Somalia. Mons. Bertin: il Paese è a pezzi

In Somalia, le elezioni presidenziali in programma per oggi sono state nuovamente posticipate a data da destinarsi: forse si terranno il prossimo 24 gennaio, ma la data non è ancora stata ufficializzata. Si tratta del quarto rinvio del voto che era programmato per lo scorso 30 agosto, in seguito posticipato al 30 ottobre, poi al 30 novembre e infine al 28 dicembre. I rinvii sono dovuti alle irregolarità registrate nelle elezioni parlamentari, da cui è scaturita una nuova Assemblea legislativa. Sulla situazione del Paese abbiamo intervistato mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:

R. – Il Paese è a pezzi; ci sono zone che si autogovernano, direi bene, come nel caso del Somaliland, meno nel Puntland e in altre zone. Quasi si potrebbe dire che i somali possano quasi fare a meno di avere uno Stato, ma non è vero: hanno bisogno di un’autorità che sia a servizio del bene comune. Circa le elezioni: è vero, ce ne sono state anche in passato; io riconosco loro, sì, un’importanza, ma piuttosto relativa, perché anche quattro anni fa, quando avevano promesso di tenere elezioni universali, avevo pensato: «Ma in questa situazione, con il Paese spezzettato, con questa presenza di milizie islamiche come al Shabaab, in qualche parte anche dell’Isis, come è possibile tenere elezioni?». E quindi, ecco perché in un certo senso non mi meraviglio troppo che le elezioni siano state rinviate.

D. – Ma a questo punto, allora, è prevedibile un voto? Cioè, ci sono le premesse perché questo avvenga, seppure il 24 gennaio?

R. – Sì, io penso di sì, perché quelli a cui competono le cariche di questo governo federale somalo ci tengono, stanno lottando tra di loro, ci sono grossi disaccordi perché pensano di andare al potere. Quindi, le premesse ci sono e ci sono le premesse anche dalla parte della comunità internazionale, nel senso che è disposta a continuare ad appoggiare questo futuro governo. Allora, ecco perché dico: «Sì, ci saranno senz’altro …».

D. – Mons. Bertin, che cosa ci si può aspettare da questo voto, a suo giudizio?

R. – Ma … io direi che bisogna evitare di essere troppo catastrofici e dall’altra parte troppo ottimisti. Nel senso che penso che sia meglio qualcosa piuttosto che niente e a volte non possiamo scegliere tra il bene e il male; ma dobbiamo sempre scegliere tra un male maggiore e un male minore. Il problema, a mio parere, è questo: manca all’interno della Somalia una leadership che abbia veramente un senso del servizio al popolo; devono ricordarsi che sono là per essere al servizio soprattutto dei più diseredati, dei più poveri; e sono milioni che rischiano la fame. E a livello della comunità internazionale, anche qui alzerei un dito d’accusa, nel senso che spesso le diverse potenze implicate in Somalia, piuttosto che seguire un atteggiamento comune per aiutare i somali ad andare al di là delle loro divisioni, sembrano avere una loro agenda, dei loro interessi che chiaramente non sono a favore della rinascita di una istituzione statale stabile. E’ bene che la comunità internazionale continui ad accompagnare questa Somalia e non la abbandoni. Noi, dal punto di vista della Chiesa, dovremo continuare ad accompagnarla, naturalmente, con la speranza e con la preghiera; continuiamo pure con le nostre azioni umanitarie che sono svolte sia da noi come Chiesa, come Caritas, ma anche da tante altre organizzazioni. Direi di non lasciarci scoraggiare completamente di fronte a una certa frustrazione …

(Francesca Sabatinelli/Radio Vaticana)

29 Dicembre 2016 | 12:00
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