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Il Papa alla RSI: «In guerra è più forte chi ha il coraggio di negoziare»

Andrà in onda mercoledì 20 marzo la puntata di Cliché dedicata al bianco. Ospite del giornalista Lorenzo Buccella sarà papa Francesco che ai microfoni della RSI condanna duramente il conflitto in Ucraina e quello in Palestina. Il testo dell’intervista è stato anticipato nelle scorse ore da alcune tesate; eccone uno stralcio.

In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?

«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».

Anche lei stesso si è proposto per negoziare?

«Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il paese al suicidio. Gli ucraini, con la storia che hanno, poveretti, gli ucraini al tempo di Stalin quanto hanno sofferto… Quanto sta accadendo fra Israele e Palestina è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. I responsabili (ndr: rivedere il video, il Papa dice i responsabili, non dice gli irresponsabili come invece appare nella trascrizione ufficiale) sono questi due che fanno la guerra»

Come trovare una bussola per orientarsi su quanto sta accadendo fra Israele e Palestina?

«Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. Gli irresponsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la «guerra-guerrigliera», diciamo così, di Hamas per esempio, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa».

La colomba è il simbolo della pace, è il segnale che la guerra è finita. Ma poi c’è il dopoguerra, che comunque è un altro momento in cui si devono ricucire tutte queste ferite…

«C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra. Tanta gente innocente non può crescere, tanti bambini non hanno futuro. Qui vengono spesso i bambini ucraini a salutarmi, vengono dalla guerra. Nessuno di loro sorride, non sanno sorridere. È un bambino che non sa sorridere sembra che non abbia futuro. Pensiamo a queste cose, per favore. La guerra sempre è una sconfitta, una sconfitta umana, non geografica».

Come le rispondono i potenti della terra quando chiede loro la pace?

«C’è chi dice, è vero ma dobbiamo difenderci… E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difenderci no, distruggere. Come finisce una guerra? Con morti, distruzioni, bambini senza genitori. Sempre c’è qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi, e questo significa soldi».

Quale rapporto ha un Papa con l’errore?

«È forte, perché quanto più una persona ha potere corre il pericolo di non capire le scivolate che fa. È importante avere un rapporto autocritico con i propri errori, con le proprie scivolate. Quando una persona si sente sicura di sé stesso perché ha potere, perché sa muoversi nel mondo del lavoro, delle finanze, ha la tentazione di dimenticarsi che un giorno starà mendicando, mendicando giovinezza, mendicando salute, mendicando vita… è un po’ la tentazione dell’onnipotenza. E questa onnipotenza non è bianca. Tutti dobbiamo essere maturi nei nostri rapporti con gli errori che facciamo, perché tutti siamo peccatori».

Bruni: «Il Papa chiede una soluzione diplomatica»

Il direttore della Sala Stampa, Matteo Bruni, risponde alle domande di alcuni giornalisti a proposito dell’anticipazione dell’intervista alla Radio Televisione Svizzera (RSI), pubblicata ieri, spiegando che l’auspicio di Francesco per il Paese, da sempre definito «martoriato», è tutto racchiuso nelle parole già espresse all’Angelus del 25 febbraio, all’indomani del drammatico doppio anniversario dello scoppio del conflitto, in cui ribadiva il suo «vivissimo affetto» alla popolazione. E cioè di «creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura».

«Il Papa – specifica Bruni – usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista, parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il Papa ha affermato chiaramente: ›Il negoziato non è mai una resa’».

RSI/Vatican News/red

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10 Marzo 2024 | 08:15
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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