Mons. Alain de Raemy.
Ticino e Grigionitaliano

Intervista a mons. de Raemy. Il bene nascosto e le urgenze tra iniziative presenti e future

di Laura Quadri

Il bilancio dell’anno che sta per concludersi, le speranze per quello che arriverà. I giovani, i malati, i migranti, la missione diocesana, i poveri, le guerre… quello con mons. Alain de Raemy è un dialogo sul Ticino senza dimenticare il resto del mondo.

Vescovo Alain, si sta per concludere il 2023, domani sera lei guiderà la celebrazione con il Te Deum: per cosa si sente di ringraziare Dio in questo anno appena trascorso?

«Voglio anzitutto ringraziare per tutto il bene che si fa e non si conosce, che è sicuramente tanto: nelle famiglie, nella solidarietà, nella Chiesa. È un bene magari non reso pubblico, un bene come l’evangelico «obolo della vedova», in riferimento a Luca 21, quel gesto che nessuno aveva visto e di cui nessuno sapeva niente, ma per questo il suo valore è grande. Inoltre, il mio pensiero va alle vittime di abusi, affinché siano incoraggiate, sostenute, aiutate, perché oggi non ci sia più la vergogna e la paura di manifestarsi. Infine, penso all’eroismo che si vive in Terra Santa o in Ucraina nel sopportare la sofferenza: dove c’è il male, spesso c’è anche tanto Bene compiuto da quelli che sono «martiri dei tempi moderni», un bene che fondamentalmente è santità».

In Ticino emergono nuove forme di povertà, abbiamo ad esempio appreso attraverso i dati di Pro Senectute della precarietà degli anziani: lei che Chiesa vorrebbe vicina ai poveri? Come dimostrare questa vicinanza?

«Penso che le nostre realtà parrocchiali siano, nelle loro dimensioni ridotte, il luogo ideale che permette di
venire a conoscenza di persone in difficoltà; qui, se lo vogliamo, abbiamo davvero la possibilità di renderci conto delle situazioni difficili e nuove che insorgono e ci circondano. Un lavoro importante è svolto dalle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e dalle Vincenziane: anche se attualmente mancano i giovani che vi aderiscono, sono un osservatorio importante quanto al tema della povertà. Ma ritengo che, in generale, la preoccupazione di chiederci e di scoprire chi potrebbe trovarsi in una situazione di disagio attorno a noi non ci debba mai abbandonare. Avere questa attenzione è fondamentale, per tutti. Ne approfitto per ringraziare qui sia la Caritas che l’OCST, a buon esempio!».

Un altro tema che sappiamo preoccuparla è quello della sanità. Come sta sviluppando la Rete dedicata alla pastorale sanitaria e che tipo di urgenza vi coglie?

«Stiamo provando a curare meglio la preparazione, l’accompagnamento e la formazione di tutti i preti e laici coinvolti nell’ambito della sanità. Le tematiche in questo campo sono infatti tante: ad esempio il rapporto delle cappellanie con le istituzioni o le questioni bioetiche. In collaborazione con la Facoltà di teologia di Lugano si sta andando verso qualcosa di più concreto proprio in questa direzione».

Di recente i media ticinesi hanno molto parlato del disagio giovanile, mentre ci sono stati anche alcuni dibattiti ecclesiali attorno ai giovani e alla fede. A questo riguardo le statistiche evidenziano uno scollamento della generazione Z dalla Chiesa con però un’attenzione alla spiritualità fai da te. Lei cosa pensa di queste analisi?

«Il disagio giovanile è un fenomeno sociale, influenzato anche dall’ambiente che il giovane vive sul luogo di lavoro e che ha delle ripercussioni anche in famiglia, a sua volta, in molti di questi casi, realtà spesso disgregata. Ma vedo anche tanti giovani incuriositi da ciò che non conoscono o non conoscono più, Gesù o il Vangelo. Può dunque essere interessante per l’istituzione pensare a come affrontare queste tematiche con un linguaggio giovanile. Come? Ad esempio, intessendo un legame vivo, attingendo alle parabole del Vangelo per guardare le loro situazioni di vita, spiegando l’agire di Gesù a partire da ciò che loro vivono. Va anche detto che non esiste una categoria di «giovani» in astratto: certo esistono delle condizioni di vita nella società che sono comuni a molti di loro, ma non si può generalizzare».

In generale si percepisce negli incontri ecclesiali in Ticino, sia quelli sugli abusi, sia di Rete pastorale, un desiderio di comunicare, di esprimersi. Questo è un frutto della sinodalità? Come continuerà il cammino sinodale nel 2024 in Diocesi?

«Il miglior modo per favorire lo sviluppo di un cammino sinodale è quello di sfruttare tutte le occasioni in cui siamo insieme, senza necessariamente aggiungere dell’altro a ciò che siamo già chiamati a fare come cristiani. Si potrebbe ad esempio pensare, quando è in vista una votazione su un argomento di legge che implica una scelta etica, di ritrovarsi e discuterne assieme, approfondendo l’argomento da un punto di vista della fede. Scegliere e cogliere, cioè, le occasioni di condivisione su cose che interessano il credente, la sua vita e la vita della società, per affrontarle insieme. La sinodalità è questo: non un fare in più, ma un fare insieme, un cooperare sui grandi temi, anche quelli della vita parrocchiale».

