Papa e Vaticano

L'ombra della bufala sulla profezia di Malachia

La cosiddetta profezia di «S. Malachia», secondo la quale Francesco sarà l’ultimo Papa, beneficia ancora di molto interesse; ma ricerche approfondite sul documento rivelano seri dubbi sulla sua credibilità.

Con l’attuale sconvolgimento dell’ordine mondiale, sulla scia della pandemia di coronavirus, le profezie apocalittiche stanno guadagnando risonanza. Tra queste, ce n’è una direttamente collegata alla Chiesa cattolica: la «Profezia dei Papi» nota come di «San Malachia». Il documento elenca 113 brevi sentenze scritte in latino che descrivono i papi successivi a Celestino II (nel 1143). Il testo è «apocalittico», nel senso che Papa Francesco appare lì come l’ultimo successore di Celestino II, e che il motto ad esso associato indica una distruzione di Roma e un «giudizio». Il testo dice esattamente: «Pietro il Romano, che nutrirà le sue pecore attraverso molte tribolazioni; finiti questi, la città con le sette colline sarà distrutta e un giudice spaventoso giudicherà il suo popolo». Gli «esegeti» di questo testo concludono che la fine del mondo deve avvenire sotto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Tanta la perplessità intorno a tali premonizioni, ma c’è anche chi crede fermamente in queste parole, basta vedere la popolarità della profezia su internet. Vi sono, tuttavia, molte indicazioni del fatto che le cosiddette profezie siano state fabbricate e che non sono il prodotto di alcuna rivelazione mistica.

Un primo punto che rivela la natura inverosimile della profezia è la relazione dei Papi con il motto a loro associato. Un esempio lampante è la difficoltà degli «interpreti» del documento a trovare collegamenti tra papa Francesco e la frase a lui collegata principalmente riguardante il nome di Pierre. Varie spiegazioni si trovano su Internet. Una di queste avvicina il cognome «Bergoglio» a «Berg» che significa «montagna» in tedesco, facendolo corrispondere alla roccia e quindi alla «pietra». Si potrebbero citare altri tentativi di associazione, anche sugli altri papi, che sono altrettanto improbabili.

Un documento «retrodatato»?

Certe affermazioni sembrano invece più convincenti. In effetti, erano chiari e precisi fino al 1590; dopo questa data, le sentenze diventano «criptiche e intercambiabili». Ciò sarebbe dovuto al fatto che fu proprio in quel momento che il documento, che si faceva credere fosse risalente al XII secolo, fu effettivamente scritto. Le frasi relative ai Papi vissuti prima del 1590 sarebbero state quindi scritte sulla base di documenti storici disponibili nel XVI secolo e quindi attribuite a San Malachia.

Quest’ultimo, nato ad Armagh, nell’odierna Irlanda del Nord intorno al 1094 e morto nell’Abbazia di Clairvaux, nell’Aube, nel 1148, fu canonizzato nel 1199. Fu monaco benedettino e arcivescovo di Armagh. Le sue presunte profezie furono presumibilmente scoperte dal monaco benedettino Arnold Wion nelle Fiandre nel 1590. Quest’ultimo le presentò ai cardinali al conclave di ottobre di quell’anno e le pubblicò nel 1595 a Venezia in un’opera voluminosa, intitolata Lignum vitæ, Ornamentum et decus Ecclesiæ.

Probabili «errori di copia»

San Bernardo di Chiaravalle, contemporaneo e amico di Malachia, pubblicò la sua biografia poco dopo la sua morte, senza mai menzionare profezie. Pierre il Venerabile e Jean de Salisbury, anche loro contemporanei di Malachia, lavorarono al suo lavoro e non evocarono mai cose del genere. Il che fa capire che si tratta di testi postumi al povero Malachia, scritti appunto, secoli dopo e retrodatati apposta per farle figurare come profezie.

Ma forse uno dei fatti più confusi è la presenza di sfortunati «errori di copia» nelle profezie. Le frasi sono sbagliate per Giovanni XXII ed Eugenio IV. Il motto di Giovanni XXII è «Dal calzolaio di Bones»: il Lignum vitæ si riferisce all’idea che Giovanni XXII fosse «un francese, della famiglia Ossa, figlio di un calzolaio». Questo Papa era il figlio di un banchiere, non un calzolaio. Allo stesso modo, il motto di Eugenio IV è «il lupo celeste», che il Lignum vitæ fa corrispondere a «un veneziano, ex canonico dei Celestini, vescovo di Siena». Ma Eugenio IV era un monaco agostiniano, non un celestino. Questi errori si trovano negli Avvisi dei Papi, pubblicati qualche decennio prima da Onofrio Panvinio nel 1557.

Una manovra fallita

Secondo vari studi, le «profezie» avrebbero potuto servire a favorire l’elezione del cardinale Girolamo Simoncelli come Papa, durante il conclave del 1590. In effetti, il motto che descriveva il successore di Urbano VII, che era appena morto era Ex antiquitate Urbis (dal centro storico). E il cardinale Simoncelli proveniva da Orvieto, in Umbria, il cui nome deriva dalla parola «centro storico» in latino. Il conclave non fu, tuttavia, influenzato in modo decisivo perché il cardinale non fu mai eletto Papa.

cath.ch/red

9 Luglio 2020 | 16:47
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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