gesù Cristo per ogni essere umano…

Bisognerebbe considerare, in modo assai diverso da un passato anche recente il matrimonio semplicemente civile[2] (che è, rispetto alle convivenze, un’assunzione di responsabilità sociale indubbia) e contemporaneamente favorire, in seguito, un percorso della coppia verso il matrimonio religioso attraverso un’azione di pastorale matrimoniale e familiare assai più corposa ed intelligentemente formativa degli sforzi pur significativi in atto da qualche decennio ad oggi. Su questi temi le conclusioni del Sinodo 2014 sono state, a larghissima maggioranza (166 voti contro 14), le seguenti:

«26. La Chiesa guarda con apprensione alla sfiducia di tanti giovani verso l’impegno coniugale, soffre per la precipitazione con cui tanti fedeli decidono di porre fine al vincolo assunto, instaurandone un altro. Questi fedeli, che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante, distinguendo adeguatamente le situazioni. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa».

Ma tale incoraggiamento da che cosa può derivare? Anzitutto un ripensamento generale che sia parte del processo complessivo di riforma della Chiesa cattolica. I «successi» nella pastorale si devono a famiglie che hanno per lo più testimoniato la loro fede, palesando ai figli l’immagine di una realtà familiare aperta ai rapporti sociali ed unita sui valori decisivi dell’essere umano (anzitutto solidarietà verso chi è stato ed è in difficoltà psico-fisica e/o socio-culturale, dai membri del proprio nucleo familiare allargato ad altre persone esterne alla famiglia).

Oggi tali esiti costruttivi si possono raggiungere tramite scelte pastorali che guardino al futuro e che il Sinodo in corso dovrebbe davvero indicare:

  • i percorsi per adolescenti e giovani devono abituare ad accostarsi alla logica dell’amore in modo progressivo facendo interagire lettura biblica, interazione dialettica, incontri con testimonianze concrete, ecc.;
  • gli itinerari di preparazione al matrimonio devono evitare di affrontare temi di morale sessuale superati dallo sviluppo culturale contemporaneo. Occorre offrire opportunità di confronto e discussione su temi che partano dal vissuto concreto degli individui, essere coordinati da preti, religiose, laiche e laici che siano capaci di relazioni umane calorose e concrete.

Lo stesso discorso vale per opportunità successive al matrimonio, che le comunità parrocchiali devono organizzare, in modo realistico e facendo rete tra loro e con altre istituzioni. Bisogna, infatti, colmare, nelle forme più creative possibili, il gap che si crea, salvo eccezioni, nei rapporti con la comunità cristiana, tra il matrimonio e la nascita del primo figlio;

  • i percorsi di catechesi per adulti non devono essere spiegazioni pure e semplici, palesi o occulte del CCC o del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, ma occasioni di riflessione su vari temi che partano dalla Bibbia e educhino ad un’interazione costante tra Bibbia e vita[3] Fare tutto questo significa, da parte della Chiesa cattolica, investire risorse culturali e materiali assai più ingenti di quanto avviene oggi, in particolare nei Paesi di tradizione neo-latina, Italia per prima[4].

Molte comunità cristiane sono poco preparate ad aiutare le coppie in crisi. Anche la reticenza a invitare le persone a separarsi, neppure quando il mantenere una relazione è insano o addirittura pericoloso per la coppia e per i bambini, rende difficile alle comunità cristiane aiutare la coppia a dividersi nel modo meno conflittuale possibile.

 

 

  1. Situazioni matrimoniali difficili

La convivenza ad experimentum appare un evento sempre più normale, ma addirittura un’esperienza spesso non inutile prima di compiere un passo importante come il matrimonio che è orientato all’indissolubilità. Tantissime sono le coppie di conviventi che si presentano ai corsi di preparazione al matrimonio.

Molte persone divorziate risposate vivono l’impossibilità di ricevere i sacramenti con una sofferenza che purtroppo spesso evolve nell’indifferenza. Alla lunga si sentono infatti oggetto di un’ingiustizia e chiedono di poter partecipare pienamente alla vita della Chiesa, quindi accedendo ai sacramenti.

