Chiesa

Usa, i vescovi in campo per le vittime in Texas e i minori migranti

È un appello per la solidarietà con i «fratelli e sorelle» che hanno subito l’impatto di Harvey, l’uragano-tempesta tropicale che ha devastato il Texas e sta tenendo col fiato sospeso anche la vicina Louisiana, quello lanciato in queste ore dai vescovi degli Stati Uniti. Il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Daniel N. Di Nardo, arcivescovo di Galveston-Houston – città pesantemente colpita anche con enormi disagi all’aeroporto – ha invitato alla preghiera per le vittime e alla solidarietà con quanti hanno subito gravi danni, spesso la perdita della casa o dell’attività di sostentamento per la famiglia.

 

È «una crisi che ci colpisce da vicino», scrive Di Nardo. «Gli effetti di questa tempesta continuano a mettere a rischio la vita di tanta gente e stiamo assistendo a scene drammatiche, come la vista di persone intrappolate sui loro tetti, mentre l’acqua continua a salire intorno a loro. Molte diocesi della Chiesa negli Stati Uniti sono state colpite e, finché la pioggia non darà tregua e l’acqua continuerà a salire, molte altre lo saranno».

 

Per questo il cardinale, invocando la protezione di Dio, «il Signore della misericordia e della compassione», fa leva sulla solidarietà di quanti possono in qualche modo venire in aiuto, a partire dalla preghiera o dalla vicinanza concreta nei confronti delle famiglie che hanno subito perdite o si trovano in difficoltà oggettive, con un’attenzione particolare ai poveri, coloro che si trovavano già senza un tetto e che erano privi di risorse. Con un’espressione cara agli americani, Di Nardo assicura di includere nelle preghiere sue e dei suoi confratelli tutti quegli «eroi» che nel quotidiano stanno lavorando per prestare soccorso, dai vigili del fuoco alle forze di polizia, alle organizzazioni di carità e ai tanti volontari.

 

«Come il Buon Samaritano essi sanno che non si può passare oltre senza offrire aiuto», mentre a molti ritornano col pensiero alle drammatiche immagini a seguito dell’uragano Katrina, uno dei più tremendi della storia americana, che aveva portato tanta distruzione e vittime (oltre 1800) nella città di New Orleans nel 2005. L’attenzione ai poveri e ai più vulnerabili della società era stata rimarcata dai vescovi anche nei giorni precedenti, quando già cresceva l’attesa e l’incubo, per il formarsi dello spaventoso uragano che andava ingrossandosi nel Golfo del Messico in direzione Texas.

 

Oltre alla istituzione della nuova Commissione episcopale contro il razzismo – da molti ritenuta tardiva visto che già nel corso dell’amministrazione precedente cresceva l’intolleranza dei bianchi a fronte del primo presidente afroamericano della storia – i vescovi hanno espresso tutta la loro contrarietà per una delle ultime decisioni firmate dal presidente Trump, il 16 agosto: l’azzeramento del programma (sotto esame già dal mese di febbraio) che prevedeva il ricongiungimento dei minori migranti alle loro famiglie o l’inserimento di quanti non accompagnati. 

 

Mentre Papa Francesco pubblicava il suo Messaggio per la prossima Giornata dei migranti e dei rifugiati, invocando la fine dell’«espulsione collettiva e arbitraria dei migranti», fatto che, a suo avviso, «non risolve la crisi migratoria nel mondo» , e l’amministrazione americana, come già per il tema ambientale, sembra andare esattamente in direzione opposta, i vescovi non intendono star zitti e il tono della loro dichiarazione è paragonabile a quello usato di fronte al tentativo di annullamento della riforma della sanità pubblica.

 

Il programma Central American Minors (CAM), messo appunto dall’amministrazione Obama nel 2014, intendeva offrire una risposta all’aumento costante dei profughi da El Salvador, Guatemala e Honduras, tra i quali tanti minori non accompagnati. I genitori che già risiedevano negli Stati Uniti avevano, per esempio, la possibilità di richiedere un rinnovo a scadenza biennale del permesso di soggiorno per i figli al di sotto del 21esimo anno di età. Monsignor Joe S. Vásquez, vescovo di Austin (Texas), presidente della Conferenza episcopale per i migranti (che solo lo scorso 26 luglio aveva scritto un’altra lettera al Congresso sul tema) elogiando il CAM, che come vescovi, avevano sostenuto in quanto ha fornito «un modo legale e organizzato per i minori che migrano negli Stati Uniti a riunirsi con le famiglie», ha scritto senza giri di parole che «terminare il programma non promuoverà né la sicurezza per questi minori, né tantomeno aiuterà il nostro governo a regolare il fenomeno migratorio nei prossimi anni».

 

Una stima di questi giorni calcola in almeno 2714 persone che si trovano senza alcun preavviso in difficoltà. «Sappiamo che i bambini devono essere protetti e deve essere data loro la capacità di rimanere nei loro paesi d’origine individuando opportunità – scrive Vásquez – ma al contempo essi devono anche poter lasciare il loro Paese e migrare in sicurezza per trovare maggior protezione quando non esistono alternative».

 

Il vescovo ricorda un recente viaggio compiuto insieme ad alcuni confratelli in El Salvador dove ha constatato in prima persona «i reali problemi che questi bambini sono costretti ad affrontare ogni giorno» aggiungendo che «la Chiesa, con la sua presenza globale, è al corrente ogni giorno anche di violenze e atti intimidatori nei centri di accoglienza o di rimpatrio». Un problema, quello legato al rimpatrio dei migranti, in crescita continua nelle ultime settimane e che si sta rivelando un autentico incubo al punto che si contano già a migliaia quanti stanno bussando al confine per passare in Canada dove il premier Trudeau ha dichiarato tutta la sua disponibilità (negli ultimi giorni la Cnn una media di 250 migranti al giorno che passano la frontiera nord).

 

Del resto in California è stato forte l’impatto della vicenda di Maria Mendoza Sanchez, una madre di famiglia di origine messicana residente a Okland da 23 anni, raggiunta nei giorni scorsi da un ordine esecutivo di espulsione per immigrazione illegaleIl suo impiego come infermiera oncologica all’ospedale cittadino e il lavoro sicuro del marito garantivano alla famiglia sostentamento ai tre figli e una casa in affitto. Le emittenti televisive hanno diffuso tutto lo strazio di un’espulsione, contestata con numerose a partecipate manifestazioni in piazza tra Oakland, San Francisco e Berkeley: accompagnata dalla polizia all’aeroporto insieme al marito e il figlio minore, Maria ha lasciato negli Stati Uniti le due figlie che intendono terminare gli studi, con un alloggio di fortuna. Mentre la famiglia Sanchez, senza più né lavoro, né casa, per ora andrà ospite in Messico da parenti. 

Maria Teresa Pontara Pederiva – VaticanInsider

30 Agosto 2017 | 08:00
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