Ticino e Grigionitaliano

Il prof. Botturi sulle parole di odio in rete, fenomeno serio anche in Ticino

di Cristina Vonzun 

Da alcune settimane su alcuni blog del portale Ticinonline non vi è più la possibilità di lasciare un commento. Lo stesso sito, in un articolo, ne spiega la ragione: l’aumento progressivo di post di odio quantificati in «centinaia di commenti carichi di violenza verbale, offese, attacchi personali, insulti » pubblicati dagli utenti. Un fenomeno – va detto – che non risparmia neppure social e blog di Media cattolici. Ne parliamo con Luca Botturi, professore di Media in Educazione alla SUPSI di Locarno. Prof. Botturi, perché negli anni è aumentato l’odio online, soprattutto nei commenti social?

Ci sono due fenomeni fondamentali che hanno comunque la loro origine nella natura umana che non è sempre buona e gentile. Il primo è la mancanza del volto dell’altro. Mi spiego: quando comunichiamo in maniera mediata dallo schermo, anche in videoconferenza, – tanto più quando stiamo scrivendo e chattando – non si attiva quel meccanismo che invece è normale nella comunicazione faccia a faccia: l’empatia, cioè la capacità di pensare cosa prova l’altro mentre noi diciamo una certa cosa. Quindi nell’ambiente online abbiamo meno freni inibitori, per cui è più facile lasciarsi andare all’insulto e alla parola pesante. Il secondo fenomeno è la bolla di filtraggio: online siamo abituati a ricevere informazioni che sono filtrate dal nostro profilo digitale, così che su Google o sui social riceviamo informazioni che sono sostanzialmente consonanti con la nostra opinione. Non abituati alle opinioni diverse immaginiamo di essere sempre dalla parte della maggioranza che ha ragione. Quindi gli altri, i diversi, diventano una minoranza che ha torto. Inoltre, in tanti portali si può usare un nickname, che permette di restare anonimi almeno per il pubblico.

La velocità di reazione del digitale che ruolo gioca?

È vero che associamo la rapidità di reazione e la velocità al mondo digitale. È un paradosso se pensiamo che i social sono nati come forum, quindi un ambiente che permetteva un dialogo con delle pause di riflessione. Questa forma si è persa, per cui oggi siamo abituati ad esprimere un parere in un nanosecondo: quindi guardi un’immagine e reagisci, senza pensare.

Ci può essere una responsabilità dovuta ai contenuti pubblicati?

Chiaramente la notizia un po’ gridata, un po’ scandalistica, che va a pescare anche nel settore morale della nostra esperienza, si presta molto meglio a questa situazione. Da una parte c’è quindi un buon giornalismo che dovrebbe evitare di lasciare delle micce accese, mentre d’altra parte, ci converrebbe leggere le notizie consapevoli che non sono fatti, per cui non danno mai una visione completa di quello che accade ma sempre parziale e interpretata. Riconoscere questo significa agire sempre con il rispetto di chi sa di non sapere tutto, e non come giudici onniscenti.

Acquisire consapevolezza di questi fattori può essere di aiuto?

A tema c’è il rispetto dell’altro, l’accoglienza della differenza, la capacità di creare spazio di dialogo vero. Reazioni veloci, polarizzazione, informazione fatta a pezzi, non favoriscono la ponderatezza. Costruire una comunità online che sappia discutere in maniera costruttiva richiede un grosso lavoro, per cui la consapevolezza può almeno favorire quell’autocensura che si chiama di Critical Ignoring, cioè imparare a lasciar perdere ciò che non vale: il commentaccio, ad esempio.

Per approfondire: «Verso una nuova presenza: la Chiesa e i social media », nuovo documento vaticano.

| © unsplash.com
5 Marzo 2024 | 10:50
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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