Stella N'Djoku

Un giardino per ricordarsi dei Giusti

di Stella N’Djoku

Il poeta Davide Rondoni l’ha definita «una gran ricchezza da usare, interpretare e rilanciare, reinventando» e il neurofisiologo Flavio Keller ha detto che è «il tratto che caratterizza e distingue l’uomo dagli altri esseri viventi, perché l’homo sapiens, prima di essere faber, è anzitutto narrator». É la memoria, tema che ho potuto approfondire con Anna Maria Samuelli, membro fondatore del Comitato per la Foresta dei Giusti e responsabile della sezione didattica di Gariwo.

Professoressa Samuelli, come si conciliano memoria e tradizione oggi?

La frenesia della contemporaneità che impedisce di pensare può essere un falso problema alla luce del lavoro di formazione delle nuove generazioni. Il percorso educativo in famiglia e a scuola conduce a livelli di consapevolezza che comprendono anche passato e futuro. Sono cosciente dei problemi posti alla società e all’intero sistema educativo dall’epoca di quelle che Spinoza definiva le «passioni tristi» e tuttavia sono convinta che esistano tanti «circoli virtuosi» che attraverso l’atto educativo danno valore alla tradizione e aprono al futuro collegando la cultura alla vita.

Conclusa la mia attività d’insegnamento ho continuato a frequentare le scuole dal 2001, anno di fondazione di Gariwo la foresta dei giusti. E qui ho incontrato e incontro tante realtà d’impegno e lavoro di colleghi e studenti che aprono alla speranza. Non è andata perduta la capacità di «umanizzare la vita», di rendere consci della differenza tra il vivere nella dimenticanza o impegnarsi responsabilmente nella costruzione di rapporti con le persone e con il mondo. Questo accade là dove l’adulto si rende credibile con la forza della testimonianza. Per ciò siamo convinti che il nostro obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni le figure esemplari dei giusti e dei testimoni di verità della storia del Novecento e anche le figure della nostra contemporaneità vada nella direzione di una memoria che serve al presente.

Mi parli di Gariwo…

Gariwo (acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide) nasce a fine ›90 dal raccordo tra le memorie di un armeno e un ebreo che conducevano indipendentemente una ricerca sui giusti, figure  che non hanno distolto lo sguardo e hanno saputo dire di no al male e che sono una testimonianza che alimenta impegno e coraggio delle nuove generazioni, del Metz Yeghérn, il genocidio armeno e della Shoah. Il concetto di Giusto tra le Nazioni è stato universalizzato ed esteso alle figure dei giusti, dei testimoni di verità e dei resistenti morali di tutti i genocidi e totalitarismi e anche alle tragedie della contemporaneità. Lo statuto prevede la costituzione di luoghi della memoria con la realizzazione di giardini in tutte le parti del mondo nei quali vengono dedicati alberi e cippi a ricordo dei giusti. A Milano, nel 2003, abbiamo creato il Giardino dei Giusti di Monte Stella. Ogni anno, il 6 marzo, data della Giornata Europea dei Giusti istituita dal Parlamento europeo su proposta di Gariwo, vengono onorati coloro che hanno cercato di difendere i diritti dell’uomo nelle situazioni estreme e che si sono battuti per salvaguardare la memoria dei crimini contro ogni forma di negazionismo. L’obiettivo principale di Gariwo è la prevenzione dei genocidi attraverso l’educazione dei giovani alla responsabilità personale, in un legame tra passato e presente, tra memoria e attualità, anche attraverso la narrazione delle storie dei giusti nelle scuole. uest’annno abbiamoQuest’anno abbiamo lanciato il progetto «Adotta un Giusto» che prevede visita guidata al giardino, approfondimento delle figure scelte e restituzione e presentazione dei lavori realizzati dagli studenti. La sezione Wefor del nostro sito, www.gariwo.net, dedicata alla didattica e alla costituzione di Giardini  virtuali è stata riconosciuta come proposta di eccellenza dalla Comunità europea.

Perché «memoria» e non «ricordo» (che appare più vivido)?

Il ricordo è rivivere, rievocare; ha a che fare con il sentimento e con il cuore, con la sfera affettiva ed emotiva e appartiene in proprio alla nostra singolarità e soggettività; è certamente più vivido, ma meno si presta a diventare patrimonio comune.

