Emanuele di Marco

Educare alle emozioni o educare le emozioni?

Di Don Emanuele Di Marco

«Mi ha emozionato moltissimo». «La vita è tutta un’emozione». «L’importante è che ti emozioni». Molte sono le espressioni giornaliere che utilizziamo per esprimere il posto importante che le emozioni hanno nella nostra vita. Esse consentono a ciascuno di noi di essere in relazione con il mondo, ci permettono di non sentirci esclusi da quanto c’è intorno a noi. Ciò che abbiamo davanti, ci interroga. Suscita in noi qualcosa. Muove la nostra anima.
E lo sanno bene gli esperti di comunicazione: se vediamo una pubblicità in TV nella quale si mostra un bambino affamato, rapida è la nostra emozione di tristezza. Se ci troviamo da soli al buio, la paura di un imprevisto che possa farci del male ci mette in imbarazzo. Quando qualche persona ci dà un bacio, rapidamente diventiamo rossi. È normale, diremmo. Esse testimoniamo cosa ruota nel nostro cuore.
Così importanti nella comunicazione che gli ideatori di SMS, Whatsapp, ecc. hanno aggiunto ai caratteri grafici anche faccine di vario genere che, guarda a caso, si chiamano proprio emoticons. Abbiamo bisogno di completare la nostra comunicazione verbale con qualcosa di non verbale.
Spesso si parla di educare alle emozioni, ovvero favorire nelle persone le reazioni emozionali. Spingere ad esprimere quello che sentono.
Questo va molto bene, è sicuramente un aspetto importante. Piuttosto però dell’educazione alle emozioni, spicca per arguzia, in un testo di Papa Francesco noto per altri contenuti, l’idea di un’educazione «delle emozioni». «Provare emozione non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso» (n. 145): riprendendo San Tommaso d’Aquino il Papa ricorda che ciò che può essere fuorviante per l’uomo è l’atto, non tanto l’emozione che lo ha generato. Per questo è importante educare le emotività: affinché i gesti, gli atti, le opere siano determinata più da un desiderare cose alte, che non dall’attuare ciò che in quel momento dà piacere. Orientare le passioni: il punto è essenziale. È un richiamo a ricostruire un’umanità lacerata nel rapporto con gli altri. L’amore – parola abusata per mille campi e proprio per questo svuotata semanticamente – ha bisogno di essere educato. È volere il bene dell’altro, non solamente il proprio.
Le emozioni sono quindi da orientare verso un bene, una verità, un valore. Non siamo molto abituati a cogliere la sfida di una simile operazione di orientamento… La sfida vera è infatti quella di riuscire non tanto a « subire » le emozioni, ma piuttosto a darle il giusto orizzonte. Il valore di queste è, per il cristiano, significato dall’atteggiamento di Gesù : lui che ha pianto davanti alla morte di Lazzaro, si mostra col volto triste, prova compassione. Queste sono emozioni non chiuse nel malefico circolo dell’egoismo del piacere, ma sono emozioni aperte al bene altrui. Non basta quindi educare ad avere le emozioni. Bisogna educare le emozioni. Solo così la vita non sarà una corsa dietro a ciò che provoca emozioni, piuttosto sarà una vita che sa emozionarsi davanti a ciò per cui ne vale veramente la pena. Provare… per credere!

16 Maggio 2016 | 06:56
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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