Una foto di gruppo degli imprenditori UCIT
Ticino e Grigionitaliano

I risultati della tavola rotonda dell'Ucit

Stefano Devecchi Bellini, Presidente di UCIT – Unione Cristiana Imprenditori Ticinesi, presenta la Tavola Rotonda ricordando che l’Associazione si propone di incentivare processi di cambiamento volti al bene comune, ponendosi l’obbiettivo di orientare il comportamento di imprenditori e manager nel «fare impresa» che prima di avere un’accezione professionale, ne ha una umana.

L’associazione si prefigge l’obiettivo di dare enfasi a tematiche di grande attualità, come: sostenibilità, inclusione, welfare, diversità, leadership responsabile, coesione sociale e giovani.

In un contesto di mercato sempre più dinamico, volatile e imprevedibile, il processo di definizione delle decisioni è difficile e complesso, così come la gestione delle risorse umane. Queste rappresentano un «oro grigio», forse il bene più prezioso che abbiamo oggigiorno.

A tal proposito, coadiuvati dall’associazione Equi-Lab, in UCIT verrà veicolato un sondaggio per scoprire se e come le aziende ticinesi stiano interpretando questa nuova tendenza nelle risorse umane. Il sondaggio è una parte del progetto finanziato dall’ufficio federale di uguaglianza ed è promosso sia da Equi-lab, sia da HR Ticino, il cui presidente è stato nostro gradito ospite nell’ultimo incontro di UCIT.

Nei primi due interventi di contesto i relatori si prendono il tempo di approfondire e meglio contestualizzare l’argomento del dibattito.

Gian Carlo Cocco, Presidente Time to Mind SA e docente dell’Università E-campus ci fa capire come il capitale umano è un asset intangibile d’impresa. L’impresa tradizionale viene analizzata dalla contabilità e dallo strumento chiave, il bilancio. Questo è composto da due parti: il bilancio economico e lo stato patrimoniale.

Le imprese attuali stanno diventando sempre più intangibili: hanno risorse limitate e poco basate su impianti e macchinari, ma imperniate sull’intelligenza e l’esperienza delle persone. Il concetto fondamentale di un’impresa è insito nel capitale umano. Questo comprende le competenze delle persone, sia dal punto di vista organizzativo (insieme delle persone che operano all’interno di un’impresa), sia dal punto di vista individuale (competenze tecniche-professionali; comportamenti-capacità).

Le conoscenze a disposizione di una persona possono essere metaforicamente interpretabili come un trolley. Il trolley è, cioè, un insieme di capacità che ci consentono di raggiungere determinati risultati che la professione richiede. Ad esempio, un docente deve avere un vasto e approfondito bagaglio tecnico della sua materia. Ciò non basta ad essere definito «buon docente», perché egli necessita anche della capacità d’ascolto e la capacità di insegnare. Più in generale, queste due variabili vengono definite «hard skills» e «soft skills». Ognuno di noi ha a disposizione un proprio patrimonio umano, che deve essere curato e aggiornato.

Luciano Traquandi, Docente MIP Politecnico Milano, Liuc e SUPSI basa il suo intervento rispetto alla domanda: cosa deve fare un leader in situazioni di cambiamento? Nel momento in cui lo effettua, il leader deve anche accompagnare il cambiamento.

È chiaro che nel momento in cui il cambiamento è intrapreso, non tutti lo percepiscono allo stesso modo. Qualcuno lo recepirà abbastanza efficientemente, qualcun altro molto più lentamente, qualcuno non ci arriverà mai, un altro avrà una reazione negativa che potrebbe diventare positiva. Un ultimo individuo potrebbe aver già intuito il cambiamento ed essersi dunque adattato prima dei tempi.

Il leader deve provare a governare tutte queste possibili reazioni. Il cambiamento verrà accettato solo dopo un cospicuo lasso di tempo da parte dell’individuo che lo «subisce». Ciò avviene attraverso un body learning: la prima reazione al cambiamento è un disorientamento, sano, salutare e fisiologico. Il leader non impone, ma propone la propria visione. La sua principale dote è l’ascolto.

