Papa e Vaticano

Papa Francesco in Ungheria, tra i poveri e i rifugiati: «La Chiesa parli il linguaggio della carità»

«La vera fede è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità». A ribadirlo è stato il Papa, incontrando i poveri e i rifugiati – quasi in duemila, in rappresentanza, tra i tanti Paesi, dall’Ucraina, dall’Afghanistan, l’Iran, la Nigeria, il Sud Sudan – nella chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria a Budapest, nel primo appuntamento del suo secondo giorno in Ungheria, ascoltando dapprima le testimonianze di una famiglia greco-cattolica, di una famiglia di rifugiati ucraini e di un Diacono e della moglie, introdotto dal canto dei Rom.

All’inizio del suo discorso, che ha fatto eco alle testimonianze, Francesco ha quindi reso omaggio al «generoso servizio che la Chiesa ungherese svolge per e con i poveri», che «ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di egoismo spirituale, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione». Come esempio di «linguaggio della carità», il Papa ha citato Santa Elisabetta d’Ungheria, «verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto».

L’esempio di S. Elisabetta, figlia spirituale di S. Francesco

«Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero», ha raccontato Francesco. «È una bella immagine della fede: chi si lega a Dio, come fece San Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede«. «Santa Elisabetta, figlia di re, era cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, in un ambiente lussuoso e privilegiato», ha ricordato il Papa, «eppure, toccata e trasformata dall’incontro con Cristo, ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno. Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità».

«Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore», ha commentato Francesco. «Compassione, che vuol dire patire con.

Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono».

L’appello per una carità concreta

Poi ancora la «gratitudine» del Papa alla Chiesa ungherese «per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare»: «Avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità.

Non basta infatti dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone. La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità», ha ribadito Francesco esortando il popolo ungherese a «portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese».

«La carità è il coraggio di guardare agli occhi», ha infine aggiunto a braccio: «Non si può fare la carità senza toccare: toccare e guardare, e toccando e guardando incomincia un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto sei tu bisognoso dello sguardo e della mano del Signore». 

«Tante persone, purtroppo, anche qui, sono letteralmente senza casa», ha fatto notare il Papa. «Molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare». Di qui il ringraziamento alla testimonianza di Zoltàn e sua moglie Anna, ascoltati poco prima, che «con coraggio e generosità» hanno costruito un centro per accogliere persone senza fissa dimora. «Mi ha colpito sentire che, insieme ai bisogni materiali, prestate attenzione alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo», ha concluso Francesco.

Agensir/vaticannews/acistampa/red

29 Aprile 2023 | 11:55
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