Appare comunque assai ipocrita affermare «la Chiesa è vicina ai divorziati/risposati», quando poi essi vengono esclusi dal momento culminante della partecipazione ecclesiale, ossia la comunione eucaristica. Soluzioni pastorali tardive e verosimilmente inadeguate, come, per esempio, la recente costituzione, nell’Arcidiocesi di Milano, di un ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati, non sono risposte a problemi come questi.

Al presbitero, che è stato ordinato ad aeternum e lascia il ministero non si nega certa la frequenza ai sacramenti: a chi si risposa, trovando spesso in questa seconda unione occasioni di vita evangelica senza paragone con il passato, perché tale opportunità viene proibita?[5]

La dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale da parte dei tribunali ecclesiastici può offrire un contributo alla soluzione delle problematiche delle persone solo in un ridotto numero di casi[6]. Non si può pensare di sciogliere il nodo dell’Eucaristia ai divorziati risposati soltanto attraverso la semplificazione della procedura canonica di annullamento del vincolo, che, comunque, potrebbe essere semplificata. Occorrerebbe, per esempio, riconsiderare attentamente le conseguenze di quanto si legge nel canone 8 del Concilio di Nicea (325 d.C.)[7]

È del tutto auspicabile l’adozione della prassi attualmente in vigore in varie Chiese ortodosse sulla celebrazione delle seconde nozze dopo il divorzio e che era in vigore nel primo millennio. I divorziati che vogliano risposarsi, in questo caso, vengono riaccolti nella Chiesa qualora abbiano fatto un percorso di penitenza e di riconoscimento dei propri errori, se ce ne sono gli estremi, e si occupino della prole, se c’è. Sempre al Sinodo dei vescovi cattolici dello scorso ottobre questi temi hanno condotto a tali affermazioni:

«52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari e a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che ›l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate’ da diversi ›fattori psichici oppure sociali’ (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)» (Voto finale: 104 a favore, 74 contro).

Un’attenzione effettiva all’amore evangelico deve augurarsi che un ecumenismo «verso Oriente» rinnovato permetta di considerare con favore la benedizione di una seconda opportunità matrimoniale. Non è leggerezza morale o cedimento ai cambiamenti sociali, è un tentativo di ragionare seriamente secondo il Vangelo. In proposito è indispensabile considerare che materia del matrimonio non possa essere altro che l’amore tra i coniugi, morto il quale si deve permettere che, in modo responsabile e maturo, siano possibili nuove unioni benedette dalla Chiesa.

Se essa vuole apparire ed essere realmente il corpo di Cristo, la Chiesa non può avere altro atteggiamento che quello chiaro e misericordioso del suo Signore, perlomeno per quanto le versioni evangeliche canoniche ci dicono. D’altronde non fu il card. Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede a pubblicare, nel 1998, quanto segue: «Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale»[8]. La verifica di tale condizione domanda un’attenzione fondamentale.

E, in definitiva, quando ci troviamo di fronte a delle persone che vivono un nuovo rapporto matrimoniale «con serietà e impegno e ritengono insufficiente la proposta della partecipazione limitata alla vita della comunità, non c’è altra proposta, almeno per quelli che hanno capito l’importanza del pane eucaristico e ne soffrono la mancanza? È proprio vero – come dicono alcuni – che c’è perdono per tutto eccetto che per il fallimento nell’amore? »[9].

 

 

  1. Le unioni tra persone dello stesso sesso

La qualità della vita umana dipende largamente da quanto amore effettivo, cioè evangelicamente intelligente ed appassionato, si riceve e si dà[10]. La Chiesa cattolica, a tutti i livelli, dovrebbe abbandonare una concezione antropologica ristretta secondo cui l’amore omosessuale sarebbe «contro natura» e non una variante, seppur certamente minoritaria, di relazioni permanenti tra gli esseri umani attraverso le quali cercare di vivere il Vangelo di Gesù Cristo[11]. Tali modalità non sono congruenti, ma certo sono non meno importanti, di quanto possa avvenire nel quadro delle coppie di donne e uomini sposate sacramentalmente.

