Chiesa

Il cardinale Chávez (El Salvador): «La mia porpora per Romero»

Non era mai avvenuto prima che un vescovo ausiliare divenisse cardinale mentre l’arcivescovo della sua diocesi rimarrà senza berretta rossa. Questa situazione inedita si realizzerà ne El Salvador grazie a Papa Francesco che, mercoledì 28 giugno, durante il Concistoro pubblico nella Basilica di San Pietro, consegnerà la porpora al vescovo Gregorio Rosa Chávez, ausiliare di San Salvador. Si tratta del primo cardinale salvadoregno la cui nomina – come assicura egli stesso a Vatican Insider – è dovuta al suo legame con il «vescovo dei poveri» Óscar Arnulfo Romero, assassinato nel 1980, del quale fu amico d’infanzia e tra i più stretti collaboratori. Una figura, quella di Romero, che Chávez rivede per certi aspetti in quella di Jorge Mario Bergoglio, il Papa argentino investito da forti critiche. Una cosa che, dice il neocardinale, «è inevitabile».

Come ha accolto la sua nomina cardinalizia?  

«L’ho appreso alle cinque del mattino del 21 maggio scorso, quando a Roma era circa l’una di pomeriggio. Una suora mi ha chiamato per comunicarmi la notizia; ho pensato inizialmente ad uno scherzo, invece mi ha spiegato che era tutto confermato. Sono rimasto a lungo in silenzio, sconcertato, sopraffatto. Avevo due messe in programma quel giorno: una sul luogo in cui Romero fu assassinato, un’altra sulla sua tomba. Ho pensato che fosse un segno di Dio e che c’era monsignor Óscar dietro questa storia. Al di là di tutto, penso che questa decisione del Papa sia un omaggio proprio a lui, ricevo perciò questa berretta rossa in suo onore. Lui meritava questo, Dio ha dato a lui prima la porpora per il suo sangue, per il suo martirio. Questo mi da tanta pace e tranquillità».

 

Cosa ha pensato quindi quella mattina del 21 maggio?  

«È stata una totale sorpresa, non avevo avuto alcun segnale prima che ciò potesse accadere. Ho pensato di non meritarlo, che fosse una grazia ma anche una responsabilità. Mi sono allora domandato: perché il Papa lo ha fatto? Ancora non sono riuscito a trovare una risposta oggettiva. Ho sentito tanti pareri e tante ipotesi dalla gente. Sono certo – ripeto – che c’è Romero dietro a questo, ma come e perché me lo dirà il Papa».

 

Lei sarà il primo cardinale salvadoregno, ma è un vescovo ausiliare. Non era mai successo prima…  

«No, me lo ha confermato anche il cardinale Beniamino Stella. È una situazione inedita. La cosa mi sorprende, una cosa del genere poteva succedere solo nella mente del Papa».

 

Perché pensa che Papa Francesco abbia voluto fare questa «sorpresa»?  

«Come dicevo, ho tante risposte provenienti dalla opinione pubblica, dai giornalisti e dagli stessi vescovi. Credo che sia un riconoscimento per la Chiesa martire dell’America Latina, una Chiesa che ha sofferto tanto, che è voluta rimanere fedele al popolo di Dio in un momento difficile in vari Paesi. Questo mi è abbastanza chiaro. Io non avevo uno stemma episcopale e ho dovuto farne realizzare uno e ho incluso l’elemento martiriale, l’elemento di Romero, perché credo che siano queste le chiavi di lettura fondamentali».

 

Cosa avrebbe pensato monsignor Romero?  

«Il cardinale Carlo Maria Martini in una lettera pastorale parlò dei cardinali che maggiormente lo influenzarono e citò monsignor Romero, non per il suo titolo ma per il suo sangue. Questa idea mi insegue da quando ho letto la lettera anni fa, adesso lo vedo confermato: cardinale Romero per il suo sangue».

 

Pensa che il Papa attraverso queste situazioni inedite stia riformando il Collegio cardinalizio?  

«Già il fatto di svincolare il cardinalato da sedi tradizionalmente legate ad esso è totalmente rivoluzionario. Prima era quasi obbligatorio che una tale città avesse un cardinale, ora è una cosa superata. Si capisce dai discorsi del Santo Padre che vuole al suo fianco gente di cui potersi fidare e questo mi stupisce e, al contempo, mi interpella».

 

Forse è un modo per portare un po’ di aria fresca a Roma…  

«Il Papa sogna una «Chiesa povera per i poveri», lo stesso sogno di Romero. Tra i due ci sono numerosi punti di consonanza. Questa Chiesa che Romero desiderava, Papa Francesco vuole renderla visibile davanti al mondo. Una Chiesa che stava un po’ in penombra e che ora lui vuole che salga alla luce, che esca fuori dalle «catacombe»».

 

Fino a che punto arriverà questa scossa che sta generando Papa Francesco?  

«Il Papa ha chiaro quale sia il disegno di Dio in questo momento. Viviamo in un mondo segnato da notizie terribili, dalla incapacità di essere solidali l’uno con l’altro, un mondo che alza muri come nel caso del Nord America. Costruire ponti è il desiderio del Papa, bisogna aiutarlo a far sì che questo auspicio diventi realtà. Senza questo non è possibile trovare la pace nè un futuro degno per tutti. Tutti andiamo a perdere se non diveniamo costruttori di ponti».

 

Però non tutti nella Chiesa accolgono con favore le novità del Pontefice. Le critiche, secondo lei, sono inevitabili?  

«Sì, la critica è un elemento totalmente inevitabile, ma credo che pian piano ci stiamo abituando ad una Chiesa più evangelica, che si sporca le mani, che si butta nel fango del popolo sofferente e porta lì la speranza, come Gesù. Tutto questo è motivo di grande speranza, grande gioia, per la gente».

 

A Romero lo criticarono e infine lo uccisero. Il Papa corre lo stesso rischio?  

«Il Papa è destinato ad una critica feroce. Lui lo sa e vive questa situazione con gran senso dell’humor, non si fa problemi, non rinuncia ai suoi sogni. È una lezione per tutti. A volte, infatti, ci si deprime perché non si riesce a guardare in avanti. Il Papa, invece, guarda oltre, guarda a Gesù che va avanti con i piedi insanguinati. Cammina su una strada che non è di gloria, ma di sofferenza. Il Papa ci insegna a vedere una croce che illumina e dà al mondo una speranza. È un messaggio così semplice, così attuale e necessario per il mondo di oggi».

Andres Beltramo Alvarez (VaticanInsider)

27 Giugno 2017 | 08:00
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