Durante un cambiamento è necessario porre grande attenzione ai riti (ad es. caffè mattutino, le chiacchiere a pranzo o la riunione regolare). Pur non essendo particolarmente utili, i riti sono forme di certezza e stabilizzazione psicologica che permettono di accettare l’incertezza.

Il rito è un linguaggio teologico così come il mito. Questo gioca anch’esso un ruolo importante a favore, ma anche contro il cambiamento. Spesso si odono frasi come «ma il capo di prima…», che tendono a mitizzare la figura del precedente direttore.

La Tavola Rotonda, ben moderata dal Professore Luca Crivelli, inizia con l’intervento di Marialuisa Parodi, Co-Direttrice di Equi-Lab. Uno dei problemi ancora molto diffusi nella nostra società sono le disparità di genere. Spesso, le donne hanno un grande problema nel veder riconosciute e valorizzate le loro competenze.

La figura dei miti può portare un effetto stabilizzante per l’ambiente lavorativo, ma nella maggior parte dei casi al giorno d’oggi i miti sono riti che tendono a escludere le donne, che si riferiscono quindi alla componente lavorativa maschile e includono riti che tendono a favorire la presenza di uomini, come ad esempio le attività di networking in orari extra lavorativi. Le donne non hanno né miti né riti nelle aziende. Per questo motivo, quando si parla di capitale umano, di valore umano, bisogna rivolgere l’attenzione in particolar modo nelle donne, che sono tutt’ora in una posizione di svantaggio.

Tutti i riti insiti nell’azienda devono essere gestiti in modo appropriato. In precedenza, Stefano ha citato il nostro sondaggio volto a studiare la diversity all’interno delle aziende. Da questa ricerca, condotta in collaborazione di alcune imprese, tra le quali Helsinn, è emerso che nella questione della diversità, la gestione del cambiamento (e le seguenti reticenze) è fondamentale.

Tutto quello che ostacola il potenziamento del capitale umano femminile è fondamentalmente una questione culturale: non ci sono motivi oggettivi per i quali le donne non possano esprimere le proprie doti qualitative. È stato dimostrato che queste resistenze si rafforzano maggiormente in momenti di cambiamento e grande instabilità. Da quanto emerso dal sondaggio, è necessario adoperarsi al fine di superare le difficoltà di genere.

Anche la sostenibilità d’impresa, che fino a qualche anno fa si concentrava sulla governance d’impresa, ora deve considerare la cura delle proprie risorse, di cui il capitale umano ne è parte integrante. La parte sociale è fondamentale, perché le persone influiscono sulle decisioni delle aziende, quindi anche sulla sostenibilità d’impresa. Ciò che facciamo ha delle conseguenze per le aziende.

Mirko Audemars, CEO di R. Audemars SA, racconta come in un’azienda è importantissimo innovarsi periodicamente e portare dei cambiamenti in base ai cambiamenti della realtà circostante, per adattarsi ed essere pronti alle opportunità e ai rischi. L’azienda R. Audemars SA ha circa 120 anni e ogni generazione a capo dell’azienda ha dovuto condurre dei cambiamenti e innovarsi. Ad esempio, nel 2008 è stato necessario attuare un grande cambiamento strategico, nuove linee guida sono state sviluppate in funzione del cambiamento e con successo è stato portato a termine, permettendo all’azienda di rimanere sana e in crescita.

Durante questa trasformazione è avvenuto in parte un cambio generazionale: l’età di anzianità si è abbassata da 23 a 17 poiché sono state introdotte nuove persone. Questo ha permesso di portare valore aggiunto per quanto riguarda l’aspetto delle competenze e il capitale umano, pilastri fondamentali per il successo dell’azienda. Alcune persone hanno fatto fatica ad accettare questo cambiamento, alcune non lo hanno accettato del tutto, ma questo è normale che succeda, poiché si tende a legarsi alla situazione attuale e a essere riluttanti verso una nuova situazione sconosciuta e incerta.