La Chiesa cattolica dovrebbe attuare un effettivo accompagnamento pastorale degli omosessuali senza intendimenti «missionari» di «redenzione dal peccato».

La comunità cristiana dovrebbe porsi l’obiettivo di creare al proprio interno un consenso tale da evitare ogni atteggiamento di disprezzo più o meno espresso e rendere possibile l’accettazione, anche formale, delle coppie gay e lesbiche. Ciò non implica l’omogeneizzazione di tali legami a quello tra un uomo e una donna, che resta quello più strutturalmente e radicalmente naturale.

Il referendum del maggio 2015 che, in Irlanda, ha equiparato le unioni omosessuali al matrimonio eterosessuale intende identificare realtà che sono strutturalmente e radicalmente differenti, dunque non costituisce un atto di libertà e liberazione, ma contribuisce anzitutto alla confusione culturale e sociale.

«55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: ›Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia’. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. ›A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione’ (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4)» (Voto finale: 118 a favore, 62 contro).

Da queste parole del Sinodo dei vescovi 2014 a mio avviso, occorre partire verso un futuro culturale e relazionale migliore sotto tutti i punti di vista.

 

 

  1. L’educazione dei bambini in situazioni «irregolari»

La comunità cristiana non serve a distribuire patenti di «regolarità» o di «irregolarità» ma per accompagnare, incoraggiare, sostenere ogni persona e anche ogni coppia in difficoltà, qualunque sia la condizione di vita di tali persone.

Nei confronti dei bambini di situazioni «irregolari» e di bambini eventualmente adottati dovrebbe esserci un inserimento nella vita ecclesiale e un accompagnamento pastorale analoghi a quelli di ogni altro, con una particolare attenzione verso chi è maggiormente a rischio di discriminazione.

Se un bambino è accompagnato al battesimo o un ragazzo alla cresima da persone che sono divorziate/risposate o conviventi, ma hanno tutte le caratteristiche per sostenerli nella crescita in termini di esempio d’amore concreto per gli altri, perché negare loro la possibilità di essere padrino o madrina?

Questo momento potrebbe anche essere un’occasione per favorire un nuovo contatto con il Vangelo di Gesù Cristo…Ovviamente tutto questo implica una conoscenza effettiva, cioè cordiale, degli adulti in questione e dei diversi contesti familiari. E papa Francesco, anche su questo tema, ha detto parole di apertura relazionale evangelica, difficilmente equivocabili.

 

 

  1. Il rapporto tra famiglia e persona

La famiglia, per l’importanza che riveste nella vita delle persone, è un luogo rilevante in cui Gesù rivela il mistero e la vocazione dell’uomo, ma non è, di per sé, l’ambito privilegiato rispetto ad altri. Non si può, d’altro canto, ignorare che il Gesù delle versioni evangeliche canoniche ha relativizzato i legami di sangue a vantaggio della fedeltà «alla volontà del Padre» (cfr. Mt 12,46-50; Mc 3,31-34; Lc 8,19-21). Bisogna poi avere sempre presente che le agenzie educative che influenzano i giovani sono sempre più numerose ed efficaci (mass media, social networks ecc..) e il ruolo educativo della famiglia è diminuito rispetto alle generazioni precedenti. Una presenza ecclesiale intelligente in merito sarebbe auspicabile, cercando forme di comunicazione sempre più differenziate e penetranti.

 

 

  1. In sintesi…

Quello che succederà, circa i temi sin qui delineati nei prossimi mesi, nei prossimi anni, dal magistero vaticano alle comunità cattoliche più piccole, nelle società civili occidentali e terzomondiali, non è facile immaginare né sarebbe intelligente e costruttivo ipotizzare. Indubbiamente, tra le novità più eclatanti e sorprendenti del nostro tempo vi è l’azione di papa Bergoglio e il liberante processo di confronto con la realtà effettiva della vita delle donne e degli uomini del nostro tempo che egli ha innescato, al di là di tradizionalismi e luoghi comuni, anzitutto nella Chiesa cattolica.

Durante il Sinodo dei vescovi cattolici di questo mese di ottobre 2015 molto potrà avvenire, anche che le posizioni più retrive e chiuse alla verità del Vangelo di Gesù Cristo, cioè all’amore crocifisso e risorto, guadagnino terreno.

