Chiesa

Religions for Peace: per un’alleanza delle virtù

Prevenzione dei conflitti, sostenibilità ambientale, ruolo delle donne e, soprattutto, un verbo che è essenziale: «prendersi cura». Sono questi i temi che hanno caratterizzato la decima assemblea mondiale di Religions for Peace, l’organizzazione internazionale che riunisce persone di diverse fedi intorno all’idea fondamentale che la religione possa contribuire a costruire e a promuovere la pace nell’umanità. Luigi De Salvia, cattolico, responsabile della sezione italiana e presidente europeo di Religions for Peace, è stato uno dei delegati presenti all’assemblea conclusasi nei giorni scorsi a Lindau, cittadina il cui centro storico si trova su un’isola nella parte tedesca del lago di Costanza. De Salvia racconta, in un colloquio con «L’Osservatore Romano», il clima di grande fervore e impegno collettivo tra i circa novecento partecipanti, provenienti da centoventicinque paesi, credenti di circa dieci fedi religiose diverse. «È stato un momento assai propizio — spiega — per approfondire le sfide e le prospettive in alcuni teatri di conflitto, cercando di comprendere quale può essere il contributo fattivo dei leader e delle intere comunità religiose per fermare i contrasti e promuovere la riconciliazione».
Diversi i contesti di crisi presi in considerazione, come quelli asiatici delle Coree o al confine tra Bangladesh e Myanmar, quelli in Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Per l’America Latina, invece, il focus principale è stato, inevitabilmente, relativo alla deforestazione e all’urgenza di promuovere uno sviluppo sostenibile, per cui si è fatto ampio riferimento all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco e si è ribadita la collaborazione con la piattaforma associativa Interfaith forest initiative, impegnata su questo delicato versante.
Per motivare l’impegno delle religioni sul piano della salvaguardia dell’ambiente, De Salvia osserva che «il nucleo è riconoscere l’opera di Dio nella creazione. Una persona religiosa non può disinteressarsi della vita, del creato, del futuro dell’umanità. Quanti hanno un riferimento trascendente, oltre una visione materialista, scoprono che l’esistenza è donata da Dio e riconoscono sacralità della vita e della sua creazione». Una concezione, questa, che unisce i credenti delle diverse comunità religiose e su cui si sono ritrovati unanimemente i delegati dell’assemblea di Religions for Peace, che così hanno scritto nella dichiarazione finale, adottata a conclusione dell’assise: «Ci riuniamo nutrendo la speranza, convinti che il sacro chiama tutta l’umanità a una responsabilità condivisa per il nostro bene comune: quella di prendersi cura l’uno dell’altro, della terra e della sua intera rete di vita».
Essendo fondamentalmente relazionale — afferma ancora il documento — «il nostro benessere è intrinsecamente condiviso», riconoscendo «l’inestimabile ruolo delle donne e dei giovani» e «il loro contributo insostituibile» per costruire e raggiungere «il benessere condiviso, che ci chiama a impegnarci in tutti i modi per sostenere la dignità umana». L’auspicio e la profonda convinzione è «lavorare per costruire società giuste e armoniose con uno spirito vibrante di cura e impegno per la giustizia». Le istituzioni, gli organismi espressione delle comunità religiose ribadiscono «l’impegno a promuovere l’educazione alla pace, concentrandosi su valori condivisi, alfabetizzazione religiosa e narrazioni di pace», e ricordano la funzione cruciale della paziente «opera di perdono e la riconciliazione», che serve a guarire ferite storiche e ricordi dolorosi e a porre le premesse per una storia sociale all’insegna della reciproca accoglienza e dell’umana solidarietà.
In quest’ambito, sottolinea De Salvia, «è stato rimarcato il prezioso ruolo della donna che è motore della società e dunque anche motore delle dinamiche di pace». Non per nulla l’assemblea mondiale di Religions for Peace, prima volta nella storia, ha scelto una donna come segretario generale: Azza Karam, musulmana, ricercatrice di origine egiziana, docente di religioni e sviluppo all’Università di Amsterdam. «Nel suo intervento finale all’assemblea — nota De Salvia — Karam ha citato più volte Tommaso d’Aquino e ha proposto un eminente discorso sul tema della libertà di coscienza e di religione». Questo discorso implica, naturalmente, il rapporto con i non credenti, che l’assemblea non ha voluto in alcun modo penalizzare ma che, anzi, ha cercato di valorizzare. Con tale spirito si è parlato di «alleanza delle virtù», invocando il «principio di responsabilità, un terreno etico su cui credenti e non credenti possono ritrovarsi uniti e collaborare, nell’interesse comune e per il bene dell’umanità».
In tale ottica l’assemblea di Lindau ha fatto riferimento anche a temi come la corruzione, il buon governo, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, da proteggere e promuovere, in nome di una fede religiosa o in nome della dignità inalienabile di ogni uomo e di ogni donna, in ogni angolo del pianeta.

(Il Sismografo)

27 Agosto 2019 | 11:57
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