Quali saranno le sue prossime occasioni di incontro nei vicariati o Reti?

«Nel prossimo anno dovrò prima di tutto incontrare tutti i vicari foranei. Nei Vicariati quello che conta è soprattutto la collaborazione tra i preti e i diaconi, il loro incontrarsi; questo aspetto, che intendo favorire, serve perché ci siano anche a livello interparrocchiale, di Rete, più dinamismo e più cooperazione».

La Chiesa in Svizzera è stata toccata dal rapporto sugli abusi sessuali dell’Università di Zurigo. Sono emersi nuovi casi in Ticino dalla pubblicazione del Rapporto ad oggi?

«La trasparenza è un dovere, ma bisogna poi anche fare in modo, quando si tratta della singola persona vittima di abusi, di rispettare la discrezione che la persona stessa richiede. Questo è un aspetto sempre molto delicato. Penso al lavoro svolto dal Servizio per l’aiuto alle vittime di reati (LAV) del Cantone, che accoglie tutti in una riservatezza assoluta. Anche se del tutto indipendente, la LAV collabora con la Diocesi e può richiedere un risarcimento (presso la commissione nazionale della Chiesa cattolica che accoglie le domande) se richiesto dalle vittime. Tuttavia, per loro scelta non forniscono cifre o statistiche, affinché le vittime siano pienamente tutelate».

Dopo oltre un anno in Ticino, ha individuato quali sono i punti di forza e di debolezza della Chiesa locale?

«È sicuramente un punto di forza l’essere come una grande famiglia, dove ci conosciamo un po’ tutti, ma questo però permette anche che circolino delle chiacchiere, magari senza che si abbia tutta l’informazione per parlarne».

La missione diocesana ad Haiti prosegue. Che idea si è fatto e quale pensa potrebbe essere il futuro di questa realtà?

«La situazione politica nell’isola è difficilissima dal punto di vista della sicurezza; non c’è quasi governo, comanda chi vuole, ovvero chi ha i soldi e i mezzi, spesso mezzi terroristici. È tutto molto difficile, ma quello che si deve fare si fa, le scuole in cui lavorano i nostri missionari vanno avanti».

Il mondo è segnato da tante guerre. Come guardare dal Ticino a questi conflitti?

«Ci si sente sempre impotenti, incapaci di aiutare, ma credo che anche nel nostro piccolo sia possibile farlo. Possiamo farlo sia che siamo una ditta internazionale che fa del commercio e che deve reagire se qualcosa va contro la pace, o un politico, ma anche da normali cittadini, partendo dalla pace che possiamo promuovere attorno a noi, ad esempio con quella persona che abita nello stesso palazzo ma con cui non abbiamo mai parlato».

Cosa pensa del tema dei migranti?

«Percepisco che è un tema, anche sui nostri media, non abbastanza presente. Mi sembra doveroso, con un Centro come quello di Chiasso sul nostro territorio, avere sempre un pensiero nella preghiera per i migranti. Forse il fatto che il Centro di Chiasso li indirizza poi verso altri centri rende difficile un lavoro a medio lungo termine con loro. Ma qualcosa si può fare, così come molto è stato fatto nello specifico, ad esempio, con i profughi ucraini, a cui molti di noi hanno aperto le porte di casa. Marcel Mattana, nostro Diacono, fa tanto; si potrebbe forse fare ancora di più aiutandolo, ma preciso che ho visto che ci sono già preziosissimi volontari e una bella collaborazione ecumenica».

Cosa augura ai ticinesi per il 2024?

«Auguro tanta speranza e di cogliere nella fede, presso questo Bambino così fragile e questo Crocifisso così sconfitto, ciò che vi si nasconde: la vittoria dell’Amore. È questa la speranza che bisogna cogliere».

Le celebrazioni con il vescovo de Raemy

Ecco gli orari delle celebrazioni di questi giorni presiedute dall’Amministratore Apostolico mons. Alain de Raemy.
Domenica 31 dicembre – Festa della Sacra Famiglia – alle 17, a Lugano in Cattedrale, Santa Messa di Ringraziamento.
Lunedì 1 gennaio 2024 – Maria Madre di Dio – alle ore 10, Santa Messa nella Cattedrale di S. Lorenzo a Lugano, animata dalla Scuola Corale della Cattedrale. Diretta su Rete Due.
Sabato 6 gennaio 2024 – Epifania del Signore – alle ore 10, S. Messa nella Cattedrale di S. Lorenzo a Lugano, animata dalla Scuola Corale della Cattedrale. Diretta su Rete Due.

Mons. Alain de Raemy.
31 Dicembre 2023 | 07:56
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