Corinne Zaugg

Michela Murgia, il pensiero, l'eredità e il ricordo di un incontro personale

di Corinne Zaugg

Non c’è sorpresa in questo lungo addio. Michela Murgia aveva scelto di vivere questo suo tempo ultimo, pubblicamente. Raccontando giorno dopo giorno quello che stava vivendo, dopo che il tumore era tornato a visitarla per la seconda volta, questa volta senza lasciare spazio a speranza alcuna. Dall’annuncio della sua malattia al giorno della sua morte, sono trascorsi circa tre mesi.  Un tempo breve. Troppo, specialmente se hai poco più di cinquant’anni.  E tanta vita davanti.

Di lei non posso parlare che a partire da me. Da come il suo «Ave Mary» mi aveva spalancato le porte ad una riflessione sulle donne, diversa. O meglio a fidarmi di quello che sentivo e vivevo. Si poteva quindi dire (eravamo nel 2011) che le donne nella Chiesa erano in sofferenza! Si poteva dire che non venivano coinvolte nella vita della Chiesa se non nella fase dello stiro della tovaglia dell’altare.  Si poteva dire che vivevamo un disagio. Si poteva riflettere ad alta voce sui ruoli che d’ufficio, da generazioni, venivano dati alle donne. Lei lo ha fatto. Lo ha fatto da ex-giovane di Azione Cattolica, da dentro la Chiesa, continuando a frequentare…nonostante tutto.

L’ho tanto apprezzata per questo: anche perché aveva un bel senso dell’umorismo. E quello che aveva da dire, lo sapeva dire bene. Quando venne a Como a presentare Ave Mary, andai a sentirla. E andai a sentirla anche a «Torino spiritualità» , l’anno in cui la manifestazione era dedicata agli animali. Parlò delle pecore. Animali che da sarda, conosceva bene. Parlò della loro intelligenza. Che non seguono chiunque, ma solo il pastore che ben conoscono. Parlò della stalla e del pascolo. Di come non si possa solo vivere «dentro», al sicuro: perché alla fine finisce che manca il cibo. Perché il nutrimento -l’erba, il pascolo- stanno fuori: dove però abita l’insicurezza, dove si può essere preda…del lupo. E concluse dicendo che è Gesù la porta che separa il dentro e il fuori. Era concreta Michela. E una volta sentita non te la potevi scordare. Fu croce e delizia di molti conduttori televisivi: combattiva, coriacea, tenace. Tante volte l’ho vista tenere testa con enorme dignità a chi la voleva umiliare, piegare, zittire.  Negli anni ha scritto altri libri, ha vinto premi, ha condotto programmi radiofonici,  è scesa nell’agorà della politica, ha scritto sui giornali. Ha definito sempre meglio il suo penisero sulle donne,  riuscendo a farsi leggere, seguire e anche molto amare, dalle giovani donne. 

E poi è uscito «God save the queer», un libro dal titolo  provocatorio per un contenuto rigoroso e teologicamente fondato in cui spiega come si possa essere cristiane e femministe. Anzi, come proprio perché cristiane non si possa che essere femministe. Per la redazione di «Chiese in diretta» fu subito chiaro che Michela Murgia andata invitata. Fu deciso che toccava a me farlo.

Volli incontrarla di persona. Era prima di Natale. Cominciò un lungo carosello di date a appuntamenti. Infine, la sua addetta stampa mi comunicò che l’ Autrice preferiva fissare dopo Natale. Passò altro tempo: infine fu deciso per una data di inizio febbraio a Roma. Fu lei a venire in piazza Farnese, dalle suore di Santa Brigida dove alloggiavo. Arrivò in perfetto orario. Stretta in un cappotto di lana, mi sembrò piccola rispetto a come riusciva a giganteggiare  sullo schermo o o dal palco. Parlammo più di un’ora. L’intervista scivolò via piacevole. Le portai della cioccolata che accolse con entusiasmo.  Passammo dal «lei ” al «tu» senza accorgercene. Le chiesi un pensiero per l’8 marzo. Mi disse che sperava che non fosse più necessario avere una data per ricordare i diritti delle donne. Ma immaginava che lei non avrebbe vissuto abbastanza per assistere alla sua abolizione. E’ stato così. A inizio maggio, all’assemblea del Coordinamento delle teologhe l’aspettammo invano. E’ lì che seppi della sua malattia. Invece, al Salone del Libro di Torino, volle esserci. E ancora una volta, fece il pienone. La coda fuori dalla Sala Oro era infinita. Non riuscii da entrare. E così le spedii per posta, il libro che avevo portato da darle: «Avventura dell’ uomo» di Piero Scanziani. 

Nei mesi successivi la seguii attraverso i suoi post su Instagram. Il suo trasloco,  il suo matrimonio, i suoi momenti di forza, i suoi silenzi. Michela a vissuto quelli che dovevano essere i suoi ultimi tre mesi di vita con un’intensità profonda. Ha sistemato le sue cose, detto quello che si sentiva di dire, ha traslocato, si è sposata e solo qualche giorno fa si è indignata con il sindaco di Ventimiglia che ha fatto presidiare l’entrata del cimitero per impedire ai migranti di raggiungere l’acqua per lavarsi.

Ieri sera è morta. O meglio: il suo piccolo corpo stretto nel cappotto di lana, se n’è andato. Perché gli scrittori non muoiono mai.  Vivono nei libri che hanno scritto, nelle idee che hanno veicolato, nei cuori che hanno toccato. Grazie Michela (qui potete risentire l’intervista andata in onda il 5 marzo a Chiese in diretta: Cristiane e femministe, è possibile? – Jimmy Carter: fede, politica, diritti – RSI Radiotelevisione svizzera).

Michela Murgia (foto da Chiese in Diretta)
11 Agosto 2023 | 17:04
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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