Don Dario Solo è al centro della foto
Papa e Vaticano

Don Darius Solo, già parroco in Ticino: «Dal Papa attendiamo la speranza che può far ripartire il Congo»

«Accogliamo il Papa come colui che può, nel momento attuale e nella crisi vissuta soprattutto in certe zone del Paese, suscitare una speranza sempre più salda: negli abitanti, a prevalenza cattolica, dell’intero Congo, ma in particolare tra i giovani, che oggi frequentano sempre più spesso le scuole e le università, dimostrando di credere fortemente che le cose possano cambiare». È una voce carica di attesa quella di don Darius Solo, che raggiungiamo in queste ore nel cuore dell’Africa, dove, nella Repubblica Democratica del Congo la popolazione sta aspettando Papa Francesco, che raggiungerà il Paese nelle prossime ore, per poi recarsi il 3 febbraio anche in Sud Sudan.

Don Solo – che per anni è stato al servizio della Diocesi di Lugano, sia come parroco a Tesserete, in Valle Verzasca, Intragna e Pazzalino che come insegnante presso la Facoltà di teologia di Lugano e, infine, operatore presso il Tribunale ecclesiastico – è oggi il Rettore di una delle più importanti università statali del Paese, a Boma, con oltre 4’000 studenti distribuiti in 7 facoltà, dalla medicina alle scienze della comunicazione. «Gli studenti che si iscrivono ai nostri corsi sono sempre di più», sottolinea. «Sentiamo di dover loro insegnare, come professori, come potersi poi concretamente inserire in una società il cui obiettivo primario, ora, è quello di trovare una pace duratura».

La lotta per le risorse prime
Il riferimento è a una delle «grandi povertà» del Congo che il Papa, nella giornata del 1. febbraio, toccherà con mano, avendo chiesto che gli sia organizzato un incontro da vicino con le vittime dell’est del Paese. Proprio il Nord-Est, infatti, «è una zona martoriata, un vero e proprio calvario da oltre 30 anni a questa parte», prosegue don Solo.

«La lotta per le materie prime tra fazioni locali e le multinazionali, come del resto avviene anche in Sud Sudan, è costante. Si contano vi siano oltre 100 formazioni armate, di cui fanno parte, tenendo in scacco il territorio, almeno 20’000 uomini. Si tratta di veri e propri eserciti, l’uno contro l’altro armati, e che mettono a ferro e fuoco tutta la regione. Dietro questa drammatica situazione ci sono i forti interessi per la gestione delle immense risorse minerarie di cui è ricco il Paese».

Il messaggio alle autorità
Un conflitto, aggiunge, su cui l’Europa, e l’Italia in particolare, è tornata a riflettere esattamente due anni fa, quando nel mese di gennaio del 2021 veniva brutalmente assassinato il giovane ambasciatore italiano Luca Attanasio: «Sappiamo che il Papa avrebbe voluto visitare anche questa zona, ma che gli è stato impedito per la sua sicurezza. Ma tale drammaticità non sarà meno presente nei suoi colloqui con i governanti del Paese. La precedente presidenza, guidata da Joseph Kabila e durata 17 anni, ha portato nel Paese all’acuirsi dei problemi, in particolare la violenza, che difficilmente l’attuale presidente, Félix Tshisekedi, in carica solo da quattro anni, riuscirà a risolvere in fretta.

Sono convinto che il Papa senta di poter fare qualcosa di concreto per tutto questo. Con la forza che gli abbiamo riconosciuto in questi anni, in tante situazioni, può essere la persona giusta per incoraggiare i politici del Paese a impegnarsi per far sì che le cose vadano nel verso giusto».

Il contributo della Chiesa
Un viaggio, dunque, molto atteso, non solo per le conseguenze che potrebbe avere, ma anche perché l’ultima volta di un Pontefice in Congo risale alla visita di San Giovanni Paolo II nel 1980. «L’arrivo del Papa è infine un modo nuovo per dare sostegno a quelle tante realtà ecclesiali alle quali si deve, nelle 48 diocesi del Congo, un’ancora di salvezza: la Caritas locale, gruppi e movimenti ma anche la nostra stessa Università, che venne congiuntamente fondata, prima di passare in mano dello Stato, da cattolici ed evangelici. Senza questa presenza cristiana – per il 63% cattolica – nel Paese, credo che i disordini e il caos interni sarebbero molto maggiori.

Per noi attendere il Papa è anche un invito a riprendere in mano e a rileggere la costituzione apostolica di papa Benedetto XVI «Africae Munus»: documento che invitava alla riconciliazione; quella vera, che può unicamente derivare da un senso di giustizia comunemente condiviso e dalla conversione del cuore», conclude don Solo.

Laura Quadri

Don Dario Solo è al centro della foto | © fondazioneuriele
31 Gennaio 2023 | 11:30
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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