La memoria è guardare al passato per recuperare il significato dell’agire umano, delle scelte compiute dagli uomini e delle conseguenze che ne sono derivate. Ha a che fare con la dimensione conoscitiva e intellettiva. La memoria, com’è stato spesso osservato, è pubblica e storica, il ricordo è intimo, personale. Un solo accenno al pericolo di quello che Tzvetan Todorov chiamava «gli abusi della memoria». Essa, infatti, può prestarsi a un uso politico sconsiderato e creare una situazione di concorrenza tra le memorie, ma, se correttamente usata, può essere trasmessa, consegnata e diventare strumento per leggere il presente e orientare il futuro. La memoria del bene crea la condizione del raccordo, non della concorrenza. Le azioni dei giusti del passato ma anche della nostra contemporaneità (e mi riferisco ai tanti giusti nascosti, resistenti morali di cui non si conoscono le storie) ci aiutano a consolidare una memoria attiva, non retorica, perché basata sulla testimonianza, sull’esempio.

Quanto é importante oggi parlare di memoria?

La memoria vede l’intreccio tra passato, presente e futuro; senza non c’è conoscenza e non si costituisce l’identità culturale e sociale. L’identità umana in senso culturale (c’è anche una memoria biologica cui è affidata la trasmissione dei caratteri psicofisici) si trasmette attraverso operazioni di conoscenza. L’uomo che vive in una dimensione sociale, per progredire, far crescere le idee, preparare le nuove generazioni, non può fare a meno della memoria. E la memoria dell’umanità altro non è che memoria storica, che ha una parte essenziale nella costruzione di quest’identità culturale. Va sottolineato che vivere la memoria ha senso se la proiettiamo sul presente, perché e affinché di fronte ad ogni forma di odio nasca in noi «la protesta etica» e si affinino le capacità percettive del male; perché possa abbassarsi drasticamente la nostra soglia di tolleranza alla violenza e aumenti la nostra capacità di cogliere i segnali premonitori della pianificazione del male.

La memoria, ha scritto Barbara Spinelli in occasione di una delle giornate dedicate alla Shoah, serve non solo a custodire l’orrore, ma anche a dar voce a coloro che avevano intuito, lanciato allarmi, cercato di scongiurarlo. La memoria dei giusti è un fatto etico, perché le azioni dei giusti costituiscono la risposta morale di resistenza al male e la memoria del bene diventa l’antidoto all’indifferenza, alla tentazione di distogliere lo sguardo là dove si assiste alla violazione dei diritti, alla prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Se siamo capaci di vivere con disagio ogni più piccola violazione dei diritti umani significa che stiamo lavorando per la costruzione di un patrimonio etico-culturale comune. E soprattutto significa assumere uno stile di vita nel quale non ci sia posto per l’omissione, che è la convivenza impersonale con il male, il male «banale» di cui parla la Arendt.

Quelli che hanno reagito e reagiscono al male li chiamiamo giusti. Il loro esempio ci aiuta ad assumere in noi la memoria del passato in modo nuovo, rielaborarlo ed essere attrezzati a leggere il presente e ad affrontare il futuro.

Quanto contano le tradizioni?

Le tradizioni ci appartengono. Usi, costumi, vita sociale, ma anche valori che ci hanno orientato nella vita, che ci sono stati trasmessi e trasmettiamo. Sono l’insieme dei modi in cui ci apriamo alla relazione con gli altri e al futuro. Va sottolineato che tradizione non è conservazione. Ancora una volta vediamo che anche la tradizione, come la memoria, ci rimanda a una dimensione temporale. Io consegno a chi è dopo di me, nel futuro, qualche cosa che ho ricevuto nel passato e che viene speso nel presente. È superamento dell’individualismo, condivisione e necessariamente apertura al nuovo, perché ogni passaggio di generazione é arricchimento e cambiamento.

Qualche aneddoto per i lettori?

Più che un aneddoto vorrei riproporre e lasciare aperta una domanda, postami da uno studente di prima media nel corso di una visita guidata al Giardino dei giusti del Monte Stella a Milano:

«Prof. come faccio a sapere se avrò il coraggio di comportarmi come i Giusti? Chi me lo da questo coraggio?».

Aggiungo che l’identificazione della memoria con l’orrore porta alla tentazione di cancellare il passato e la tragicità del presente, mentre la ricerca dei giusti, l’identificazione della memoria col bene, con l’atto dei giusti, mette in moto energie positive, stimolando la capacità di pensare in modo autonomo e di porsi domande cruciali: questa è la condizione per l’esercizio della responsabilità.

Come preservare e attualizzare la memoria rendendola fruibile oggi e cercare di far sì che essa continui a vivere?

Le grandi opere hanno la capacità di suscitare la nostra passione. Se lasciamo che questa passione fluisca, diventa «permanenza».

1 Maggio 2015 | 08:00
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