Ticino e Grigionitaliano

Dal Ticino al mondo, una preghiera per i cristiani perseguitati che continua ad unire

Viaggiano per ore, giungono dalle parti più disparate del mondo e solo per rimanere un’ora o poco più a Lugano, per portare la loro testimonianza. Sono padre Mandu dall’Egitto, don George da Qaraqosh, ma anche Andrea Avveduto, padre Bernardo Cervellera, Rodolfo Casadei. Giornalisti, autori di libri, ma soprattutto testimoni di una Chiesa in uscita. Questi gli ospiti che hanno portato finora la loro testimonianza nell’ambito dell’iniziativa «OgniVentialleVenti», che ormai da cinque anni vede riunirsi mensilmente decine di ticinesi in piazza S. Rocco a Lugano, per pregare un rosario per i cristiani perseguitati. A volerla fortemente tre donne e i loro rispettivi mariti: Monica e Sergio Bianchi, Fabio e Anne Berenice Cattaneo, Stefania e Riccardo Caruso, assieme a don Emanuele di Marco, responsabile dell’Oratorio di Lugano.

Tutto parte da un incontro, l’essersi cioè ritrovati nel 2015 al Meeting di Rimini, proprio per partecipare a una preghiera in favore dei cristiani in difficoltà. A lanciare quella proposta, che ormai è diventata consuetudine in diverse città d’Europa, il signor Marco Ferrini, allora profondamente toccato dalla vicenda dei cristiani di Mosul. Pregare Maria, da sempre la «Regina della Pace», attraverso il rosario, è sembrata la cosa più giusta da fare di fronte alle loro sofferenze. Ritornate in Ticino, Anne Berenice e Monica, coinvolgendo poi anche Stefania, sentono l’esigenza di riproporre qualcosa di analogo anche qui. Così, da allora, ogni mese si ritrovano per scegliere una frase e un testimone che faccia da filo conduttore dell’incontro; a volte, a raggiungerle in piazza S. Rocco, anche 120 persone. Domenica ospiteranno padre Mauro Lepori, l’abate svizzero, generale dei Cistercensi.

Lugano, sottolineano, è stata la seconda città dopo Rimini ad aver accolto l’idea del signor Ferrini, prima che essa si diffondesse capillarmente in Italia e Europa. «Ciò che ci colpisce dei nostri testimoni è sempre la grande incrollabile speranza; più le difficoltà aumentano, e più questi cristiani ne hanno. I loro sono racconti di grande realismo, ma mai disperati. È una speranza, crediamo, in parte anche alimentata dalle preghiere, tra cui la nostra. Nei loro volti, nelle loro parole si scorge soprattutto il grande desiderio di non essere dimenticati. Desiderano sottolineare di non essere una parte non marginale del corpo della Chiesa. Per noi sono incontri estremamente edificanti proprio per questo, per ciò che ci ricordano, per la speranza che ci trasmettono».

Ad averle impressionate, ci raccontano, tante storie, come quella di padre George, che dopo aver portato la sua testimonianza a Lugano, di lì a poco sarebbe stato coinvolto nell’intera ricostruzione di Qaraqosh. «È stato incredibile, come se le nostre preghiere si fossero realizzate. Qaraqosh rifioriva dopo un periodo di estrema difficoltà. Abbiamo tracciato un filo diretto tra il Ticino e i cristiani del posto».

Un impegno, quello di Monica, Anne Berenice e Stefania, che vuole anche essere una risposta concreta, tangibile, a un desiderio più volte espresso da Papa Francesco. È anzi dai suoi continui appelli a «non dimenticare», che esse hanno tratto la forza di andare avanti e perseverare con questa iniziativa: «I cristiani in difficoltà nel mondo sono in aumento; la sofferenza del popolo curdo, adesso, è un appello. Ci sono stati momenti in cui ci siamo fermate a riflettere, per capire se valeva la pena continuare. Ma tutte le volte che ci siamo poste questa domanda, il Papa – all’Angelus, all’Udienza o in altre occasioni – continuava a ripetere di non stancarci di pregare e, soprattutto, di non dimenticare. L’abbiamo sempre percepito come un incoraggiamento ad andare avanti».

Quest’anno gli incontri, ogni 20 del mese, saranno animati da una comunità o un gruppo ecclesiale diverso, «per dimostrare come la preghiera sia qualcosa che unisce». «Ci riuniamo con qualsiasi tempo, proprio per essere allo scoperto come i cristiani per cui preghiamo, che si ritrovano spesso inermi sia dal punto di vista fisico che metaforicamente, esposti alla guerra. Inoltre, la piazza è il luogo migliore per dare una testimonianza che sia pubblica. La gente che passa può fermarsi, decidere se rimanere o no, ma è comunque una cosa che non lascia indifferenti».

E i prossimi ospiti? «Probabilmente un padre di famiglia eritreo, giunto in Ticino come migrante, e che ora abita nella parrocchia di Viganello con la famiglia. Raccogliamo anche storie che sono attorno a noi e che desiderano essere ricordate. Fare memoria è fondamentale».

Laura Quadri

17 Ottobre 2019 | 12:33
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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