Ernesto Borghi

Credere per vivere e far vivere

In questi giorni d’agosto, così caldi e tesi a livello globale da un capo all’altro del nostro Pianeta, ci troviamo di fronte a due forme, in cui gli esseri umani esprimono il modo in cui essi credono, del tutto alternative tra loro.

Da un lato vi è una fede dominata dalla volontà di imporsi sugli altri, che non tiene conto dell’antichità lontana e disumana di certe sue radici e pensa di poter perpetuare varie prevaricazioni a cominciare dalla discriminazione sessuale a tutti i livelli. Questa è la fede che pare mobilitare molti talebani in Afghanistan e, in forme diverse, altri cosiddetti «fedeli»in non poche parti del mondo.

Dall’altro vi è la fiducia nella giustizia per tutti, nella professionalità al servizio della vita altrui, nel rifiuto della violenza come strumento per promuovere i propri diritti, nel superamento di qualsiasi divisione e separazione culturale, religiosa, sessuale, a favore della dignità di ogni essere umano, a cominciare da quella dei più deboli. Questa è stata la fede di Gino Strada e continua ad essere quella di tutti coloro che, donne e uomini, credenti religiosi e non religiosi, nel Nord e nel Sud del mondo spendono la loro vita per il bene oggettivo degli altri.

I talebani sono religiosi? Il fondatore di «Emergency» era ateo? Queste domande appaiono davvero oziose in questo momento e forse lo saranno anche in futuro.

Chi vuole impegnarsi per la felicità propria insieme a quella altrui, che frequenti regolarmente un luogo di culto o abbia altri punti di riferimento spirituali, è un essere umano credibile in termini di umanità, una persona capace di bene autentico, alla quale è possibile guardare per trarre spunti esistenziali importanti. E i frutti del suo agire – per parlare evangelicamente – daranno conto del valore della sua persona. Di queste/i credenti vi è sempre stato un grande bisogno e questo discorso è più che mai vero nel nostro tempo.

Non vi è, invece, alcuna necessità di chi si dice credente, anzitutto religioso, e pensa essenzialmente a se stesso e alla «tranquillizzazione» della propria coscienza, senza chiedersi anzitutto se le persone di cui ha responsabilità diretta e tanti altri suoi simili vivono in un quadro, lo ripeto, di giustizia e di dignità. Forse costoro penseranno di essere credenti, ma la loro fede non è credibile, anche religiosamente parlando.

Facciamo una considerazione propriamente cristiana. La bellezza dell’eucarestia/santa cena è pienamente espressa solo quando il valore essenziale che essa esprime – l’amore per gli altri – si realizza nei rapporti con le persone che ci sono contemporanee. E se qualcuno è più capace di queste realizzazioni rispetto a chi, per esempio, cerca di essere cristiano, e non è religioso nel senso comune del termine, che cosa si deve fare? Gingillarci in disquisizioni risibili sul fatto che la sua testimonianza di vita non sia «evangelica», che egli non frequenti riti e culti? Oppure provare a guardare a lui per capire come migliorare su quella strada di vera umanizzazione anche nel contribuire a rendere più chiaro il rapporto con la vita quotidiana dei vari momenti cultuali? La risposta mi pare evidente… Anche perché non ci si deve dimenticare che non è possibile amare Dio che non si vede, se non si amano le proprie sorelle e i propri fratelli in umanità che si vedono (cfr. Prima lettera di Giovanni, cap. 4, v. 20)…

E, concludendo, allarghiamo il discorso: le oltre undicimila persone che, in questi giorni, hanno portato il loro saluto alle ceneri di Gino Strada perché lo hanno fatto? Perché questo medico di grande coraggio, enorme generosità e lucida intelligenza ha compiuto, con la sua vita, qualcosa di così evidentemente bello e buono a livello radicalmente esistenziale che non si può fare altro che riconoscerlo e, per quanto possibile, cercare di imitarlo. Per tentare di essere credenti credibili…

L'urna con le ceneri di Gino Strada presso la sede di Emergency a Milano.
24 Agosto 2021 | 15:59
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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