Corinne Zaugg

I quattro pilastri della pace. Intervista a Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire»

Il primo mese di questa guerra così vicina culturalmente e geograficamente a noi ha costretto tutti a riprendere in mano le proprie convinzioni per verificarne la tenuta alla prova dei fatti. Tra tutte le voci che in questi 38 giorni si sono incrociate, sovrapposte, espresse su posizioni diametralmente opposte, una si è elevata al di sopra di tutte: quella di papa Francesco che ha denunciato la guerra come un «atto barbaro e sacrilego» e l’investire in armi «un atto che sporca l’anima». Partiamo dalla sua condanna senza appello della guerra, per chiedere a Marco Tarquinio, direttore del quotidiano dei vescovi italiani «Avvenire », se papa Francesco sia oggi rimasto l’unico e l’ultimo pacifista.

«Io penso che papa Francesco sia il primo pacifista del tempo nuovo che ci sta davanti. Innanzitutto, va detto che papa Francesco si inserisce nella tradizione dei papi che lo hanno preceduto e che da Benedetto XV a oggi, hanno messo a disposizione dell’umanità un magistero ininterrotto contro la guerra. Dopo la Seconda guerra mondiale è diventato chiaro a tanti, se non a tutti, che non esistono guerre giuste. Francesco lo scrive nell’enciclica Fratelli tutti in maniera molto limpida. Io credo che oggi anche nel mondo religioso ci sia una fatica a fare i conti con questa realtà e che ancora non siamo capaci di elaborare una cultura per cui al male si risponda col bene».

La guerra divide, lo sappiamo. Ma anche la pace, sembra. Lo abbiamo visto con le affermazioni del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, che ha affermato che «il diritto a difendersi prevede il ricorso alle armi». «Legittima difesa non significa legittimazione della guerra, né accettazione dello stato di guerra. Può essere la reazione inevitabilmente necessaria di fronte a un male pressante. Sempre, però, nella logica di una mentalità ha che insanguinato la storia umana per millenni. Oggi è arrivato il tempo di cambiare questa logica.

Riconoscere che ci può essere una legittima difesa, non significa dire che è giusto in assoluto usare tutte le armi a disposizione per difendersi.

Io credo che questo sia il crinale su cui stiamo camminando e il segno dell’asincronia che stiamo vivendo: da un lato continuiamo a ragionare con vecchie categorie e dall’altro ci troviamo confrontati con pressanti problemi nuovi, dati dalla disponibilità di armi di distruzione di massa e di manipolazione della nostra stessa umanità».

Anche tra i cristiani e tra chi si professa credente, questa guerra mostra che non vi è unità di visione. «Giovanni XXIII scrive nella Pacem in terris che la pace si regge su quattro pilastri: la libertà, la giustizia e poi ne aggiunge due altri, che possono sembrare da «anime belle» e che invece sono fondativi: la verità e l’amore. La verità e l’amore significano, in questo contesto, avere la chiarezza che ci sono torti evidenti che portano gli uomini a farsi la guerra.

Ci sono anche delle ragioni – a volte evidenti – ma la guerra non ha mai ragione: non è un gioco di parole.

È chiaro che ci vuole l’amore più grande della terra per resistere in modo non violento a una provocazione fortissima. La pagina evangelica in cui si dice di porgere l’altra guancia quando si viene percossi, facciamo fatica anche solo a leggerla. Lo scandalo di questa guerra è che ci sono persone che proclamano il Vangelo e che si stanno affrontando con una ferocia inusitata, riportando in Europa quello che avevamo deciso che non dovesse esserci mai più: la guerra aperta e violenta ».

Se il mondo cristiano ortodosso si è spaccato di fronte a questo conflitto, la questione delle armi fa discutere anche gli altri cristiani. Di recente il Consiglio ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose – che comprende cristiani di varie denominazioni, ebrei e musulmani – ha rivolto un appello alla NATO, all’ONU e ad altri organismi internazionali perché forniscano loro un moderno equipaggiamento di difesa aerea.
«L’Ucraina è un Paese in guerra, attaccato in maniera molto dura dalle armate russe e questo spiega reazioni forti. Io avrei sperato che gli uomini e le donne di fede fossero capaci di vedere in modo più profondo quello che c’è in ballo. Ma mi rendo conto che è anche molto difficile fare questo nella temperie che si sta vivendo. Credo anche però, che la testimonianza di Papa Francesco sia molto importante. La sua non è la figura di un cappellano dell’una o dell’altra parte, come purtroppo è stato tentato di fare o costretto a fare, il patriarca di Mosca, Kirill. Papa Francesco è profetico e indica la via del futuro. Non propone il ritorno alle prigionìe ideologiche e belliche del passato.

Sono convinto che il Papa vorrebbe andare a Kiev e, per come abbiamo imparato a conoscerlo, ci andrebbe a piedi, con il passo pesante e affaticato dei suoi 85 anni. Però vorrebbe poi continuare per Mosca…».

E infine ancora una curiosità: perché il Papa non ha mai pronunciato, nel corso di tutti i suoi appelli alla pace, il nome di Putin? «A dire il vero non ha mai fatto nemmeno quello di Zelensky! Una delle tradizioni della Chiesa molto chiara è quello di condannare il peccato, cercando di salvare il peccatore. Il Papa è preoccupato di fermare la crudeltà scellerata della guerra, denunciando il male chiamando, quello sì, per nome. E poi c’è il sano realismo cristiano che invita a fare la pace con chi c’è, non con chi si vorrebbe che ci fosse. Bisogna fare la pace con Putin, con Zelensky, sono loro che la devono fare, non le loro controfigure. Ai leader lascia la libertà di costruire la pace necessaria, indicando loro l’urgenza di farlo».

Guarda la puntata di Strada Regina (RSILa1) del 2.4.2022 e quella di Chiese in diretta (RSI Rete Uno) del 3.4.2022.

Corinne Zaugg

2 Aprile 2022 | 05:57
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