Laura Quadri

L’uomo: un essere in dialogo

Di Laura Quadri

In un recentissimo discorso agli studenti dell’Università di Roma Tre – il primo discorso in un’università statale – Papa Francesco incoraggiava docenti e studenti «a vivere l’Università come ambiente di vero dialogo, che non appiattisce le diversità e neppure le esaspera, ma apre al confronto costruttivo». «Siamo chiamati a capire e apprezzare i valori dell’altro – ha proseguito – superando le tentazioni dell’indifferenza e del timore. Non abbiate mai paura dell’incontro, del dialogo, del confronto». Con queste parole, semplici, sagge ed efficaci, il Papa mette al centro dell’attività intellettuale la pratica del dialogo, proprio in una società che – purtroppo – il grande filosofo Emmanuel Levinas accusava di essere narcisistica, incapace di accogliere l’altro, ma volta solamente ad assimilarlo in categorie prestabilite. Una vera e propria sfida, dunque, quella lanciata dal Pontefice, che crede in un cambiamento dei nostri orizzonti. In quanto studentessa mi sento particolarmente interpellata da questa proposta: dialogare. Cosa bisogna fare per incominciare a dialogare seriamente? Mi viene qui in mente Hegel, altro filosofo, che in «Fenomenologia dello spirito» – scritto del 1807 ma di grande attualità – parlava del «riconoscimento»: una relazione sana riconosce l’alterità. Devo incominciare a capire, prima di tutto, che l’altro è diverso da me e che quindi la relazione non è rapporto con sé stessi ma apertura al differente. Solo così il mio relazionarmi diventa esperienza e da essa nasce poi la possibilità di un dialogo onesto. Dialogare può poi servirci ad aprire nuove vie non solo verso il futuro, ma a capire anche quello che è stato, a far pace con «il passato che ritorna» (tema caro agli antropologi), tanto più nelle contingenze odierne di una «società liquida», che tende a perdere la sua identità, come usava dire Bauman. Così appare fondamentale per la cultura occidentale di oggi – la cultura che si fa nelle università ma anche fuori di esse – andare incontro a forme diverse di essere, a modalità nuove di esistere, per capire le origini dalle quali prende le mosse.
Se rifiuto la strada dell’accettazione, posso reagire da fondamentalista, esprimendo apertamente la mia insofferenza verso la presenza dell’altro, del diverso, o posso esprimermi in toni di pacata indifferenza, la quale tuttavia ferisce in egual misura. Forse, di fronte alla possibilità di questi due atteggiamenti scorretti ci viene incontro con un’altra proposta, ancora una volta, Levinas. Dobbiamo immaginarci, secondo le parole del filosofo, che l’uomo non si sente spinto ad agire dalla natura (come vuole un discorso pre-moderno) o dalla sua razionalità (secondo un discorso filosofico moderno), bensì dall’esistenza dell’altro. Il fatto che esista un altro, il puro fatto dell’alterità, genera un dovere, una responsabilità. In questo modo la dimensione fondamentale dell’etica non è più all’interno del soggetto stesso, ma fuori. L’etica nasce così da un appello di una ragione indipendentemente da me alla quale devo rendere conto. Si tratta di una filosofia dialogica; abbiamo un soggetto obbligato a dialogare. L’io nasce dal tu; senza non esiste. L’etica, di cui il dialogare fa parte, non è nient’altro che la cura, la fiducia che dobbiamo avere nei confronti dell’altro. Levinas la chiamava una «subordinazione all’epifania del volto dell’altro». «Epifania», ricordiamoci questo: l’altro è sempre una rivelazione nella mia vita.

21 Febbraio 2017 | 11:14
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