Manuela Masone

Quando le immagini parlano al cuore… e allo stomaco

di Manuela Masone

La nostra epoca è caratterizzata da un crescente «bombardamento» di immagini e di informazioni sulla drammaticità di tante situazioni che invece di risvegliare le coscienze, tante volte ho l’impressione che le anestetizzino. Il rischio è quello di abituarsi alle ennesime morti in mare, alle situazioni tragiche dei migranti, alle guerre e agli attentati e così via, senza più vedere dietro a tutto ciò l’umanità che soffre.
In questi giorni è in corso LuganoPhotoDays e a coloro che visiteranno le esposizioni l’occasione è data per rieducare lo sguardo lasciando che un’immagine parli al cuore, suscitando un ventaglio di emozioni che vanno dallo stupore per la bellezza di certi scatti nella tragicità della vita – come nell’esposizione principale di Monika Bulaj – all’empatia per le storie di donne e di uomini raccontate, fino alla chiusura dello stomaco guardando gli occhi di una schiava sessuale in Bangladesh.

Tutto ciò avviene senza parole, perché le immagini parlano da sé e il veicolo dell’arte fotografica ce le fa arrivare svelando una realtà che spesso ci scorre accanto senza toccarci.
Come donne e uomini e come cristiani, che viviamo nel mondo ma non siamo «del mondo», costantemente siamo chiamati ad avere uno sguardo sulla realtà e sulle situazioni che non si lasci «tetanizzare» dalla paura o oscurare dall’opinione pubblica.
Papa Francesco ha recentemente scritto «Continuo a sognare un nuovo umanesimo europeo cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. In questo cammino di umanizzazione, l’Europa, culla dei diritti e delle civiltà, è chiamata non tanto a difendere degli spazi, ma ad essere una madre generatrice di processi, quindi feconda, perché rispetta la vita e offre speranze di vita»
Questo sogno è realizzabile attraverso uno sguardo «umanizzato e umanizzante», perché, sembra strano a dire, ma oggi più che mai abbiamo bisogno di apprendere nuovamente ad essere umani.

26 Settembre 2016 | 07:00
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