Internazionale

L’asma e la grazia: intervista a Martin Scorsese

di Padre Antonio Spadaro – Civiltà Cattolica – Quaderno 4082 pag. 140 – 144 Anno 2020 Volume III 18 Luglio 2020

«La vita non è qualcosa che ci scivola addosso, ma un mistero stupefacente, che in noi provoca la poesia», ha detto papa Francesco in una recente udienza. E ha proseguito: «Quando a una persona manca quella dimensione poetica, diciamo, quando manca la poesia, la sua anima zoppica»[1]. Per questo ho pensato di contattare il regista Martin Scorsese: in lui la vita ha provocato poesia. Negli incontri che ho avuto con lui a Roma e New York abbiamo tanto parlato di vita e poesia, specialmente in occasione di un’intervista che gli feci per «La Civiltà Cattolica»[2]. Per questo adesso ho desiderato sapere come avesse vissuto questo tempo di forzata clausura dovuta al coronavirus. Quali gli echi e le risonanze? Ci siamo scambiate domande e risposte, in un dialogo non lungo, ma che è stato limato dal regista per ben sette volte, per il desiderio di essere preciso su un’esperienza che lo ha toccato profondamente.

***

In questo periodo il sentimento predominante che ha associato le vite di molte persone in tutto il mondo sembra essere l’ansia. Anche tu hai dovuto affrontare quella sensazione? Come ha inciso sulla tua creatività la tua condizione interiore?
A febbraio, quando mi sono reso conto che tutto si stava fermando – una «pausa», si diceva – e che io e mia moglie avremmo dovuto metterci in quarantena e rimanere a casa per un periodo di tempo indefinito, l’ansia ha fatto la sua apparizione. Una nuova forma di ansia. L’ansia di non sapere nulla. Proprio nulla. Era tutto in sospeso, rinviato a non si sapeva quando, come in un sogno in cui corri a perdifiato, ma non arrivi mai alla meta. In una certa misura, è ancora così. Quando sarebbe finita? Quando saremmo stati in grado di uscire? Quando avremmo potuto vedere nostra figlia? E poi, quando avrei potuto girare il film che avevo pianificato con tanta cura? Presto? E in quali condizioni? Avremmo avuto problemi di location? Sarei riuscito a trovare il modo per lavorare con gli attori e la troupe? E poi una domanda precisa…

Quale?
Se non avessi potuto girare il mio film, chi ero io?

Come hai vissuto la tua «casa»? Hai scoperto cose nuove? L’ hai sentita come un rifugio o una prigione?
L’ansia è andata crescendo, e con essa la consapevolezza che avrei potuto non uscirne vivo. Soffro di asma da tutta la vita, e questo virus a quanto pare attacca i polmoni più spesso che qualsiasi altra parte del corpo. Mi sono reso conto che avrei potuto davvero tirare il mio ultimo respiro in quella stanza della mia casa che era stata un rifugio e ora era diventata una specie di fortezza, e stavo iniziando a sentirla come la mia prigione. Mi sono ritrovato solo, nella mia stanza, a vivere da un respiro all’altro…

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17 Luglio 2020 | 15:42
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