Cionondimeno l’auspicio più profondo è che una lettura sempre più evangelica dei rapporti tra gli esseri umani a livello familiare e sociale in genere venga condotta senza paure e senza avventurismi in tutti i contesti ove si vivano relazioni interpersonali. Resta essenziale una duplice attenzione:

  • quello che è tradizione di un momento storico specifico non deve essere scambiato con quanto è verità perenne, ossia l’amore di Gesù Cristo crocifisso e risorto per la vita di tutti;
  • i testi biblici, in particolare quelli evangelici, non sono immutabili «pezze d’appoggio» di carattere giuridico, ma punti di riferimento etico e religioso da interpretare con intelligenza storico-critica e globalmente esistenziale.

Tutto quanto esiste può essere parte costruttiva ed esaltante della relazionalità interpersonale a partire da quella maschile/femminile, in un quadro etico evidentemente unitario, in cui il Dio di Gesù Cristo è il paradigma esistenziale a partire dalla sua scelta d’amore per ogni persona:

«La Bibbia non è che il racconto del suo amore incredibile, la cui prova estrema è la sua morte in croce per noi che lo rifiutiamo. Uno diventa se stesso dicendo sì a questa relazione che lo fa essere ciò che è. La nostra dignità è di essere suoi interlocutori e partner, simili a lui. L’amore, infatti, o trova o rende uguali»[12].

Oggi vi sono possibilità come mai prima d’ora di rendere la convivenza sociale più dialogica, collaborativa e solidale, anche grazie ad una sensibilità crescente, anzitutto nelle giovani generazioni, verso le condizioni di vita di svariati milioni di persone nel Sud del nostro pianeta. Chiediamoci che cosa possiamo fare anzitutto qui e ora, cercando le ragioni di unità tra culture e sensibilità differenti. Non dobbiamo accontentarci di avere soltanto il mondo in visione, ma occorre tentare di condividere con un numero sempre crescente di nostri simili una visione del mondo fondata sulla centralità dell’amore gratuito, sovrabbondante e responsabile. Lo ripeto: senza confondere la tradizione e la verità e senza leggere la Bibbia come se fosse un codice giuridico…Tra l’altro sarebbero queste ultime due prospettive fondamentali anche per non essere cristiani…

[1] Varie riflessioni contenute in questo articolo sono già apparse nel numero 237 (giugno 2015) del periodico «Dialoghi di riflessione cristiana». Tale rivista ha una storia pluridecennale di attenzione seria alle fonti della fede cristiana, all’ecumenismo, al dialogo interreligioso e ad un rapporto profondo tra fede cristiana e cultura contemporanea. Capo-redattore è Enrico Morresi e redattori sono Alberto Bondolfi, Daria Lepori, Aldo Lafranchi, Alberto Lepori, Marina Sartorio, Carlo Silini e il sottoscritto.

[2] Cfr., in proposito, per es., W. Kasper, Il matrimonio cristiano, tr. it., Queriniana, Brescia 2014, pp. 87-93; A. Fumagalli, Il tesoro e la creta. La sfida sul matrimonio dei cristiani, Queriniana, Brescia 2014, pp. 147-153.

[3] Il presidente dell’Equipe europea di catechesi, Enzo Biemmi, ha recentemente ricordato, nel suo intervento al convegno annuale dell’Associazione Italiana Catecheti (L’Equipe europea di catechesi. Punto di incontro e osservatorio qualificato delle problematiche e delle prospettive catechetiche in Europa – Roma, 12 settembre 2014) che nell’educazione alla fede degli adulti in Europa riscontrano ampio favore solo percorsi e itinerari fondati sulla lettura della Bibbia.

