René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano
Ticino e Grigionitaliano

Il rettore della Facoltà di teologia René Roux sui 10 anni di Papa Francesco: «Il suo messaggio? La centralità di Cristo»

Papa Francesco veniva eletto il 13 marzo 2013. Un decennio intenso, fatto di grandi viaggi, di riforme, di discorsi pubblici e di gesti commoventi.  Ma cosa sono stati davvero questi dieci anni, qual è la cifra di questo papato? Il Federalista.ch lo ha chiesto a René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano. 

A dieci anni dal suo inizio, quali sembrano essere i tratti essenziali di questo pontificato, il suo disegno per la Chiesa e per il mondo?

Direi che la dimensione centrale del Pontificato di Francesco è il desiderio di evangelizzare, di portare a tutti l’annuncio di Gesù Cristo. Per questo insiste per una Chiesa in uscita, che vada nelle periferie (per raggiungere le quali, sia detto en passant, occorre attraversare tutto ciò che c’è in mezzo). Un annuncio che si caratterizza per la gioia, una gioia piena, come compimento delle nostre aspirazioni più profonde. Questo mi sembra essere l’aspetto centrale. Dalla centralità dell’annuncio derivano poi un’attenzione particolare ai più fragili, agli ultimi perché ogni essere umano ha un valore infinito secondo lo sguardo cristiano.

Ecco, quindi, l’insistenza sulla vicinanza ai migranti, ai poveri, a tutti coloro che vengono trascurati perché siamo sempre presi dai nostri piccoli egoismi quotidiani. E c’è anche un’attenzione al mondo che ci è stato donato e dunque all’ecologia e all’ambiente. Come è normale, questo papato è stato esposto ad ogni sorta di letture politiche e sociologiche, ma sono categorie poco adeguate a cogliere la totalità della persona di Francesco. Occorre ricorrere a categorie teologiche, quelle cioè attraverso cui il Papa vive e concepisce il suo ministero.

La corona di fiori nel mare di Lampedusa dopo la strage dei migranti, la preghiera solitaria in San Pietro durante la pandemia: sono tanti i gesti «forti» del Papa che hanno avuto eco mediatica, anche se spesso è passata in secondo piano la loro natura autenticamente religiosa….

Mi aveva colpito moltissimo la preghiera solitaria a San Pietro durante la pandemia. Siamo tutti stati segnati in quei mesi di isolamento, di distacco dai propri cari -di separazione persino nel momento della morte -, in un momento in cui le nostre sicurezze mediche, economiche, affettive apparivano fragili. È vero, avrebbe potuto apparire strano, per un papa che nella vulgata «si occupa di politica», mettere in rilievo una dimensione puramente religiosa. Ciononostante, ancora una volta lui ha messo al centro Cristo. Oltre a questi gesti pubblici, infatti, potremmo citare la sua passione per la religiosità popolare e le sue forme. Forme che la teologia, a volte un po’ razionalista, tende a disprezzare mancando di vedere la realtà della dimensione religiosa dell’essere umano nella sua più autentica espressione. Il Papa ci ricorda anche questo. 

I viaggi, oltre 40 finora, e la sua apertura al mondo sono forse la cifra del suo pontificato. Cosa ne pensa?

Il primo viaggio a Lampedusa fu molto significativo, anche perché l’attenzione del Papa ai migranti è ancora vista in Italia e in Europa come qualcosa di un po’ fastidioso. Credo che con questi gesti lui abbia voluto però ricordare una realtà fondamentale, ovvero che siamo di fronte a degli esseri umani. Poi quale sia la soluzione non sta al pontefice dirlo, e su questo lui è chiaro: se si legge l’insieme dei suoi discorsi non si schiera mai politicamente – sinistra o destra –, vuole invitare la società e la politica a pensare insieme, in maniera costruttiva, tenendo conto di tutti i fattori in gioco.

Anche tutti gli altri viaggi che ha compiuto sono stati all’insegna di questa modalità trasparente: con il suo modo di parlare estremamente semplice e popolare, il Santo Padre vuole far arrivare a tutti il messaggio cristiano. Certo, a volte questo suo modo di parlare può dare adito ad interpretazioni opportunistiche. Bisogna avere la pazienza di ascoltarlo per intero. Vi è poi un indubbio desiderio di portarsi, da parte sua, nei luoghi dei conflitti, per essere presente, per contribuire alla pace. Questo è certamente uno dei punti che considera tra i più importanti del suo mandato.

