Svizzera

Presa di posizione della Commissione di bioetica della CVS sulla questione dell’aborto

Nell’ambito di due iniziative popolari sull’aborto in fase di raccolta firme fino al 21 giugno 2023, la Commissione di bioetica dei vescovi svizzeri ha voluto ribadire in un comunicato la propria posizione su questo tema, per richiamare i principi cristiani che stanno alla base del dibattito e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle diverse dimensioni della questione.

La commissione in una comunicazione condivisa scrive che «pur occupando regolarmente le prime pagine dei giornali e pur essendo protagonista della sfera pubblica in quanto oggetto di dibattito politico, la questione dell’aborto si barrica in modo deciso nella più intima sfera privata quando intende sottolineare la sua dimensione individuale». In tal senso, osserva la Commissione, «se la Chiesa cattolica osa ricordare i principi più importanti inerenti a questo tema, non è per imporre freddamente linee di condotta prefabbricate e identiche per tutti, con la pretesa di usurpare il posto del libero arbitrio – che agisce in ciascuna persona individualmente e in funzione delle proprie capacità, diverse a seconda delle fasi di vita. Al contrario, la Chiesa intende sostenere in modo individuale le persone che soffrono in quanto confrontate con una tale decisione. Se, dunque, vale sempre la pena di ricordare ed esplicitare nuovamente i principi generali, in quanto la nostra ragione ne ha bisogno per orientarsi efficacemente nell’abbondanza delle esperienze di vita, è opportuno, in un secondo momento, immergersi nella complessità delle situazioni particolari, privilegiando l’ascolto, la compassione e la ricerca autentica e in comune di soluzioni conciliabili tanto con la tutela dei beni fondamentali che sono in gioco – in particolare la vita delle due persone coinvolte direttamente, la madre e il figlio – quanto con le aspirazioni della donna o della coppia».

Nessuna stigmatizzazione

Secondo la commissione, il senso di una presa di posizione della Chiesa cattolica in merito all’aborto «non significa stigmatizzare o accusare le donne che si dicono favorevoli o che si sono avvalse di questa pratica, ma rientra nel suo dovere di comunicare un messaggio di speranza a tutti i cristiani e agli uomini e alle donne di buona volontà. Si tratta infatti di tutelare la vita, e non soltanto la vita nascente, ma anche la vita delle persone coinvolte nella decisione, in quanto questa decisione può compromettere sfere fondamentali della loro esistenza, ossia la loro libertà, la loro responsabilità, la loro felicità».

La commissione ribadisce quindi un principio generale da ricordare quando si parla di felicità e di vita: «la vita in quanto tale (e non un certo tipo di vita considerata come degna a discapito delle altre) racchiude in sé la semenza della felicità, e che la vita del più debole e del più vulnerabile, anche allo stadio in cui quest’ultimo sembra ancora difficile da identificare come vero e proprio altro, si ricollega sempre anche alla tutela degli interessi profondi della donna, interessi che vanno oltre le circostanze attuali al momento della decisione e le potenziali conseguenze sconvolgenti della maternità al suo inizio. Questo principio appare evidente se si pensa a una donna che subisce un aborto spontaneo: lei, che aveva sentito nella sua carne la gioia provocata dalla vita nascente, e che adesso deve affrontare il lutto di quella vita con cui una relazione forte e personale si era instaurata immediatamente, senza bisogno di chiedere agli specialisti se l’essere che portava in grembo poteva essere a giusto titolo definito una persona».

Quindi secondo la commissione di bioetica della CVS «la scelta di accogliere una nuova vita può essere considerata sotto diverse prospettive, in quanto il bene da prendere in considerazione assume diverse forme: la vita del bambino che deve nascere, l’autonomia della donna (o della coppia), le ripercussioni sui familiari. Questo bene, in ogni caso essenziale e prezioso, può essere tuttavia classificato secondo il suo valore più o meno assoluto. Secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani, la vita occupa il primo posto nel nostro sistema di valori, per quanto plurale e complesso esso sia[1]. Infatti, la vita non è niente di meno che la condizione assoluta per l’esercizio di tutti gli altri diritti, e gode pertanto di un primato irrevocabile, su cui si basa l’esigenza di una dignità umana inalienabile[2]. Alla vita segue immediatamente la libertà, che determina la globalità della nostra condizione umana e le conferisce, con le capacità razionali che essa presuppone, tutta la sua grandezza. E, di fatto, nessuna etica può tralasciare la libertà o l’autonomia dell’attore principale di ogni decisione, senza al contempo privare questa decisione del suo carattere etico. Nel caso dell’aborto, non si tratta dunque in alcun caso di costringere, e neanche di influenzare dall’esterno, bensì unicamente di far nascere nella persona coinvolta la speranza e la fiducia necessarie, affinché la persona stessa sia in grado di prendere una decisione positiva e di accogliere una nuova vita e un cambiamento esistenziale, cose alle quali non era preparata o che inizialmente rifiutava».

