Caso Orlandi, il Vaticano ordina l’apertura di due tombe nel Cimitero teutonico

La speranza della famiglia Orlandi è flebile come una di quelle fiammelle che di notte illuminano le tombe del Cimitero Teutonico. È lì, in questo pezzo di terra all’interno della Città del Vaticano, dove sono sepolte persone di origine austriaca, sudtirolese, svizzero-tedesca, lussemburghese, e belga di lingua tedesca, che potrebbe trovarsi la loro Emanuela. O forse sarebbe più corretto scrivere: è lì che potrebbe trovarsi la loro Emanuela? Un punto di domanda necessario per evitare di creare nuove illusioni a questa famiglia che da 36 anni è alla ricerca della figlia, vista l’ultima volta il 22 giugno 1983 in piazza Sant’Apollinare, a Roma, e ricomparsa solo nell’arcinota fotografia in bianco e nero, con la fascetta nera sulla fronte, affissa ad ogni parete, vetrina, pensilina della Capitale.

Il nuovo capitolo di questa vicenda che rimane uno dei più grossi buchi neri delle cronache italiane, dove la realtà si è fusa con la surrealtà e la storia alla leggenda, si scriverà il prossimo 11 luglio quando saranno aperte due tombe all’interno del Cimitero Teutonico. Lo ha disposto il Tribunale del Vaticano con un decreto del 27 giugno reso noto oggi dal portavoce ad interim Alessandro Gisotti, il quale spiega che «la decisione si inserisce nell’ambito di uno dei fascicoli aperti a seguito di una denuncia della famiglia di Emanuela Orlandi che, come noto, nei mesi scorsi ha, tra l’altro, segnalato il possibile occultamento del suo cadavere nel piccolo Cimitero ubicato all’interno del territorio dello Stato Vaticano».

L’ultimo aggiornamento al caso Orlandi – tralasciando la fake news delle ossa nella Nunziatura di via Po – era infatti una lettera anonima recapitata ai familiari la scorsa estate in cui si invitava a scavare in una tomba del 1857, sovrastata dalla statua di un angelo con il dito puntato verso il basso, recante la scritta «Requiescat in pace». Forse laggiù riposano i resti di Emanuela: bisogna cercare dove indica l’angelo, suggeriva la lettera. Sembra che su quella lapide da anni vengano deposti dei fiori e accesi lumini. «Possibile che una tomba così antica sia meta di devozione?», si domandava la legale della famiglia Orlandi, Laura Sgrò, che subito si è mossa per presentare formale istanza alla Segreteria di Stato, in particolare al cardinale Pietro Parolin, per conoscere la storia di quel loculo e ottenerne l’apertura.

A marzo lo stesso Gisotti faceva sapere che la lettera degli Orlandi era stata ricevuta dal cardinale e che sarebbero state studiate le richieste rivolte nella missiva. L’Ufficio del Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nelle persone del promotore Gian Piero Milano e del suo aggiunto Alessandro Diddi, ha quindi autorizzato l’apertura di non una ma ben due tombe.

L’operazione, come detto, si svolgerà l’11 luglio alla presenza dei legali delle due parti oltre che dei familiari di Emanuela e dei parenti delle persone seppellite nelle tombe interessate. Ci saranno anche, per offrire ausilio tecnico, il professor Giovanni Arcudi, il comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani, e personale della Gendarmeria. «Il provvedimento giudiziario prevede una complessa organizzazione di uomini e mezzi», evidenzia la nota della Santa Sede, sono coinvolti infatti «operai della Fabbrica di San Pietro e personale del COS, il Centro Operativo di Sicurezza della Gendarmeria Vaticana, per le operazioni di demolizione e ripristino delle lastre lapidee e per la documentazione delle operazioni».

Dunque non un’operazione facile, considerando anche i rischi in cui potrebbe incorrere il Vaticano con i risultati dell’ispezione. Il passo, tuttavia, era dovuto, quantomeno per provare ad escludere questa nuova ipotesi. E cioè che dopo anni e anni di ricerche, di pubblici appelli, a cominciare da quello storico di Giovanni Paolo II, di sit-in, di notizie fugaci o strillate a mezzo stampa, Emanuela è sempre stata lì, a pochi passi dalla casa natale dentro le mura leonine.

La decisione di aprire le tombe giunge dopo una fase di indagini nel corso della quale l’Ufficio del Promotore – con l’ausilio del Corpo della Gendarmeria – ha svolto approfondimenti tesi a ricostruire le principali tappe giudiziarie di questo lungo, doloroso, complesso caso. La Santa Sede ci tiene a sottolineare che «per ragioni di carattere giuridico l’autorità inquirente vaticana non ha giurisdizione per svolgere indagini sulla scomparsa, avvenuta in Italia, di Emanuela Orlandi». Indagini condotte peraltro dagli inquirenti italiani, sin dalle prime fasi, «con scrupolo e rigore professionale». Pertanto, l’iniziativa vaticana riguarda soltanto l’accertamento della eventuale sepoltura del corpo di Emanuela nel territorio dello Stato vaticano.

In ogni caso, le complesse operazioni peritali fissate per il prossimo 11 luglio sono solo la prima fase di una serie di accertamenti già programmati che, dopo l’apertura delle tombe e la repertazione e catalogazione dei resti, porteranno alle perizie per stabilire la datazione dei reperti e per il confronto del Dna.

Il timore è che alla fine si tratti di un ennesimo buco nell’acqua, come già era stata la riesumazione di sette anni fa della salma di Enrico De Pedis, uno dei boss della Banda della Magliana , nella basilica di Sant’Apollinare. Di proprietà dell’Apsa e gestita dal Vicariato di Roma, la chiesa è posizionata proprio accanto alla scuola di musica frequentata dalla ragazza, ultimo luogo in cui quel maledetto 22 giugno 1983 è stata vista dalle amiche.

Erano stati ex componenti della banda criminale -che si era ritagliata un ruolo da protagonista nella vicenda Orlandi – a richiamare l’attenzione degli inquirenti sul collegamento tra la scomparsa della 15enne figlia di un commesso pontificio e il riciclaggio di denaro sporco allo Ior. Anche in quel caso si era parlato di ossa seppellite nella tomba, ma gli accertamenti avevano permesso di identificare il corpo con quello di «Renatino» e di escludere la presenza della Orlandi.

Un colpo al cuore del fratello Pietro e degli altri familiari. Come lo sono state in questi anni tutte le notizie rivelatesi poi false su avvistamenti e ritrovamenti di presunti cadaveri o, anche, la pubblicazione di documenti patacca con finti bolli della Santa Sede che andavano ad aprire ulteriori scenari. Una girandola di notizie, volti, luoghi, divenuta estenuante, tanto da far esclamare alla madre Maria: «Maledetto chi sa la storia e non la dice!».

L’11 luglio 2019 potrebbe essere una data spartiacque o anche no. Certo va a segnare, forse per la prima volta, una stretta collaborazione tra gli Orlandi e la Santa Sede, quella che secondo il fratello di Emanuela, Pietro, è sempre mancata in questi trentasei anni. Lo stesso Pietro che, tuttavia, oggi si dice contento e ringrazia il cardinale Parolin «per l’attenzione e la volontà di fare chiarezza».

(Vatican Insider)

2 Luglio 2019 | 17:05
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