Come giudica la ricezione che il pontificato di Francesco sta avendo sui media e nell’opinione pubblica?

 Mi stupiva come ai tempi di Benedetto XVI, quando ogni parola era perfettamente pesata e messa al punto giusto, il discorso estremamente equilibrato, molte persone non lo capissero e fosse sempre travisato malgrado l’esattezza delle formulazioni. Ora abbiamo Francesco, il quale ha fatto una scelta di comunicazione che utilizza un registro popolare, più immediato, centrato su gesti espliciti e slogan ripetuti nella loro semplicità. Eppure, anche lui viene spesso male interpretato o frainteso.

Io credo, in ultima analisi, che chi desidera ascoltare il messaggio del Papa abbia tutti gli strumenti per farlo. Poi vi è inevitabilmente la tendenza a privilegiare quei discorsi che vanno nella direzione che uno desidera sentire. Anche mettere in risalto solo alcuni temi sociali, fingendo di non vedere tutti gli aspetti di devozione e di legislazione che egli sta continuamente offrendo, e cercare di creare un contrasto rispetto al pontificato precedente è segno di malafede. Forse è vero che la comprensione innanzitutto presuppone il desiderio di capire.

Anche se credo a livello popolare il messaggio di Francesco sia recepito molto bene. Per fare un esempio: anni fa in un’omelia aveva detto che i sacerdoti devono avere l’odore delle pecore, espressione giustamente entrata nella memoria di tutti; ma nella stessa omelia egli disse anche che il sacerdote doveva «portare nel gregge il buon odore di Cristo». Un’immagine opposta che integra la prima e la fa comprendere a pieno, ma che non è stata registrata nell’opinione pubblica.

In genere si insiste sulla novità di Francesco: ci sono motivi per indicare anche la continuità con Benedetto XVI e i papi precedenti?

Certamente Bergoglio ha uno stile molto diverso dai predecessori, ma questo è vero per tutti i papi che ci sono stati nella storia. È vero anche che questo Papa è stato visto soprattutto in televisione. Tenendo conto dell’alto numero dei non praticanti, di fatto molti hanno visto più il papa del loro parroco. Ciò tende ad esaltare, nella percezione comune, una differenza rispetto ai predecessori che forse mediaticamente hanno avuto meno eco.

Se guardiamo da vicino decisioni e risoluzioni del pontefice la mia impressione è di scorgere una sostanziale continuità con Benedetto XVI, in particolare penso ad alcune scelte concrete di fronte al problema dei divorziati risposati, oppure di fronte alla strutturazione degli organi centrali della Chiesa, o ancora nella gestione dei casi di abusi, nella gestione delle finanze, o nel ruolo dei laici. In questi aspetti vediamo una continuità sostanziale con i pontificati precedenti.

Stili diversi, ma stessa strada…

Sì. Il tono diverso di Francesco si comprende meglio con una prospettiva teologica. Alla fine è come in un concerto, dove vi sono molti strumenti diversi ma accordati tra loro: la Chiesa e il papato sono un concerto che procede da duemila anni e, anche se prevale a volte questo o quel timbro, la musica è la stessa. Non dimentichiamo che il Papa che viene «dalla fine del mondo» ha una visione di Chiesa ampia e diversa da quella che nella vecchia Europa possiamo avere noi. Non si tratta di affrontare solo la perdita di religiosità o secolarizzazione nei nostri Paesi, poiché per Francesco il modello occidentale non è necessariamente identificato come un modello superiore agli altri.

Un’ultima domanda sulla guerra in corso. Il Papa continua a insistere sulla rinuncia al riarmo, dice che la soluzione non può essere quella, chiama a un dialogo e a una mediazione diplomatica. Perché questa insistenza?

Si potrebbe rischiare di confondere questa posizione bollandola come pacifista, in riferimento al pacifismo dell’Europa occidentale negli anni ’70, che poi si scoprì essere finanziato dall’Unione Sovietica. Francesco fa notare come vi sia una logica perversa nella proliferazione degli armamenti: se si vuole costruire la pace o evitare i conflitti è chiaro non si può pensare di farlo moltiplicando le armi in circolazione. Questa mi sembra la verità fondamentale che il Papa vuole ricordare ai responsabili delle Nazioni.

Fonte: Il Federalista.ch.

René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano
17 Marzo 2023 | 17:37
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