Ernesto Borghi

La gioia della santità è per chiunque?

«Rallegratevi luminosamente ed esultate fieramente»: questa è la traduzione letterale dei due verbi che iniziano l’ultima esortazione apostolica di papa Francesco, a due anni da un testo globalmente liberante come l’esortazione apostolica Amoris laetitia. Le due parole in questione, come è noto, sono tratte dalla conclusione del brano matteano delle beatitudini (Mt 5,11). Sono due imperativi presenti nella lingua originale di questo passo evangelico: ciò significa che la gioia visibile a pelle e la contentezza interiore devono essere delle condizioni che non possono che durare nel tempo, se si vive giorno dopo giorno per i valori dello spirito e per la ricerca quotidiana della giustizia secondo mitezza, misericordia, sincerità e determinazione a realizzare la pace.

Questo è il quadro in cui si articola la riflessione del vescovo di Roma attuale sulla santità, una dimensione intesa e proposta come obiettivo di chiunque cerchi di essere discepolo del Dio di Gesù Cristo. In questo scritto, più che mai, si apprezza la sua elevata comprensibilità e la concretezza espressiva di un uomo come Jorge Mario Bergoglio che non ha bisogno di grandi elucubrazioni teoretiche per esprimere, ancora una volta, con particolare credibilità esortativa, che cosa sia davvero essenziale per vivere: «Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1)» (n. 1).

Dinamismo e integrità: due caratteristiche esistenziali decisive per contribuire a costruire il Regno di Dio, cioè a diffondere ovunque possibile la logica d’amore con la quale Dio opera a favore di ogni essere umano. In questa prospettiva è decisivo evitare ogni intimismo fine a se stesso: «Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione» (n. 26).

La preghiera è una dimensione molto importante della vita cristiana (cfr., in particolare, le intense ed efficaci osservazioni ai nn. 153-154), ma l’obiettivo davvero essenziale che è proposto ad ogni essere umano che intenda seguire Gesù Cristo è quello di mettersi a disposizione integralmente nel modo seguente: «La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui che ci anticipa, di offrirgli le nostre capacità, il nostro impegno, la nostra lotta contro il male e la nostra creatività, affinché il suo dono gratuito cresca e si sviluppi in noi: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). Del resto, la Chiesa ha sempre insegnato che solo la carità rende possibile la crescita nella vita di grazia, perché «se non avessi la carità, non sarei nulla» (1 Cor 13,2)».

Per poter arrivare a ciò seriamente, restando alla larga dai due rischi culturali ed etici fondamentali della nostra epoca – credere che il senso della propria vita dipenda essenzialmente dalle proprie forze intellettuali (cfr. nn. 36-46) o dalle proprie azioni pratiche (cfr. nn. 47-51.57-59) e agire di conseguenza – occorre evitare ogni forma di moralismo etico e settarismo religioso. A questo proposito è assai eloquente proprio il testo del n. 58: «Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore…Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati… o corrotti». Papa Francesco sa bene che troppi pensano di essere non una componente della Chiesa, ma «la Chiesa» e di dettare agli altri le norme etiche e spirituali che essi ritengono quelle «effettivamente» cristiane. E non solo. Anche soltanto negli ultimi cinquant’anni gli esempi in proposito sono molto numerosi e concernono tante persone escluse, per es., da cattedre universitarie e posti di responsabilità professionale o sociale o civile essenzialmente perché rispondevano e rispondono anzitutto alla propria coscienza e competenza e non ai capi di questo o quel movimento o gruppo ecclesiale. Tale esclusivismo si fonda su valori che con la fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo e alla sua giustizia non ha alcun rapporto, anzi ne sono un palese tradimento.

Se Matteo 5,3-12 e 25,31-46 sono il quadro di riferimento fondamentale verso la santità (cfr. n. 110), si comprende bene quali siano le caratteristiche imprescindibili del reale rapporto con Dio:

«104. Potremmo pensare che diamo gloria a Dio solo con il culto e la preghiera, o unicamente osservando alcune norme etiche – è vero che il primato spetta alla relazione con Dio –, e dimentichiamo che il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri. La preghiera è preziosa se alimenta una donazione quotidiana d’amore. Il nostro culto è gradito a Dio quando vi portiamo i propositi di vivere con generosità e quando lasciamo che il dono di Dio che in esso riceviamo si manifesti nella dedizione ai fratelli. 105. Per la stessa ragione, il modo migliore per discernere se il nostro cammino di preghiera è autentico sarà osservare in che misura la nostra vita si va trasformando alla luce della misericordia. Perché «la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli»1. Essa è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa»2. Desidero sottolineare ancora una volta che, benché la misericordia non escluda la giustizia e la verità, «anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio»3. Essa «è la chiave del cielo»4. 106. Non posso tralasciare di ricordare quell’interrogativo che si poneva san Tommaso d’Aquino quando si domandava quali sono le nostre azioni più grandi, quali sono le opere esterne che meglio manifestano il nostro amore per Dio. Egli rispose senza dubitare che sono le opere di misericordia verso il prossimo5, più che gli atti di culto: «Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e con offerte esteriori a vantaggio suo, ma a vantaggio nostro e del prossimo: Egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo. Perciò la misericordia con la quale si soccorre la miseria altrui è un sacrificio a lui più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo».

Queste affermazioni fanno comprendere quanto sia necessario mettere in atto un discernimento culturale ed etico che permetta di allargare il proprio cuore, la propria mente e la propria vita in ogni direzione utile ad un rapporto con Dio declinato nell’attenzione agli altri esseri umani, a cominciare dai più poveri e dai più deboli:

«175. Quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti. Ma occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti della nostra vita. Colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare in noi per mutilare o indebolire, ma per dare pienezza. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli».

Nel quadro delineato da papa Bergoglio in questa esortazione apostolica tentare di essere cristiani pone in una logica esistenziale non facile, ma condivisibile all’interno e all’esterno delle Chiese storicamente configurate perché di ampio respiro e di liberante responsabilità. Ci si può rallegrare visibilmente e orgogliosamente di poter entrare in questa logica di vita? Certamente sì, anzitutto perché la pista esistenziale proposta, pur culminando al di là della dimensione terrena della vita, eleva sensibilmente il livello qualitativo dell’esistenza nell’ambito essenziale di essa: la positività delle relazioni con gli altri radicate fortemente nell’amore, anzitutto nell’amore…

1 Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), 9: AAS 107 (2015), 405.

2 bid., 10: AAS 107 (2015), 406.

3 Esort. ap. postsin. Amoris laetitia (19 marzo 2016), 311: AAS 108 (2016), 439.

4 Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 197: AAS 105 (2013), 1103.

5 Cfr Summa Theologiae, II-II, q. 30, a. 4.

3 Maggio 2018 | 09:02
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