Renzo Petraglio

Noè nella Bibbia e nel Corano

Con questa riflessione desidero soffermarmi su un altro personaggio presente nella Bibbia e nel Corano. Si tratta di Noè. Tutti conoscono il racconto del diluvio che si verifica quando l’umanità è corrotta e piena di violenza. In questa situazione Dio decide di salvare Noè domandandogli di costruire l’arca per salvarlo, salvare lui, la sua famiglia e anche gli animali che Noè accoglie nell’arca. È così che Dio rende possibile un nuovo inizio della storia umana, un inizio marcato dal segno di un enorme arcobaleno che copre tutta la terra e che è il segno dell’alleanza di Dio con tutta l’umanità e tutta la creazione[1]. E’ quanto si legge, con moltissimi particolari, nel libro della Genesi (capitoli 6-9) e anche nel Corano nella Sura 71, intitolata « Noè » (« Nûh » in arabo), nella Sura 11,37-48, e anche in altre pagine del Corano[2].

Alcuni di questi testi li ho commentati per i giovani del Centro Giovani Kamenge di Bujumbura (Burundi) durante le settimane del Ramadan nel 2013[3]. E oggi voglio leggere con te due altri testi su Noè. Ecco il primo, nel libro del Siracide, un libro che è stato composto da un Ebreo, Gesù figlio di Sirac, un maestro di saggezza che – verso l’anno 180 prima della nascita di Gesù – scrive, in ebraico, il suo libro per aiutare i giovani di Gerusalemme. Più tardi, in Egitto, verso l’anno 130, un nipote del Siracide traduce in greco il libro di suo nonno. E questa traduzione è poi stata accolta nella Bibbia dove fa parte dei libri deuterocanonici dell’Antico Testamento.

4417 Noè fu trovato perfetto, giusto.

In un momento di collera ci fu riconciliazione.

Grazie a lui ci furono dei sopravvissuti sulla terra

quando avvenne il diluvio.

18 Alleanze di eternità furono stabilite con lui

perché ogni carne non fosse distrutta con il diluvio (Siracide 44,17-18).

Il testo si apre con due qualifiche di Noè: « perfetto, giusto ». Dopo questi dati positivi il Siracide menziona, per due volte, l’esperienza tragica del « diluvio », un’esperienza evocata come « un momento di collera », una collera presentata – in modo indiretto – come collera di Dio[4]. Ma, in questa situazione tragica, Dio ha compiuto una « riconciliazione ». Ed è così che, grazie a Noè, al momento del diluvio, « ci furono dei sopravvissuti sulla terra ».

Dopo la riconciliazione menzionata nel verso 17, il verso successivo parla di una alleanza, letteralmente « Alleanze di eternità ». Con questa espressione al plurale il nipote del Siracide sottolinea che l’alleanza stabilita con Noè non ha nessun limite: essa vale per i contemporanei del traduttore greco ma anche per ciascuna e ciascuno di noi oggi.

Infine un’ultima osservazione per la traduzione greca. In questi due versetti Dio non è mai menzionato in modo esplicito. Ma egli è sottinteso dietro ai verbi al passivo: Noè « fu trovato perfetto, giusto » da Dio. E la stessa osservazione vale per l’ultima frase: « Alleanze di eternità furono stabilite con lui »… da Dio. E questa forma verbale passiva ci permette di scoprire un intervento inatteso e imprevedibile: è uno sconosciuto che entra nella storia dell’umanità e che il Siracide non menziona direttamente. E’ qualcuno che, gratuitamente e senza nessuna condizione si impegna; ed è così che il diluvio cessa, che la vita continua.

Per Noè nel Corano, oggi voglio leggere con te due versetti della Sura 29 intitolata « Il ragno » (« al-›Ankabût » in arabo). Il titolo della Sura è tratto dal verso 41 dove la tela del ragno è metafora per le vane certezze dei miscredenti[5]. In effetti i miscredenti si comportano come il ragno che prende la sua  tela – una tela molto, molto fragile – come abitazione[6]. Sempre a proposito della ragnatela occorre anche menzionare un episodio concernente la vita di Muhammad. Quando egli fuggiva dalla Mecca verso Medina insieme con Abu Bakr, Muhammad si nascose in una grotta sul monte Thawr. E un ragno tessè rapidamente la sua tela all’entrata della grotta dove Muhammad si era rifugiato. E così il ragno indusse in errore gli idolatri che lo inseguivano. Essi, vedendo la ragnatela, pensarono che non vi fosse entrato nessuno e quindi decisero di non entrare nella grotta. E così Muhammad e Abu Bakr furono salvati[7] e poterono concludere la loro egira, la migrazione dalla Mecca a Medina l’anno 622 dell’era cristiana.

Di questa sura ecco una piccola sezione che evoca Noè, anche lui salvato.

2914 Già abbiam mandato Noè al suo popolo. Egli rimase con loro mille anni meno cinquanta. Poi il diluvio li portò via mentre commettevano iniquità. 15 Abbiam salvato però Noè e quelli che erano con lui nell’arca, facendone un segno per le creature (Sura 29,14-15)[8].