Tuttavia, il cambiamento è anche un elemento economico e culturale. Mirko Audemars ha vissuto in Cina per più di un anno, sostiene che viaggiare porta valore alle persone e che la visione dei cambiamenti dipende molto dalla società e dalla cultura di un Paese. In Asia e in Cina le persone sono più propense ai cambiamenti, probabilmente perché l’economia e in generale le società orientali hanno avuto molti cambiamenti positivi negli ultimi anni. Mentre la nostra economia è stagnante e i cambiamenti sono visti molto più negativamente, ad esempio il cambiare si associa spesso sì a una maggiore efficienza, ma anche ai tagli al personale.

Barbara Antonioli, Docente e Ricercatrice alla Facoltà di Scienze Economiche dell’USI, denota come il capitale umano si riferisce alle competenze, ma spesso nelle competenze tradizionali sono incluse e considerate solo le STEM (dall’inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics). Tuttavia, è un errore considerare solo queste, perché da sole sono sterili, carenti, mancano di qualcosa. Infatti, la conoscenza umanistica e le scienze sociali sono spesso poste in secondo piano, ma in realtà sono altrettanto importanti, e la loro complementarità con le competenze STEM che sono di natura più tecniche e tecnologiche è di estrema rilevanza.

Ciò a cui le aziende dovrebbero mirare è ad avere un framework interdisciplinare, difficile da raggiungere, soprattutto nella ricerca, ma di grande importanza per lo sviluppo e la crescita. Inoltre, il capitale umano è un punto di forza e un punto costitutivo anche nello sviluppo del territorio. Bisogna focalizzarsi su ricerca e sviluppo e orientarsi sul polo della conoscenza, soprattutto il finanziamento pubblico, che spesso finanzia la ricerca ed è responsabile dell’avanzamento di conoscenze di una nazione, deve orientarsi in questa direzione. Questo perché al giorno d’oggi una società più formata, con più conoscenze e innovazioni di successo è più potente, la conoscenza è una risorsa importantissima ed è diventata un vantaggio competitivo, un asset territoriale delle nazioni.

Mauro Dell’Ambrogio, Presidente del CdA della Clinica Luganese Moncucco, è stato nel Settore giudiziario, legislativo ed esecutivo, e ha esercitato la politica a livello locale, cantonale e regionale. Il suo tema per eccellenza è in ambito politica e innovazione Svizzera, per il quale è stato invitato in tutto il mondo a spiegare della formazione professionale svizzera, vista un po’ ovunque come modello. 

Il bagaglio di competenze soft e hard può essere mantenuto, incrementato o modificato dalla persona medesima o dall’azienda dove essa lavora. Non è da dimenticare che trattasi di un tema sistemico: la società spera di formare gli individui in modo tale che essi possano entrare nella società medesima e nell’ambiente economico. Un problema della nostra società attuale è il troppo focus sulla formazione accademica e la dimenticanza dell’apprendistato.

In questo contesto, la formazione professionale svizzera è vista come un modello in tutto il mondo. Negli anni in cui ho fatto da relatore internazionale, è risultato impossibile trasferire un sistema educativo altrove, sia per motivazioni legali sia culturali. Il cambiamento è anche un fatto sistemico, legale e formativo. Più che una modifica della cultura di un Paese, la vera difficoltà del cambiamento risiede nella modifica delle convenzioni di un individuo.

Alessandro Fontana, CEO del Mulino Maroggia SA, ci racconta come il Mulino ha subito un evento drammatico che lo ha messo in difficoltà e che necessiterà di un grande cambiamento. Il 23 novembre 2020 infatti, un incendio inatteso e non programmato ha toccato il Mulino di Maroggia, distruggendo gran parte della struttura. Per quanto riguarda il capitale umano, nel Mulino di Maroggia c’erano molti collaboratori che lavoravano da tanti anni. La mattina dopo l’incendio, tutti i collaboratori si sono riuniti come una grande famiglia al Mulino e ciò ha dimostrato quanto avevano a cuore l’azienda. I dipendenti sono stati informati sui fatti e su cosa succederà in futuro.

