Ticino e Grigionitaliano

Santissima Trinità: avvicinarsi al Mistero in compagnia dei grandi teologi

«Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16, 13). Questa promessa di Gesù, realizzatasi nella Pentecoste, ci indica almeno due cose. Primo, che il Dono dello Spirito Santo assume anche una dimensione intellettuale: la verità, infatti, è «corrispondenza tra la realtà esterna e l’intelletto» (Cfr. Tommaso d’Aquino, De Veritate q. 1, a. 1). Secondo, che non tutta la verità è accessibile con le nostre forze, perché non tutta la realtà è pienamente conoscibile. Abbiamo infatti un limite, non solo di tempo e di spazio, ma anche di capacità intellettiva: vi sono molte cose, anche nel mondo fisico, che hanno bisogno di essere mediate (per esempio dalla tecnica) per essere conosciute. Abbiamo dunque bisogno, nel campo del trascendente e del divino, che sia lo stesso Dio a presentarsi, a dirci chi è.

Questa necessità era nota anche agli antichi filosofi. Platone, per esempio, antico filosofo ateniese, scrisse che è molto difficile, se non impossibile, «essere così sicuri su certe questioni, almeno in questa vita; […] quindi, non c’è altro da fare: o imparare da altri, o trovare da sé, oppure accettare l’opinione degli uomini, la migliore s’intende, e la meno confutabile e con essa, come su una zattera, varcare a proprio rischio il gran mare dell’esistenza, a meno che uno non abbia la possibilità di fare la traversata con più sicurezza e con minor rischio su una barca più solida, cioè con l’aiuto di una rivelazione divina» (Fedone, 25).

La verità allora assume una dimensione maggiore, tanto da identificarsi con lo stesso Dio: «Io sono la Verità» (Gv 14, 6). Si capisce dunque che la solennità della Santissima Trinità, che festeggeremo domenica 7 giugno, procede direttamente dalla Pentecoste. La natura trinitaria di Dio non è accessibile: è lo stesso Spirito Santo che ce la rivela. E nonostante ci sia stato rivelato, rimane uno dei misteri più difficili per l’essere umano. Come può Dio essere uno e allo stesso tempo trino? Come può essere semplice, cioè privo di parti, e allo stesso tempo realmente distinto in Padre, Figlio e Spirito Santo? Ancora oggi, i teologi e i filosofi trovano non poche difficoltà per comprendere questo dogma, che per i cristiani rappresenta anche un grande segno di identità.

La Trinità è anche il modello della creazione, in particolare della creatura umana, «immagine di Dio» (Cfr. Genesi 1, 26-27). Sant’Agostino analizza in maniera mirabile i segni della Trinità nell’essere umano e in essi trova il modo più efficace per spiegarla: «Io esisto, so e voglio; esisto sapendo e volendo, so di esistere e volere, voglio esistere e sapere. Come sia inscindibile la vita in queste tre facoltà e siano un’unica vita, un’unica intelligenza e un’unica essenza, come infine non si possa stabilire questa distinzione, che pure esiste, lo veda chi può» (Confessioni, 13.11.12). Allo stesso modo, Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo: ogni persona è nell’altra, eppure ogni persona è distinta e insieme sono lo stesso, unico Dio, come il mio essere, sapere e volere sono la stessa persona, pur essendo distinti. È il paradosso del numero, del molteplice, che si riduce a unità. A proposito, una piccola curiosità: la parola ›numero’ ha la stessa radice di ›nume’, cioè dio, e secondo alcuni linguisti, entrambe queste parole proverrebbero da una radice sanscrita – nam – che vuol dire ›guadagnare’ o ›distribuire’, ›spartire’… ›donare’ appunto, il tratto distintivo dell’amore. Il tratto distintivo di Dio. E dell’uomo.

Gaetano Masciullo

7 Giugno 2020 | 07:12
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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