Cristina Vonzun

Davanti allo stallo delle diplomazie il Papa gioca la carta del testimone

Il Papa lo aveva annunciato nel volo di rientro dal recente viaggio in Ungheria: la Santa Sede si sarebbe impegnata a breve in una missione speciale relativa al conflitto ucraino. Sabato scorso è arrivata l’ufficialità attraverso l’annuncio della sala stampa vaticana dal quale si è appreso che il Pontefice ha incaricato Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente dei vescovi italiani, «di condurre una missione, che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza (…) che questo possa avviare percorsi di pace».

Insomma, non si tratta di un’azione diplomatica o politica, non di un piano che ponga fine alle contese territoriali e belliche ma di un tentativo di «allentare quelle tensioni» che sembrano ogni giorno più insormontabili tra Russia e Ucraina e che di fatto impediscono la messa in atto di qualsiasi successivo e condiviso piano di pace, da parte di qualsiasi diplomazia. La missione di Zuppi parte da qui. Qualcuno nei media, ripercorrendo la biografia dell’arcivescovo di Bologna e presidente dei vescovi italiani, ha messo in luce la sua lunga esperienza di mediatore nei conflitti soprattutto in Africa con la comunità di Sant’Egidio, esperienza ecclesiale cattolica impegnata da decenni a favore della pace. Matteo Zuppi, per anni assistente ecclesiastico di Sant’Egidio, non solo è ricordato per la firma dell’accordo generale di pace del 1992 che mise fine alla guerra civile in Mozambico, ma pure per le mediazioni in Rwanda, Algeria e Repubblica Democratica del Congo. La sua opinione sulla guerra in Ucraina ricalca quella di Francesco: responsabilità russa nell’aggressione, riconoscimento della legittima difesa dell’aggredito ma anche un costante richiamo al dialogo e a ricercare la pace.

Papa Francesco con l’incarico a Zuppi non ha voluto scavalcare la Segreteria di Stato vaticana che è l’incaricata ufficiale della diplomazia papale o altre diplomazie internazionali, comunque, tutte apparentemente in fase di stallo: semmai offre loro una spalla. D’altronde, così fece in tempi altrettanto penosi e drammatici Giovanni Paolo II nel 2003 quando mandò i cardinali Etchegaray e Laghi a Baghdad e a Washington nella speranza di scongiurare la guerra in Iraq. Se questi due porporati potevano vantare conoscenze e amicizie personali all’interno della classe dirigente dei due Paesi, oggi Zuppi dalla sua vanta non solo la fama di uomo capace operativamente di pace, ma pure l’apporto anche dell’amicizia con il mondo ortodosso, data la spiccata attitudine ecumenica di Sant’Egidio e le relazioni che la comunità ha saputo intessere negli anni ad Est.

Rimanendo con i piedi per terra e senza caricare l’incarico dato al cardinale Zuppi di troppe pretese, il suo volto di cristiano coerente con la pace, prete di periferia diventato vescovo nella città di Bologna ed ora a capo dei vescovi italiani, può essere un presupposto favorevole al dialogo. D’altronde non ci fu un altro cristiano, allora era un laico, – e qualcuno in questi giorni lo ha ricordato – Giorgio La Pira, sindaco santo della «rossa» Firenze, ai tempi del gelo tra Occidente e Russia, e si era nel 1959, a diventare il primo occidentale nella guerra fredda a tenere un discorso a Mosca, al Soviet Supremo? Tanti anni dopo quella lontana visita, il presidente russo Mikhail Gorbaciov nel 1989, durante un viaggio in Italia citò due volte nei suoi discorsi proprio La Pira. Qualcuno fu sorpreso: ma i suoi collaboratori sapevano dell’interesse che il presidente russo aveva per il pensiero e la vita del «sindaco santo». Lasciamo quindi aperta la porta alla speranza: laddove la diplomazia finisce in stallo forse un cristiano coerente e testimone di pace può spargere almeno un seme buono che prima o poi potrebbe portare frutto.

Il cardinale Zuppi con papa Francesco.
26 Maggio 2023 | 16:13
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card. zuppi (11), guerra (163)
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