L’idea per il futuro è di ripartire da zero, ricostruire, chiaramente attuando un grande cambiamento in azienda. I collaboratori si sono fin da subito dimostrati disponibili e disposti a ripartire e questo dimostra l’importanza per un’azienda di poter contare su una base solida di collaboratori, l’importanza del capitale umano. L’azienda è fatta prima di persone e poi di cose, perché le cose possono essere comprate, ma le persone hanno un valore che non può essere acquistato e il rapporto proprietario e dipendenti è fondamentale. 

Cristina Marenzi, Head of Group Human Resources di Helsinn SA, è a capo delle risorse umane dell’azienda Helsinn SA, un’azienda di famiglia che mira all’innovarsi e a cambiare le modalità per adattarsi al meglio al mercato e al contesto ambientale ma sempre mantenendo i valori dell’azienda. Helsinn SA è stato accompagnato verso un cambiamento difficile da accettare, ma che era necessario per allinearsi al mercato del lavoro internazionale.

I collaboratori sono una parte fondamentale dell’azienda e l’importante è accompagnarli nel processo di cambiamento, mantenendo il rapporto con loro e i valori dell’azienda. In principio Helsinn SA aveva il cosiddetto «Quiet Friday«, ovvero un’abitudine che permetteva ai lavoratori di avere un venerdì libero ogni due settimane e di poter finire prima rispetto all’usuale orario di lavoro.

Questa pratica era molto favorevole per i lavoratori ma anche molto rigida e problematica in un’ambiente lavorativo dinamico come quello in tempi moderni. Il cambiamento si è basato dunque nel togliere quest’abitudine e il processo di trasformazione è stato molto difficile e dibattuto. Tuttavia, dall’altra parte è stato introdotto il lavoro remoto, che permetteva ai collaboratori di avere una certa flessibilità e di andare incontro alle loro esigenze.

Durante un cambiamento, l’ascolto dei collaboratori è fondamentale e la chiave è portare un valore aggiunto nel cambiare la realtà, in modo che il cambiamento venga accettato e incentivi anche gli altri a portare un valore aggiunto all’azienda. In questo senso il settore delle risorse umane (HR) è molto importante per la formazione dei praticanti, dei giovani, per l’arricchimento dell’azienda e del capitale umano. Bisogna riflettere sulle sfide, sulle motivazioni, sui fattori che possono condurre alla crescita e a cogliere le opportunità.

La conclusione della Tavola Rotonda spetta al moderatore Prof. Luca Crivelli che ci indica come sia innegabile che stiamo attraversando dei tempi particolarmente complicati e difficili con la pandemia e per venire a capo delle complicate questioni odierne, è necessario rivolgersi a pratiche della buona economia.

La domanda che mi abita da molti anni è: quale sia il giusto peso da dare ai giovani economisti ai vari saperi, in particolare a quello umanistico rispetto a quello tecnico-scientifico. Uno dei primi autori moderni a mettere in guardia di fronte ad una formazione di natura esclusivamente tecnica, è stato il premio Nobel John Hicks, il quale così scriveva nel 1941: «nel campo dell’economia, la sovra specializzazione è doppiamente disastrosa.

Un uomo che è matematico e nulla di più che matematico, potrà forse condurre una vita di stenti, ma non reca danno ad alcuno. Un economista, che è nulla più che un economista, è un pericolo per il suo prossimo, perché l’economia non è uno studio in sé, ma lo studio di un aspetto della vita dell’uomo in società. La moderna scienza economica va soggetta a questo rischio: trattazione di problemi sociali come mere questioni tecniche e non come un generale aspetto della ricerca per la buona vita».

Il ruolo dell’imprenditore, visto come benefattore della società e promotore del bene comune attraverso l’innovazione, è descritto da Schumpeter: «È mosso dalla gioia di creare. Da un’eccedenza di energia che lo spinge a cambiare per amore del mutare e dell’osare». Quindi non solo aspetto cognitivo, ma anche emotivo.

Una foto di gruppo degli imprenditori UCIT
2 Luglio 2021 | 09:11
Tempo di lettura: ca. 9 min.
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