Cristina Vonzun

Comunicazione e misericordia: l’esempio dei Santi

C’è un’ immagine cara al cardinale Bergoglio per descrivere il rapporto tra la comunicazione e la misericordia che è anche il tema della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebra oggi in Svizzera: è l’icona evangelica del Buon Samaritano, che il Papa ha già accostato in altre occasioni al messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali. Ma c’è anche un altro volto che il cardinale Bergoglio aveva fatto proprio nel 2002 per parlare di comunicazione: la figura di Massimiliano Kolbe, co-patrono (invero un po’ dimenticato) dei giornalisti. L’icona biblica e la figura del frate polacco morto ad Auschwitz, sono particolarmente efficaci per commentare un tema come «Comunicazione e misericordia». Per Francesco sono le due facce della stessa medaglia: non c’è comunicazione che in qualche modo, per essere autentica, non faccia i conti con la misericordia, non sia dono che possa essere gratuito, avvicinare e rendere prossimi e non c’è misericordia che se è tale, non comunica speranza, vita, soprattutto amore. Mi pare pertanto che una figura capace di riassumere questi aspetti della comunicazione e della misericordia sia quella di Massimiliano Kolbe (1894 – 1941), non per niente, canonizzato da San Giovanni Paolo II proprio come «Martire della carità» e co-patrono dell’ordine dei giornalisti, in ricordo anche dell’opera informativa che il frate polacco svolse con i mezzi di comunicazione sia in Giappone, da missionario, sia in Polonia, prima dell’avvento dei nazisti. Padre Kolbe, «martire della carità» è proprio la figura di sintesi di comunicazione e misericordia, di quella prossimità che la parabola del Buon Samaritano mette a tema. Kolbe ha compiuto questa sintesi in modo sublime, quando nel lager di Auschwitz, nel 1941, decise liberamente di avvicinarsi ad un condannato a morte e dare la sua vita, in cambio di quella del prigioniero destinato dai nazisti ad essere eliminato. Padre Kolbe con questo gesto di misericordia e carità pronunciato con la vita ci dice, di nuovo, che la comunicazione più grande è quella che genera nel tempo un’eternità di parola, una storia che non si spegne, che continua a parlare a tutti. Queste parole eterne sono state pronunciate da Kolbe nel luogo dove la vita, la speranza, l’amore dovevano essere sistematicamente annientati nel nome di un’unica parola: morte. Eppure, in quel luogo di nichilismo dominante, un’altra parola si è imposta ed è arrivata fino a noi oggi, facendosi più forte e affascinante delle tante altre parole di morte e orrore che in quei giorni vennero pronunciate dai maestri del male. I santi sono i più grandi comunicatori, perché sono persone libere di amare e autentiche, persone che vanno avanti, che non hanno paura, che non cedono al nichilismo. Per non scomodare Madre Teresa, concludo ricordando l’esempio della forza della parola di misericordia pronunciata da un altro santo: san Damiano de Veuster (1840 – 1889), il missionario belga che ha esercitato la misericordia a Molokai, un’ isola di lebbrosi chiamata «l’ inferno dei vivi». Avrebbe potuto comunicare indignazione, rabbia, ribellione, (come anche Massimiliano nel lager) ma passò la vita a comunicare ai suoi lebbrosi l’ immensa dignità di ogni figlio di Dio, ricostruendo per loro, nell’ isola, l’ intero tessuto sociale, inesistente fino al suo arrivo. Alla sua morte, nel 1889, il Times si sentì addirittura «costretto» a comunicare così la notizia: «Questo prete cattolico è divenuto per tutta l’ umanità un amico». Anche in questo caso una parola di misericordia ha vinto su tante parole di morte.

Giovani con il Papa
1 Maggio 2016 | 06:47
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