Centro pastorale San Giuseppe
Ticino e Grigionitaliano

Lorenzo Cantoni sul senso della moda al Seminario «San Carlo». Cronaca della serata e spunti di riflessione

Si è tenuta lo scorso martedì 30 aprile, al Centro pastorale San Giuseppe, su iniziativa del Seminario diocesano San Carlo, la conferenza del prof. Lorenzo Cantoni (Università della Svizzera italiana), dal titolo «Il senso della moda. L’invenzione della moda nell’esperienza religiosa: habitat, abitazione, abito e abitudine». Riportiamo il sunto di Giuseppe Colonna, seminarista.

«Dio Tre Volte Sarto». Lorenzo Cantoni sul Senso della Moda al Seminario ›San Carlo’

di Giuseppe Colonna

La moda sembra essere quanto di più profano ci sia! Questo pregiudizio sembra essere stato smentito dal talk‘Il Senso della Moda: l’invenzione della moda nell’esperienza religiosa’ di Lorenzo Cantoni, professore in USI e direttore del Master in Digital Fashion Communication, per il ciclo di conferenze ›Ragione ed Esperienza Estetica’. Questo ciclo nasce dall’idea di alcuni giovani universitari dell’USI che si riunisce settimanalmente presso il Seminario Diocesano ›San Carlo’ per la lettura e discussione di testi di estetica. Tra le varie domande che si discutono ci sono le seguenti: è davvero vero il vecchio adagio ›non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace’? In altre parole, il bello che vediamo in un oggetto dipende da delle caratteristiche dell’oggetto stesso o dal modo con cui noi percepiamo l’oggetto? Oppure, se costruisco un edificio finalizzato ad essere funzionale, questo edificio è anche conseguentemente bello? Al contrario, se costruisco un edificio finalizzato ad essere bello, questo edificio è anche conseguentemente funzionale? E ultimamente, il bello delle cose che ci circondano è una caratteristica delle cose immessa da Dio nella creazione? E, se così fosse, a qual scopo? Qual è il legame tra il bello e il sacro?

Effettivamente, la storia sacra, come Lorenzo Cantoni ci ha mostrato, ha molto a che fare con il bello, persino, nella forma del fashion! Dio non è solo tre volte Santo ma anche ›tre volte Sarto’ – come recita il titolo del libro di Alberto Fabio Ambrosio. Negli episodi della storia sacra più eclatanti ci sono la preoccupazione paterna di Dio nel vestire Adamo ed Eva dopo la loro caduta; la simbologia attribuita da Gesù all’abito della festa nella parabola del banchetto del re (Mt 22, 1-14) e nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-22); l’eloquente ›cambio d’abito’ di Gesù nella drammatica narrazione di passione, morte e resurrezione; infine, la spiritualizzazione dell’abito del fabbricante di tende Paolo di Tarso in espressioni come ›rivestirsi di Cristo’ o ›indossare le armi della luce’. La consapevolezza della dignità dell’abito nelle Sacre Scritture passa poi nella storia e raggiunge i vertici nel santo della povertà, San Francesco, che proprio nelle prime pagine della sua Regola si sofferma sull’abbigliamento proprio dei confratelli. 

Il talk di Lorenzo Cantoni ci mostra che l’abito non è solo necessario al nostro senso di pudore, o funzionale all’adattamento nei contesti climatici più disparati in cui viviamo, ma anche qualcosa dal forte valore comunicativo: selezionare un abito specifico significa manifestare lo status sociale a cui cerco di appartenere, il mio stato d’umore, e i valori in cui credo di identificarmi. Ad esempio, posso vestire in giacca e cravatta perché penso che questo abbigliamento manifesti serietà, professionalità e continuità con una tradizione in cui mi identifico e che guida le mie scelte morali e i miei gusti artistici e musicali. Posso anche cercare di vestire in modo spontaneo. D’altra parte, anche quando decido deliberatamente di non scegliere un abito, scelgo di non scegliere un abito e anche questa è una scelta per marcare il mio supposto disinteresse per l’apparire!

La consapevolezza di questa ricerca dell’apparire in un certo modo non ci deve indurre al disfattismo di chi pensa che l’abito sia lo strumento proprio di chi cerca di apparire ciò che non è. È, vero: è semplice cadere nell’uso di uno specifico abito per conformismo sociale o per nascondere le mie umili origini o per essere identificato con un ruolo sociale che mi dà sicurezza e che mi aiuta a dimenticare le mie personali miserie.

D’altra parte, non è detto che io cerchi di apparire ciò che non sono per pura ipocrisia. A volte, cerco di apparire – sì – ciò che non sono, ma, comunque, ciò che vorrei essere. Ciò che vorrei essere è l’ideale a cui quotidianamente mi sforzo di aderire. Il mio ideale potrebbe essere l’ordine: vorrei imparare ad essere ordinato. Per questo, all’inizio mi sforzo di apparire ordinato in piccole cose come nell’abbigliamento; dopo mesi in cui organizzo il mio tempo in modo appropriato per vestire ordinatamente – stirare camicie può essere davvero sfinente alla lunga! -, mi abituo ad essere costante in questa pratica; in seguito, capita che diventi più capace di gestire il mio tempo, il mio lavoro e la cura dei miei rapporti con coloro che amo.

L’abito, se così vissuto, può acquisire un nuovo significato: non uno strumento di ipocrisia, ma uno strumento di perfezionamento spirituale e santificazione in questo mondo. Non solo l’uomo è ciò che mangia, come dice il filosofo Feuerbach, ma è anche ciò che veste! Dunque, impegniamoci a scegliere cosa vestire. 

Centro pastorale San Giuseppe | © Facebook
17 Maggio 2024 | 12:48
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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