«Il Papa insiste troppo sui migranti? Siamo noi lenti a rispondere»

Non si può più parlare di migranti solo per «suscitare paure ancestrali». È uno dei passaggi chiave del lungo discorso di Francesco al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, tornando ancora una volta su uno dei drammi del nostro tempo per il quale ha chiesto di superare «chiusure e preclusioni». E la prossima domenica 14 gennaio il Papa celebrerà una messa nella Basilica vaticana in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Un ulteriore gesto di attenzione verso «quei membri, gruppi e categorie della famiglia umana che oggi hanno più bisogno e che il mondo tende a trascurare», come nota padre Michael Czerny, il gesuita cecoslovacco scelto dal Papa come sottosegretario, insieme allo scalabriniano padre Fabio Baggio, della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. Sezione guidata dal Pontefice per sua stessa volontà.

 

«Dove c’è il corpo di Cristo che soffre, lì c’è Cristo; e dove c’è Cristo, c’è la sua Chiesa: questo è il punto!», sottolinea Czerny a Vatican Insider per spiegare la grande attenzione e insistenza del Papa sul tema delle migrazioni. «Il primo Vescovo di Roma scrisse: «Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare» (I Pietro 4,9), e il Successore di Pietro sta ripetendo lo stesso con parole più attuali: «Con spirito di misericordia, abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale»».

 

Quindi a tutti quelli che giudicano eccessiva – quasi una «ossessione», dicono – questa attenzione del Papa verso i migranti, lei cosa risponderebbe?

«Che chiunque parla in questo modo dovrebbe dare alla situazione attuale uno sguardo ponderato. Per molti, semmai, è eccessiva la lentezza con cui il mondo «sviluppato» risponde a bisogni così ovvi e pressanti. E molti giudicano eccessiva l’ossessione verso le frontiere e la sicurezza nazionale a discapito dei diritti e della dignità dei profughi e rifugiati. Per molti altri, poi, è eccessiva la predilezione dei media per le storie sensazionali che alimentano xenofobia e isolazionismo; e tanti valutano come decisamente eccessivo il modo in cui i politici creano o esagerano un senso di crisi per ottenere vantaggi a breve termine. Nel suo messaggio per il nuovo anno 2018, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha elencato l’ascesa del nazionalismo e della xenofobia tra i nuovi pericoli per la pace e la stabilità globali. Considerando questi dannosi eccessi, tante brave persone – e mi sembra siano la stragrande maggioranza – lungi dal criticare l’attenzione del Papa, gli sono anzi profondamente grati per la sua guida morale e il suo buon esempio. E sono d’accordo con lui quando dice: «Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia»».

 

Il Papa ha indicato in quattro verbi – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – le azioni per affrontare questo fenomeno che, a suo dire, «è la più grande tragedia dopo la Seconda Guerra mondiale». In che modo concretamente, cioè tenendo conto dei limiti e delle esigenze dei diversi Paesi, si possono applicare?

«Le quattro azioni del Messaggio del Papa sono già di per se molto concrete. Sono buone opere da fare, misure che funzionano, linee guida a cui fare riferimento. Il loro valore deriva dall’esperienza della Chiesa e in particolare dalle sue opere pastorali rivolte a migranti e rifugiati, dall’esperienza delle organizzazioni cattoliche e non che da anni si dedicano alle questioni relative al fenomeno migratorio. La responsabilità di valorizzare sia le risorse e le capacità sia le limitazioni dei loro Paesi, province, aree urbane o rurali è dei governanti, ma anche di imprenditori, accademici e giornalisti. Questi hanno anche il compito di trovare soluzioni valide per i problemi reali, facendo appello a quanto c’è di meglio nella cosa pubblica. I veri leader dimostrano che il bene comune può e deve sempre essere perseguito e che non esiste un «bene comune» che si fonda sulla paura, sulla difesa, e sull’emarginazione».

 

Come si sta muovendo la sezione del Dicastero di cui lei è sottosegretario, ad un anno dalla istituzione? Il Papa, che ne è il responsabile, orienta il vostro lavoro?

«Verso la fine di questo primo anno, Papa Francesco ha fatto visita alla sede del Dicastero nel Palazzo San Callisto. Si è fermato davanti al giubbotto salvagente di una bambina annegata nel Mar Mediterraneo, custodita in una teca. Prendendolo in mano il Santo Padre ci ha ripetuto: «Questo giubbotto salvagente mostra ciò che dovete fare». Nel primo anno della Sezione è stato perciò costante il nostro impegno a raggiungere la Chiesa in tutte le parti del mondo. Abbiamo cercato di aprire un dialogo con le Conferenze episcopali, le organizzazioni cattoliche e altri organismi che lavorano nel campo delle migrazioni al fine di collaborare nello sviluppo di programmi efficaci ed adeguati per migranti e rifugiati. Con loro abbiamo declinato i quattro verbi del Papa in 20 Punti di Azione che si fondano sulla Dottrina Sociale della Chiesa e suggeriscono alcune buone pratiche come soluzioni ai problemi di maggiore attualità, tradotte in un linguaggio «pastorale»».

 

Più nel dettaglio quali sono le vostre proposte?

«L’intenzione è di offrire alle Chiese locali uno strumento utile a pianificare e valutare le loro risposte verso migranti, richiedenti asilo, sfollati e vittime della tratta. I 20 Punti di Azione suggeriscono, ad esempio, l’espansione di canali legali e sicuri per tutti i migranti attraverso il rilascio di visti umanitari, la ricollocazione di rifugiati in Paesi terzi, programmi di sponsorizzazione comunitaria, corridoi umanitari e visti di studio per giovani rifugiati che vivono nei campi profughi. Anche il ricongiungimento familiare rappresenta una via sicura e legale di immigrazione ed è pure garanzia di una più semplice integrazione, come la Chiesa ha più volte sostenuto nel passato».

 

La Santa Sede si prepara così, quindi, alla definizione dei due Patti globali sulle migrazioni sicure e sui rifugiati del 2018?

«Sì, le stesse quattro azioni, intese come linee-guida politiche, costituiscono il contributo della Santa Sede ai due Patti globali che saranno adottati dalle Nazioni Unite nel secondo semestre del 2018: uno sui rifugiati, l’altro per la migrazione sicura, regolare e ordinata. Negli incontri preparatori tenutisi nel dicembre scorso – uno a Puerto Vallarta (Messico) e uno a Ginevra – la Santa Sede ha presentato un breve video di Papa Francesco che invita la comunità internazionale ad adoperarsi affinché i Patti Globali dell’Onu su migranti e rifugiati siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio» (Qui il video di Papa Francesco).

 

Che risposte avete ottenuto finora?

«La Chiesa si è impegnata a promuovere una sensibilizzazione massiccia sui due Patti Globali. Indubbiamente la comunità internazionale a tutti i livelli, dalle zone rurali e alle megalopoli, dagli Stati-nazione ai continenti interi, può fare di meglio, molto meglio, per quanto riguarda la pianificazione, il governo e il sostegno della mobilità umana che è sempre stata una parte essenziale della esperienza umana fin dall’inizio».

Salvatore Cernuzio – VaticanInsider

12 Gennaio 2018 | 18:00
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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