[4] Nella Chiesa di Gesù Cristo si è ancora lontani dal momento in cui la lettura della Bibbia e i valori umanistici di taglio biblico orientino e determinino, con intelligenza e passione, senza fondamentalismi e superficialità, qualsiasi azione e progetto pastorale. Ciononostante è questa la prospettiva in cui è auspicabile muovere, se le Chiese intendono effettivamente cooperare al futuro della formazione ed educazione dell’essere umano (cfr., in proposito, E. Borghi, Dalla «Evangelii gaudium» alla formazione Cristiana di oggi e di domani, in «Annali di Studi Religiosi» [15/2014], 91-115). E circa la necessità di ripensare con coraggio la configurazione pastorale della Chiesa cattolica nelle sue articolazioni «centrali e periferiche» magari ispirandosi, con tutte le differenziazioni del caso, alle comunità cristiane del I secolo d.C. cfr., per es., il dossier La Messa è finita? in «Jesus» XXXVI (7/2014), 28-38.

[5] Per una considerazione approfondita e seria del tema divorziati-risposati e accostamento ai sacramenti si veda, per es., il saggio di E. Schockenhoff, La Chiesa e i divorziati risposati, tr. it., Queriniana, Brescia 2014 (in particolare le pp. 186-254).

[6] Il motu proprio di papa Bergoglio del settembre 2015 è certamente un contributo di rilievo ad evitare sofferenze anti-evangeliche. D’altro canto esso appare uno strumento che si deve collocare in una stagione nuova nel considerare, ecclesiasticamente parlando, la serietà delle condizioni in cui i matrimoni vengono celebrati.

[7] Eccone una traduzione: «Quanto a quelli che si definiscono càtari, cioè puri, qualora si accostino alla chiesa cattolica e apostolica, questo santo e grande concilio stabilisce che, ricevuta l’imposizione delle mani, rimangano senz’altro nel clero. È necessario però, prima di ogni altra cosa, che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della chiesa cattolica, che cioè essi comunicheranno con chi si è sposato per la seconda volta e con chi è venuto meno durante la persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della chiesa cattolica e apostolica«. Questo pronunciamento ufficiale dimostra che un secondo matrimonio era possibile e comunque non era ragione di esclusione sacramentale.

[8] Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati, LEV, Città del Vaticano 1998, p. 27.

[9] G. Muraro, Alla ricerca di una via d’uscita Riflessioni e indicazioni teologiche per affrontare il problema dei separati e dei divorziati, in «CredereOggi» 23 (4/2003), 95. Per affrontare in modo sintetico ed efficace i temi inerenti a matrimonio, divorzio e relazioni familiari in difficoltà invito cordialmente a leggere il volumetto di Giovanni Cereti Matrimonio e misericordia, EDB, Bologna 2015. Nella Chiesa dei primi secoli, il marito di una donna infedele aveva la possibilità di ripudiarla – l’adulterio poneva fine al matrimonio in maniera irreversibile – e di vivere una nuova unione. In tutti gli altri casi, gli «adulteri» venivano sottoposti a una penitenza pubblica e ammessi alla riconciliazione e all’eucaristia dopo un certo periodo di tempo. Sulla base della testimonianza di Cipriano, intorno alla metà del III secolo esistevano due orientamenti: uno più rigorista, che si esprimeva soprattutto nelle comunità eretiche o scismatiche ed escludeva in alcuni casi la possibilità della riconciliazione, e uno più misericordioso, che riconosceva alla Chiesa la possibilità di rimettere tutti i peccati, anche i più gravi. Il saggio di Cereti permette di conoscere la prassi antica, indicata dal concilio di Nicea, e consente di prefigurare anche per la Chiesa cattolica un nuovo approccio al problema del divorzio e del nuovo matrimonio, passando dall’attuale sistema giuridico a un più evangelico sistema penitenziale, come avviene da sempre nelle comunità cristiane d’Oriente.

[10] Cfr., in proposito, il corposo saggio di B. Brogliato e D. Migliorini, L’amore omosessuale, Cittadella, Assisi 2014.

[11] L’omosessualità «per me è un punto di domanda: non riflette il disegno originale di Dio e tuttavia è una realtà, perché gay si nasce» (W. Kasper, Corriere della Sera, 1 ottobre 2015).

 

[12] S. Fausti, Ricorda e racconta il Vangelo, Ancora, Milano 1989, p. 314.

7 Ottobre 2015 | 09:59
Tempo di lettura: ca. 13 min.
Condividere questo articolo!