Ernesto Borghi

Prendere sul serio il Vangelo di Gesù Cristo nel nostro tempo: le testimonianze di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani

Oggi papa Francesco si reca a Bozzolo e a Barbiana, luoghi fondamentali per due figure discusse e inequivocabilmente evangeliche della Chiesa cattolica e della società italiana del XX secolo come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. L’importanza formativa e testimoniale di queste due visite è del tutto evidente: il cristianesimo concreto, intelligente ed appassionato che questi due preti hanno incarnato, pagando di persona le loro scelte, costituisce un esempio decisivo per la vita di chiunque, se si ritiene che il Vangelo di Gesù Cristo, proposto anzitutto nei testi neo-testamentari, sia il nucleo ispiratore di una fede cristiana adulta e responsabile. Senza mitizzare questi due uomini e pur contestualizzando le ostilità moralistiche, tradizionalistiche e dottrinalistiche che essi suscitarono, appare chiaro, a chiunque guardi al futuro proprio e altrui con intelligenza e passione, quanto di straordinariamente bello, intelligente e buono i loro scritti possono dire al cuore e alla mente delle donne e degli uomini d’oggi. Limitiamoci a considerare i pochi frammenti che seguono, la cui eloquenza è tale che non mi pare siano necessari commenti. Proviamo a pensare a quale Chiesa e a quale società Mazzolari e Milani facessero riferimento. E chiediamoci seriamente quanto la Chiesa e la società in cui viviamo siano ancora lontane da queste prospettive concretamente esistenziali anzitutto nella libertà di coscienza, nella pratica della giustizia, nell’amore disposto, se necessario, anche a dare la vita per gli altri. Mazzolari e Milani si sono spesi integralmente per la felicità e la dignità dei propri contemporanei. Che cosa può fare ciascuno, anzitutto a partire da sé, per proporre comportamenti e scelte che siano all’altezza, interiore e sociale, di testimoni del Dio di Gesù Cristo così determinati, lucidi ed entusiasmanti? La risposta è possibile a tutti…

Don Primo Mazzolari[1]

  1. «Quello che importa per la mia fede e per la vostra, se avete la grazia di credere, è che il Figliuolo di Dio ci dà il volto del Padre, ci dà una misura umana della carità, perché, altrimenti, non non saremmo riusciti ad accostarci, ad accettarla. C’è qualcheduno che non ha il senso di questa misura umana anche nella verità. Forse qualcheduno… non sa che il Signore misura secondo il nostor bisogno, secondo la nostra portata, secondo la nostra fede, secondo la larghezza del nostro cuore, anche secondo la miseria della nostra povera vita quello che è la grazia, che è il dono grande di una presenza non dico resa sensibile, ma resa efficace.

Eppure, vedete, se noi guardiamo al dramma del Figliuolo di Dio fatto uomo, noi incominciamo a sentire quello che, con una parola che forse non è propria, può parere anche un’esagerazione, ma ricordatevi che dove entra Iddio – ho appena finito di parlare di misura e quasi quasi sono costretto a smentirmi o a darmi torto – ci sono sempre delle manifestazione che vanno al di là della nostra comprensione; ecco perché io dico che il Vangelo è una «scandalo», che la vita di Cristo è uno «scandalo». E non sono io, o miei cari fratelli, che osa affermare, di colui che è venuto sulla terra a farci vedere il volto del Padre, una parola che pare smentire il significato divino di questa presenza.

C’è un episodio del Vangelo che voi tutti conoscete. Quando i discepoli di Giovanni sono andati a chiedergli – Giovanni era in carcere – se veramente quegli che parlava era il messia che si aspettava o se si doveva aspettarne un altro, alla fine della giornata li rimanda con queste parole: «Avete visto i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, i morti risorgono, la buona parola è predicata ai poveri, ma beato colui che non si scandalizza di me»»[2].

  1. «Non vogliamo una rivoluzione che invidi, ma una rivoluzione che ami: non vogliamo portar via a nessuno il suo piccolo star bene, vogliamo solo impedirgli che il suo piccolo star bene determini lo star male di molti. Vogliamo una rivoluzione che sia la manifestazione liberatrice ed educatrice della nostra pietà e della nostra carità.

Il suo punto di partenza non può essere quindi che interiore. Mi dichiaro contro di me: se no, il mio pormi contro gli altri, che fanno l’ingiustizia, avrebbe un significato farisaico e non cambierebbe nulla. Non mi nascondo: mi metto in prima fila, al muro, se occorre: altrimenti sarei un rivoluzionario di mestiere. Una rivoluzione che non mirasse alla piena libertà dell’uomo e alla sua divina dignità sarebbe insopportabile […].

