Ticino e Grigionitaliano

Una testimonianza per il giorno dei defunti

Testimonianza del signor Sergio Somazzi

«Sembrava dormisse e invece le avevano tolto i liquidi e l’alimentazione, iniettandole della morfina in attesa che, stando ai medici, lei decidesse di morire.
Quella sera me la ricordo molto bene: era stata una notte lunga e io avevo accarezzato spesso mia madre sulla fronte baciandola sulle guance. Lì ho conosciuto anche Luisa, un’amica di mia sorella, che era venuta a trovare mia mamma. Mentre mia sorella faceva i turni con me nell’accudirla; e quella sera eravamo tutti e due accanto a nostra madre. Non piangevo più da tanto tempo, e quella sera il mio volto fu solcato da molte lacrime. Non ci saremmo più visti. Sarebbe morta. Ma intanto mi nutrivo della sua esistenza, chiedendomi cosa provasse, cosa sognasse. Da diversi anni soffriva di demenza senile, ma mi riconosceva ancora. Ma già allora non potevo più comunicare con lei. Era assente e vedeva cose che non vedevamo noi. Straparlava e voleva tornare a casa sua che, come diceva lei, c’erano i suoi figli piccoli ad aspettarla e doveva stendere il bucato.
Aveva subito due interventi senza neanche accorgersene per sua fortuna: uno all’anca e uno per toglierle un grosso calcolo dalla cistifellea. Ma era sempre tornata a casa, anche se i dottori l’avevano data per perduta. Quando andavo a casa a trovarla mi accoglieva sempre con dolcezza, mi prendeva il viso tra le sue mani e mi baciava le gote. Ricordo che fu anche trasferita nelle cure intense quando le hanno tolto il calcolo, e qui mi fece molta impressione vedere tutti questi pazienti monitorati e intubati: anche mia madre era intubata e manifestava di avere freddo nonostante la sua amnesia. Io la feci coprire bene e mi venne quasi da sorridere quando mi fece segno che quelli, gli infermieri e i dottori, erano tutti pazzi muovendo la mano come a dire che non erano normali. E la mattina, dopo aver passato la notte a pensare a lei, nel visitarla mi salutò come niente fosse e mi fece notare un merlo là fuori dalla finestra; mi aveva sempre fatto amare gli animali.

Quel giorno, quando il suo compagno, mio padrino e padre adottivo, venne ricoverato e operato d’urgenza all’addome; ebbene, dovemmo portarcela con noi e mai avrei pensato adagiandola in macchina, accanto a me, che poi sarebbe deceduta.
Il ricovero di mio padrino durò più a lungo del previsto, venne addirittura trasferito dall’ospedale Civico a Castelrotto; e così anche mia madre venne trasferita momentaneamente in una casa di cura per anziani. A turno la portavamo con la carrozzina a vedere i fiori del giardino e lei sembrava apprezzarlo molto: insomma, aveva l’alzheimer, ma la vita le accarezzava ancora il cuore. Anche se poi la notte ci cercava, non voleva dormire e voleva uscire dal letto; avevano dovuto metterle un lenzuolo di contenimento perché sennò scavalcava anche la barriera del letto. Comunque camminava ancora da sola, e aveva acquistato quella tenerezza che da giovane una vita tragica le aveva tolto.
Quindi, dicevo, eravamo lì al Civico, dopo che l’avevo fatta trasferire, dopo che l’avevano fatta molto probabilmente morire perché non le avevano dato l’addensante e aveva bevuto dello sciroppo liquido che l’aveva portata alla polmonite ab ingestis. Così da essere sedata e accompagnata alla morte. Ricordo bene il giorno in cui mia sorella, mio nipote ed io abbiamo appreso la notizia che nostra madre non avrebbe più potuto sopravvivere a un tipo di esistenza tale quale aveva raggiunto con l’insorgere delle complicazioni. Ma se il giorno prima stava bene?
L’ultima sera non ero riuscito ad andare a trovarla, ero molto stanco.
E la mattina dopo era suonato il telefono. Mi ero svegliato, tremavo: avevo capito, se n’era andata. Non sono riuscito a rispondere al telefono. Telefono che ha preso a suonare in seguito: era mia sorella che mi dava la conferma. La Mamma ci aveva lasciati per sempre.
Più tardi all’ospedale, nella sua camera, trovammo il corpo coperto dal lenzuolo fin sopra la testa. Mia sorella scoprì il lenzuolo e costatammo la sua morte, non c’era più il suo dolce sorriso, le avevano chiuso gli occhi – proprio come fanno nei film alla tivù quando abbassano le palpebre dei morti.

Al funerale c’era abbastanza gente: vicini di casa, amici di mia sorella, amici miei, ecc.ecc. Quando ho incrociato anche lo sguardo della mia responsabile di lavoro, sono stato felice e le ho sorriso. Prima del funerale avevo visto mia madre nella bara. Non c’erano più dubbi sul suo abbandono del corpo. Le unghie, mi fece notare mia sorella, cominciavano ad essere marroni. La mancanza di una qualsiasi espressività la rendeva dura. Le avevamo fatto mettere quattro rose e la sua foto di quando aveva 50 anni: era una bella donna. La mia dermatologa mi scrisse di essere andata a trovarla e di averla trovata ancora una bella signora, e questo mi aveva lusingato. La sua rigidità l’avrei ritrovata nella visita del corpo del nostro sindaco Borradori, che ho visitato più volte. Ben vestito, cravatta e giacca. E dopo non l’avremmo più visto per strada e dopo non ci avrebbe più salutato.

In seguito è sorto il Covid che ci ha fatto comprendere che infondo mia madre se ne era andata nel momento giusto, lei che aveva paura di restare sola, e non ci lasciava mai andar via! Un grosso pezzo di me se n’è andato con lei. E ora mi nutro delle sue fotografie: da piccola, da giovane e da anziana.

Comunque ricordo che al percorso per accompagnarla nell’ultimo viaggio, ho sentito una pace interiore, sì ho pianto; ma vedere tutta quella gente seguirci, seguire il feretro dentro quella enorme carrozza mortuaria, lei che era così piccina, mi ha emozionato moltissimo. Un’emozione indescrivibile. Mista a pianto e a sollievo dopo che per tanti anni mia madre non conduceva più una vita dignitosa, anche se io l’avrei fatta vivere cent’anni anche così, ma sarei stato un egoista: era purtroppo giunta la sua ora, l’istante che avevo temuto da sempre.

Al famedio decidemmo di mettere due canzoni: «Il carrozzone» di Renato Zero e «Grande amore» de Il Volo.

Non riesco a rasserenarmi. A pensarti lontana. Inesistente. E intanto mi guardo allo specchio trovandomi invecchiato e penso anche a Maria, la mia Musa ispiratrice, vicina a me eppure tanto lontana: siamo sullo stesso percorso, due strade parallele che non si incontreranno mai. La luna pare sorridermi, i suoi raggi illuminano il Ceresio che effonde tanta luce che quasi mi acceca. Ti vorrei toccare, vi vorrei toccare, sentire la vostra pallida pelle, sfiorare i vostri capelli profumati. Ma è solo un sogno che non si avvererà mai. Siamo tutti soli. Incapsulati in un corpo che un giorno ci abbandonerà. Di te, Madre, rimangono i ricordi e le foto che stringo forte forte al cuore. E mi lascio sorprendere da ciò che la vita può forse ancora riservarmi, anche se non mi faccio troppe illusioni visto pure come va il mondo».

| © unsplash
2 Novembre 2022 | 06:14
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