Emanuele di Marco

Generazione «touch»

di don Emanuele Di Marco

Può essere un tocco «di classe», «magico», «diverso»… comunque sia, non si può ignorare che la nuova generazione di bambini sia tutta immersa nel touch! Hanno pochi mesi, poco più di un anno, eppure riescono già a riconoscere l’icona YouTube sullo schermo per andare ad ascoltare la propria musica preferita, oppure ancora riescono ad accedere ai giochi del telefonino di papà. I bambini digitali sono i nativi di questo tempo – immersi prima ancora nel web che nella relazionalità della scuola materna. Cosa accada però nella loro crescita non è ancora ben definito: attualmente se ne vedono solamente le capacità di gestione degli schermi davanti alla quale come adulti assistiamo con compiacimento più che con preoccupazione. E forse proprio un po’ di ansia davanti al fenomeno non guasterebbe: i bimbi digitali sono inseriti in un mondo nel quale non possono ancora muoversi agilmente – il mondo del virtuale non può essere il pane quotidiano di bambini che non hanno ancora una struttura mentale che li aiuti a discernere tra virtuale e reale. Non solo: essendo l’esperienza famigliare sempre più esigua (famiglie monoparentali e con figli unici) la relazione viene costruita sugli schermi piuttosto che sul contatto fisico. L’unico senso stimolato è… il tatto. Ma un tatto virtuale. Sovente ci si confronta con lamentele ormai entrate negli adagi quotidiani: quando si è a tavola, i ragazzi guardano più lo smartphone che i commensali, quante volte ci si imbatte in un bambino che supplica il papà per avere il suo telefonino per giocare, quanto ci sentiamo poco ascoltati durante un colloquio continuamente interrotto dai suoni (più o meno melodici) del cellulare del nostro interlocutore. Dovremo sempre più abituarci a questo nuovo modo di vivere, laddove i primi passi dell’infanzia sono superati dalla danza delle dita sullo schermo dell’iPad? Dobbiamo ammetterlo… persino la tastiera ed il mouse si stanno avviando al museo. Troppo… concreti. Fino a poco tempo fa, il mouse era il simbolo del potere e la tastiera quello dell’onnipotenza comunicativa, il joystick o la consolle gli strumenti del piacere ludico. Muovevano qualcosa di virtuale… ma erano concreti. Ora è tutto affidato ad uno schermo. Sul quale posso tutto. Veramente tutto. I nuovi «sacramenti» dell’iniziazione digitale (il touch sugli strumenti di papà e mamma, poi il telefonino ed infine il proprio smartphone con abbonamento internet senza limiti) stanno segnando le tappe più significative dell’educazione della nostra gioventù. Le immagini che scorrono e che sono impalpabili come pure gli schermi bidimensionali stanno aprendo una nuova era nel quale il conflitto reale – virtuale appare in tutta la pericolosità. Non si tratta di demonizzare le tecnologie, anzi! Proprio perché si tratta di comprenderle e di fruirne con il giusto rapporto è necessario imparare ad averne un sano distacco, dettato anche dalla maturazione del singolo. Prima di lasciare che i polpastrelli dei nostri bambini abbiano i calli per il troppo uso del touch, è meglio che li usino per colorare, per incollare, per ritagliare e per indicare una riga che stanno leggendo. Non si tratta di essere retrogradi. Ma innanzitutto di educare alla realtà. Il virtuale si comprende se prima si è in grado di confrontarsi con il reale. Il dito indice non serve solo a scorrere sullo schermo. Serve anche a dire «no». Forse dobbiamo proprio recuperare questo gesto. «No», è troppo presto. Perché se allo schermo dai un dito troppo presto, questo ti prende la mano. E il braccio. E il resto.

29 Maggio 2015 | 08:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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