Corea, il vescovo: «No alla guerra, speriamo nella riconciliazione»

«Dio aprirà una via anche nel deserto, dice la Scrittura. Da persone di fede, nella crisi politica con la Corea del Nord non perdiamo le speranze di dialogo. Ma nella storia, Dio agisce attraverso le opere degli uomini e delle donne, dunque a noi spetta lasciare una porta aperta, continuare a pregare, sperare e agire perché si possano riattivare i negoziati con il Nord e riprendere un cammino di cooperazione e riconciliazione che allontani i venti di guerra. Un conflitto sarebbe catastrofico e una sconfitta per l’umanità intera». Non è facile mantenere un autentico sguardo di fede sul passaggio critico che oggi attraversa la storia della Corea, e Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione «Giustizia e pace» dei presuli coreani, lo fa riconducendo nelle mani della Provvidenza divina anche questioni complesse come l’ipotesi di una guerra nucleare. «In momenti delicati come quello presente non possiamo far altro che ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra», spiega a Vatican Insider con una citazione paolina.

 

Come vive, da uomo di fede, questa fase critica e le minacce di una guerra con il Nord?

«Prima di tutto immerso nella preghiera. Preghiamo intensamente perché non si inizi una guerra che sarebbe una tragedia. Deploriamo ogni atto violento come i lanci di missili e le prove di ordigni nucleari. Purtroppo da tre generazioni la Nord Corea si è sempre più isolata e, pian piano, i suoi leader hanno creduto che, per ottenere sicurezza interna, l’unico modo è dotarsi della bomba atomica. Ma, intanto, la popolazione si è fortemente impoverita e soffre la fame. Kim oggi è isolato, ma speriamo possa convertirsi e cambiare strada. Preghiamo che possa scegliere una nuova strada per costruire la convivenza e soprattutto la riconciliazione con il Sud. Deve sapere che le nostre porte sono aperte. Siamo fratelli, siamo un unico popolo. Bisogna prenderne coscienza e ricominciare un cammino insieme».

 

I vescovi hanno pubblicato un appello di pace: cosa pensa il popolo coreano?

«La preoccupazione è grande. Da 70 anni in Corea del Sud si convive con una certa paura della guerra. Il popolo è piuttosto abituato a periodiche provocazioni e crisi. Ma questa volta sembra davvero che la situazione sia diversa, anche perché è mutato tutto il contesto internazionale e stiamo assistendo a un uso del linguaggio molto duro tra i leader politici delle grandi potenze. Dunque esiste un’incognita su quello che potrebbe realmente accadere. Tantopiù, allora, oggi la necessità prioritaria è riaprire un via di dialogo, un canale di comunicazione».

 

Ci sta provando il nuovo presidente Moon?

«Il presidente Timoteo Moon è un buon cattolico, l’ho incontrato due volte a tu per tu e ho visto un uomo semplice, una persona di buon senso, che vive i valori del Vangelo. Moon è soprattutto un uomo di pace e, dopo cento giorni dall’inizio del suo mandato, non si stanca di invitare al dialogo. Va detto che ha iniziato il suo servizio in una fase molto difficile della storia nazionale, in mezzo a una crisi politica si sul versante interno, sia su quello estero. Ma, mentre i suoi predecessori parlavano solo di sicurezza del paese – pur importante – Moon continua a utilizzare nel suo lessico la parola «dialogo». Questo è un messaggio importante. Dobbiamo lasciare una porta aperta. Sosteniamo la sua politica, speriamo possa andare avanti e avere dei frutti».

 

I leader religiosi coreani hanno incontrato il Papa, pensa che il loro messaggio possa avere un’influenza?

«Speriamo con tutto il cuore che parole e la forza spirituale dei leader religiosi coreani e di Papa Francesco possano avere un influsso benefico e contribuire a riaprire i giochi della pace. Per noi leader religiosi è molto importante lavorare insieme per il bene comune della Corea, in primis per la pace. I leader religiosi hanno un’influenza sulle coscienze e sull’opinione pubblica, e possono aiutare a diffondere nel popolo coreano il desiderio di percorre una strada fatta di incontro, di cooperazione e di dialogo, non di confronto armato».

 

A che punto sono i canali relativi agli aiuti umanitari verso la Nord Corea?

«L’ex presidente Park chiuse ogni canale statale e anche delle organizzazioni non governative. I ponti sono tuttora tagliati e non è facile in questa situazione ristabilire un contatto. Noi, come Chiesa coreana, siamo pronti a riprendere progetti di aiuto umanitario o di cooperazione economica e sociale. Ma è necessario un invito da Pyongyang. Speriamo venga presto, perchè la gente al Nord soffre la fame».

 

Dove attingete le vostre speranze?

«Sappiamo che Dio non abbandonerà il popolo coreano. Lo sappiamo guardando alla nostra storia, dove spiccano le vite dei martiri. Abbiamo in corso due cause di beatificazione di martiri: un primo gruppo di 133 tra laici e preti, vittime di persecuzione della dinastia Joseon (1785-1879); il secondo gruppo di martiri è del XX secolo: 81 vittime del regime comunista tra i quali preti, laici, e vescovi come l’ultimo Pastore di Pyongyang, Francesco Borgia Hong Yong-ho. In particolare a lui chiediamo una speciale intercessione. Tramite i martiri impariamo a vivere con la fede i problemi dell’oggi. In loro c’è la risposta, soprattutto ci insegnano la gioia del Vangelo. I martiri ci dicono che la fede e la vita sono strettamente unite: questo è un tesoro prezioso per noi. Una comunità che vive e testimonia il Vangelo cambia la società e la storia».

Paolo Affatato – VaticanInsider

5 Settembre 2017 | 18:00
Tempo di lettura: ca. 3 min.
corea (39), guerra (162), vescovo (110)
Condividere questo articolo!