Questo riferimento a Noè era un conforto per Muhammad. Dio gli dice che aveva inviato Noè al suo popolo, e che egli era rimasto tutta la vita a richiamare il popolo a Dio, ma senza alcun risultato[9]. Infatti, in questi versetti, la prima persona del plurale si riferisce a Dio: è Dio che ha incaricato Noè di una missione presso il suo popolo. E Noè restò presso il suo popolo per predicargli l’unicità di Dio.

Nel seguito del verso 14 abbiamo una coincidenza perfetta con la Bibbia[10] e, più precisamente, con Genesi 9,28-29 dove leggiamo: «  E visse, Noè, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. E furono, tutti i giorni di Noè, novecentocinquanta anni, ed egli morì ». Infine, l’ultima frase del verso 14 evoca il « diluvio », « tûfân » in arabo. Questa parola, che il Corano utilizza solo qui e in 7,133, può significare diluvio, inondazione, catastrofe. In 7,133 « tûfân » evoca una delle piaghe che Dio mandò per punire gli Egiziani al tempo di Mosè; in 29,14 « tûfân » travolge coloro che non hanno accolto il messaggio di Noè e che erano ingiusti e oppressori.

Infine, nel verso 15, Dio dichiara di aver salvato Noè e quanti erano con lui sull’arca, ma aggiunge anche un riferimento all’arcobaleno. In effetti, Dio disse: Noi ne abbiamo fatto « un segno per le creature ». E a proposito di questo segno, voglio tornare su ciò che si legge nel Siracide. Qui, in 44,18 il testo ebraico dice: « Con Noè abbiamo stabilito un segno eterno ». E la parola « segno » (« ’ôt » in ebraico) che il traduttore greco non ha ripreso nella sua traduzione, ci rinvia al capitolo 43, ai versi 11-12: « Vedi l’arcobaleno e benedici il suo Autore, perché è molto maestoso in gloria. Con la sua gloria egli circonda la volta del cielo. La mano di Dio l’ha teso con potenza »[11]. E alla fine di questa frase il testo ha una nota che si può tradurre così: « Con l’arcobaleno Dio tende la sua mano alle persone »[12]. L’arcobaleno è un segno, un segno che non si può prevedere ma che possiamo contemplare con piacere. Vedendolo, siamo invitati a pensare a Noè e a Dio che, salvando Noè, ci riempie di speranza: Dio vuole salvare ciascuna e ciascuno di noi. Ed è per questo che egli ci tende, sempre, la sua mano. Ammiriamolo così, Dio!


[1] H. Küng, Islam. Passato, presente e futuro, Rizzoli, Milano, 2005, p. 706.

[2] Per questi 46 testi, cf. A. Godin et R. Foehrlé, Coran thématique. Classification thématique des versets du Saint Coran, Éditions Al-Qalam, Paris, 2004, pp. 283-285 sotto la voce « Noé (prophète) ». Cf. anche M. Chebel, Dictionnaire encyclopédique du Coran, Fayard, Paris, 2009, pp. 306-308 alla voce « Noé ».

[3] Cf. Leggere Bibbia e Corano per vivere insieme, di R. Petraglio con il contributo di E. Borghi, postfazione di G. La Torre, Parola & paole, Monografie, ABSI, Lugano, 2015, pp. 13-21.

[4] Per la menzione della collera di Dio, cf., sempre nel Siracide, 5,6-7; 16,11; 18,24.

[5] Così in Il Corano, a cura di A. Ventura. Commenti di A. Ventura, M. Yahia, I. Zilio-Grandi e M. Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, p. 700.

[6] Questa immagine per parlare dei miscredenti la si può leggere anche in Giobbe 8,13-15. Cf. Il Corano, a cura di A. Ventura. Commenti di A. Ventura, M. Yahia, I. Zilio-Grandi e M. Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, p. 702.

[7] Cf. Il Corano, a cura di A. Ventura. Commenti di A. Ventura, M. Yahia, I. Zilio-Grandi e M. Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, p. 702. Cf. anche Le Coran. Traduction française et commentaire, par Si Hamza Boubakeur, Maisonneuve & Larose, Paris, 1995, p. 1243.

[8] Per questa traduzione, cf. C. M. Guzzetti, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Elledici, Leumann (Torino), 2008, p.205.

[9] Così Ismaïl ibn Kathîr, L’exégèse du Coran en 4 volumes. Traduction : Harkat Abdou, Vol. 3, Sourate 18 (La Caverne) – Sourate 40 (L’indulgent), Dar Al-Kutub Al-ilmiyah, Beyrouth, 2000, p. 1051.

[10] Così C.M. Guzzetti, Bibbia e Corano. Confronto sinottico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) , 1995, p. 55.

[11] L’identificazione della gloria divina e dell’arcobaleno attestata in questo verso ha un antecedente in Ezechiele 1,28. Così C. Mopsik, La sagesse de ben Sira. Traduction de l’hébreu, introduction et annotation, Verdier, Lagrasse, 2003, p. 265, nota 5.

[12] Cf. R. Petraglio, Il libro che contamina le mani. Ben Sirac rilegge il libro e la storia d’Israele,  Edizioni Agustinus, Palermo, 1993, p. 53.

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15 Giugno 2022 | 06:27
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