Ticino e Grigionitaliano

La non banale complessità del calcio, gioco che attraversa la storia dell’umanità

Massimo Delorenzi, oltre avere conseguito un master in psicologia dello sport, è anche uno sportivo ed è pure stato calciatore e allenatore. Inoltre, come padre, segue i figli nelle attività sportive, fra le quali il calcio. È dunque spesso sui campi, conosce e discute con molte persone attive nell’ambito sportivo. A lui abbiamo chiesto una riflessione a partire dai recenti fatti di cronaca violenta legati alle partite di calcio in ambito regionale in Ticino.

Una prima considerazione del nostro interlocutore riguarda lo sprigionarsi delle emozioni, che nel calcio, per vari motivi, è più accentuata. «Nel calcio, a differenza di altri sport di contatto – sottolinea Delorenzi –, c’è molta eterogeneità: si possono trovare uno di fronte all’altro un giocatore che pesa 90 chili, alto un metro e novanta e un altro alto 1,65 con un peso di 77 chili. In altri sport questo non succede. Nel basket, ad esempio, i giocatori sono tutti molto alti. Queste sproporzioni possono creare delle emozioni e degli attriti sia fra i giocatori, sia fra il pubblico. Inoltre, nel calcio, in particolare quello non professionistico, a differenza di altri sport, la tecnica è più complessa: c’è chi è bravo e chi no, e i divari possono essere anche importanti». A questo si somma un altro elemento, agendo sul quale, secondo Delorenzi, si potrebbero già fare passi avanti. «Nel calcio dei campionati minori c’è un solo arbitro che deve vedere 22 giocatori: è troppo poco e l’arbitro si sente troppo sotto pressione. Ha bisogno di qualcuno che da fuori veda quello che lui non può vedere, con il quale possa consultarsi e riflettere. Un arbitro che inizia ad avere paura sia di sbagliare, sia delle reazioni del pubblico, non riesce più ad avere il controllo sulle sue emozioni e quindi sulla partita». Se le decisioni sono giuste, non ci sono così tanti problemi. Ma qui c’è da considerare un altro aspetto: spesso chi frequenta i campi da calcio non conosce le regole. «Si tratta di una questione di comunicazione: su questo le società sportive devono lavorare. Prima della partita, l’arbitro dovrebbe ad esempio rivolgersi ai genitori e spiegare loro che anche se i loro figli si impegnano, se commettono un fallo questo va sanzionato. Parlando e comunicando molto, le situazioni si mettono a posto».

Delorenzi ha voluto anche rivolgere lo sguardo alla storia del calcio per aiutare a riflettere su alcuni elementi che, inconsciamente, questo gioco si porta dietro. «In Europa le prime forme di calcio sono nate nel 450 avanti Cristo nell’antica Grecia: era un gioco duro e violento, in seguito praticato in ambito militare anche dai legionari, per sperimentare delle strategie di attacco e di difesa. Gli indiani del nord America facevano partite in cui erano coinvolti anche 500 giocatori: erano dei veri e propri combattimenti, si sfidavano per risolvere dei conflitti. In Francia, nel medioevo, le sfide erano fra villaggi: il pallone era trasportato con piedi e mani fra un villaggio e l’altro. Qualcosa di simile succedeva in Inghilterra, dove l’obiettivo era di portare con ogni mezzo la palla nel campo avversario, con l’unica regola di non uccidere intenzionalmente. Il calcio è stato «addomesticato» per la prima volta nel 1581 dal pedagogista Richard Mulcaster che in un libro sull’educazione fisica suggerisce di toglierlo dalle strade, ridurre il numero dei giocatori e introdurre l’arbitro. Inoltre, si inizia a parlare di calcio giocato solo con i piedi. Nel 1817 il calcio si separa definitivamente dal gioco con le mani (rugby). Un altro spunto di riflessione è dato da Desmond Morris nel suo libro «Tribù del calcio», in cui scrive che il rituale del calcio e del goal, simbolicamente rappresenta l’uccisione della preda. Nello stesso libro si parla anche del tifoso, del prestigio della squadra che vince e del suo bisogno di riscatto attraverso il team vincente. In effetti, se si guardano le statistiche, se una squadra vince aumentano i tifosi». Una riflessione utile forse per fare un po’ più di chiarezza sul fenomeno della violenza, che contraddistingue in modo maggiore il calcio rispetto ad altri sport.

Katia Guerra

30 Settembre 2021 | 17:30
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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