L’importanza della comunità

Infine, osserva la commissione della CVS «se tale questione è certamente di ordine prettamente morale e se la morale ha per fondamento la libertà del soggetto, ciò non significa tuttavia che ci si debba barricare nella propria dimensione individuale. La problematica dell’aborto comporta una dimensione morale comunitaria, che troppo spesso si tenta di reprimere con il pretesto che potrebbe nuocere all’autodeterminazione della donna. Ma al contrario, invece di voler nuocere oppure opprimere, la comunità deve mostrarsi conciliante e sostenere la donna in preda ai dubbi e ai timori di tutti i tipi. Infatti, se le forze di una donna abbandonata a se stessa possono venir meno rapidamente, il sentimento di essere sostenuta su una scala più ampia e in modo duraturo può, al contrario, conferire a una donna il coraggio necessario per trasformare in un’esperienza gioiosa un cammino che sembrava destinato al fallimento e disseminato di ostacoli insormontabili. Al contrario, se l’entourage o la moda sociale incoraggiano la scelta che di primo acchito sembra quella più facilmente conciliabile con i progetti di vita elaborati in totale autonomia, e se si lascia così la donna, cui spetta la decisione finale, da sola con i suoi dubbi e il suo diritto all’autodeterminazione – diritto che rischia di essere percepito piuttosto come un peso e come una difficoltà supplementare – la donna in questione, nell’indecisione, tenderà a optare per la soluzione che nell’immediato sembra la più praticabile con i propri mezzi. In un caso come questo, è molto improbabile che venga accolto un figlio il cui arrivo lascia presagire rudi complicazioni e sacrifici. L’ampiezza della responsabilità collettiva rende palese il fatto che sia insufficiente, e oltretutto egoista, relegare questa grave problematica all’ambito della mera libertà individuale, anche se le intromissioni nella sfera delle scelte private e intime sono percepite male nella maggior parte dei casi. Tuttavia, su questo punto, bisogna avere il coraggio di essere malvisti».

Il quadro di riferimento secondo la commissione di bioetica della CVS

«La libertà personale, di che se ne dica – continua la commissione della CVS – non è né assoluta né separabile da tutto l’ecosistema in cui si inserisce qualunque esistenza umana e che determina non solo il bene della persona che fa effettivamente uso della sua capacità di scegliere, ma anche di tutti coloro che la circondano. L’umanità deve essere richiamata alla dimensione collettiva e comunitaria del cammino che percorre, cammino che può restare o diventare di speranza se il mutuo aiuto prevale sulla volontà di tutelare a tutti i costi l’autodeterminazione. La complessità della situazione di una donna che si trova confrontata con la questione dell’aborto non deve frenare lo slancio naturale dei suoi familiari nel garantirle il loro sostegno e nell’incoraggiarla, anche se è necessario offrirle aiuto a lungo termine. Al di là di una compassione che si potrebbe definire «neutra», che non fa nulla di più che attenersi alla decisione finale della donna coinvolta, l’entourage ha la responsabilità di promuovere i benefici che derivano dall’accettare la vita e dalla felicità che ne consegue. E se, come tutte le nostre esperienze umane, questa felicità comporterà indubbiamente ostacoli e difficoltà, la fiducia riposta negli altri e in Dio permetterà di vedere in essa prove sensate, finalizzate a un bene più grande. È specialmente compito del medico curante investirsi umanamente nel processo di consulenza e decisione, al di là della sua funzione di esperto che presenta le diverse possibilità come se tutte fossero equivalenti. Il professionista della salute, come ultimo ricorso, deve avere altresì la possibilità di far valere la sua obiezione di coscienza, che deve essere garanzia di fatto e di diritto, senza alcuna conseguenza sulle sue condizioni di lavoro. Anche in questo caso la responsabilità è di tutta una società che si trova coinvolta».

Una questione di responsabilità

«Lungi dal voler imporre una morale autoritaria, la Chiesa – conclude la commissione di bioetica dei vescovi svizzeri – intende mostrare che la nostra responsabilità in materia è grande ed esige che la questione venga scandagliata con la massima onestà, senza ricorrere al pretesto del progresso in materia di diritti sociali o di scienza medica. Si tratta inoltre di proporre orientamenti etici capaci di guidare le persone aperte a una vera e propria ricerca della via migliore da seguire secondo la propria coscienza critica. E si tratta di fare tutto il possibile per consentire un dibattito sano in seno alla società, riesaminando la questione dell’aborto considerando tutti gli aspetti che sono in gioco, senza perdere di vista l’aiuto insperato che giunge a noi attraverso la fiducia in Cristo».


[1] Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, art. 3: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona».

[2] Si veda il preambolo della stessa Dichiarazione, che sottolinea il legame causale e fondatore della dignità – che è dato congiuntamente e allo stesso titolo della vita – considerando l’esercizio della libertà di ogni persona: «Considerato che il riconoscimento della dignità intrinseca e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo, […] l’Assemblea Generale, proclama la presente Dichiarazione universale dei diritti umani».

Informazioni sulle due iniziative di raccolta firme su Per la protezione dei bambini vitali al di fuori dell’utero materno – Iniziativa Salvare i bambini vitali (iniziativa-salvare-i-bambini-vitali.ch) e su La notte porta consiglio (iniziativa-la-notte-porta-consiglio.ch)

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14 Giugno 2023 | 13:52
Tempo di lettura: ca. 6 min.
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