La rivoluzione cristiana, a differenza degli altri movimenti rivoluzionari quasi sempre sporadici e contingenti, ha una tradizione e una continuità, un passato e un domani. Un motivo d’insoddisfazione, che costituisce non la colpa ma la beatitudine dell’uomo che ne è travagliato, ispira e guida la rivoluzione cristiana, che ha la sua storia nella storia della cristianità. Ma non tutta la storia della cristianità è una esperienza rivoluzionaria nel senso vero che deve avere per noi questa parola; quindi, la storia della cristianità va intelligentemente ripulita di quelle scorie e di quegli arresti che, ragionevolmente, scandalizzano quanti non riescono a riallacciarsi, attraverso i rivoli incontaminati di ogni tempo, alla purissima e viva sorgente del Vangelo e della storia della Chiesa.

Anche oggi la forza rivoluzionaria cristiana è una divina capacità seminale, più che una serie logica e ben costruita di fatti e di conquiste […]. La conclusione è chiara: abbiamo una tradizione, ma non tutto il passato è il nostro passato; abbiamo una tradizione, ma non tutta la tradizione che passa sotto il nome di cristiana è la nostra tradizione. Siamo la novità, anche se portiamo sulle spalle duemila anni di storia. Il Vangelo è la novità»[3].

Don Lorenzo Milani[4]

  1. «Quelli che si danno pensiero di immettere nei loro discorsi a ogni pie’ sospinto le verità della fede sono anime che reggono la fede disperatamente attaccata alla mente e la reggono con le unghie e coi denti per paura di perderla perché sono interiormente rosi dal terrore che non sia poi proprio tutto vero ciò che insegnano. Ogni nuova idea, ogni nuovo governo, ogni nuovo libro, ogni nuovo partito li mette in allarme. Gente sempre col puntello in mano accanto al palazzo che sono incaricati di custodire e della cui solidità dubitano.

Non potrei vivere nella Chiesa neanche un minuto se dovessi viverci in questo atteggiamento difensivo e disperato. Io ci vivo, ci parlo e ci scrivo colla più assoluta libertà di parola, di pensiero, di metodo, di ogni cosa. Se dicessi che credo in Dio, direi troppo poco, perché gli voglio bene. E capirai che voler bene a uno è qualcosa di più che credere nella sua esistenza!!!»[5].

  1. «Il presbitero cattolico deve presentarsi «come un prete povero, giusto, onesto, distaccato dal denaro e dalla potenza, dalla Confida (= Confindustria), dal Governo, capace di dire pane al pane senza prudenza, senza educazione, senza tatto, senza politica, così come sapevano fare i profeti o Giovanni il Battista»[6].

 

  1. «Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura. È una promessa del Signore contenuta nella parabola delle pecorelle, nella meraviglia di coloro che scoprono se stessi dopo morti amici e benefattori del Signore senza averlo nemmeno conosciuto. «Quello che avete fatto a questi piccoli ecc.» È inutile che tu ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio […]. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene»[7].

 

  1. «Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo»[8].

  

[1] Per avere nozione precisa degli scritti di e su don Mazzolari si visiti il sito www.fondazionemazzolari.it e la collana di opere curate dalla Fondazione Mazzolari di Bozzolo e pubblicate in larga misura dalla casa editrice EDB di Bologna.

[2] Milano, Chiesa di San Pietro in Gessate (17.11.1957 – P. Mazzolari, Discorsi, a cura di P. Trionfini, EDB, Bologna 2006, pp. 690-691).

[3] Da: P. Mazzolari, Rivoluzione cristiana (1967).

[4] L’opera omnia di don Milani è stata pubblicata quest’anno 2017 nella collana «I meridiani» della casa editrice Mondadori di Milano (curatore lo storico Alberto Melloni). Il volume più recente relativo al prete fiorentino è stato scritto da M. Gesualdi, don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017.

[5] Lorenzo Milani a G. Pecorini (10 novembre 1959).

[6] Lorenzo Milani a G. Carcano (3 settembre 1958).

[7] Lorenzo Milani a N. Neri (7 gennaio 1966).

[8] Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa (1967, p. 94).

 

 

 

20 Giugno 2017 | 09:12
Tempo di lettura: ca. 5 min.
mazzolari (4), milani (3), Papa (1256)
Condividere questo articolo!