Padre Mauro Lepori, abate generale dell'Ordine cistercense
Papa e Vaticano

Abate Lepori: «La sinodalità non è uno slogan ma un'esperienza di comunione»

da Roma Cristina Vonzun*

Abate Mauro Lepori, qual è, secondo lei, la questione più importante emersa in questi mesi di cammino sinodale e arrivata nell’Assemblea di Roma e che da lì riparte?

Penso che sia l’esercizio della sinodalità, un’esperienza condivisa da tutti, che è anche l’esperienza più importante da riportare a tutta la Chiesa. Perché questo è ciò che dovrebbe realmente essere il risultato del Sinodo: che tutta la Chiesa diventi sinodale non in teoria ma nel suo cammino, nel modo di vivere: nella pastorale, nella missione in tutti gli stati di vita, nella formazione al presbiterato, alla vita consacrata, ai ministeri, al matrimonio, ai sacramenti. Penso che tutti, alla fine del Sinodo, siano convinti che questo è il metodo: non è una tecnica ma una strada da vivere e un modo di incontrarsi, una cultura, un senso di come la Chiesa è in cammino nel suo essere comunione.

Cosa ha apportato la sua esperienza monastica al Sinodo?

Il Sinodo, da un lato mi ha confermato sul metodo che ho seguito durante il mio periodo abbaziale a Hauterive dove abbiamo vissuto molto la condivisione e l’ascolto reciproco, una condivisione strutturata e curata in modo che i fratelli potessero veramente conoscersi, ascoltarsi gli uni gli altri, imparando a vivere i conflitti nella comunione, in dialogo: il conflitto delle idee ma non delle persone. Questo ora cerco di viverlo, anche se in modo molto più esteso e quindi meno facile, con le differenti comunità nel mondo, tenendo presente che non tutte hanno fatto lo stesso tipo di cammino. In questo ho seguito la Regola di San Benedetto, in particolare il capitolo tre che chiede all’Abate di ascoltare ogni fratello e poi di assumersi la sua responsabilità decisionale; o ancora laddove chiede che l’Abate sia sempre attento a che i fratelli crescano insieme, che i forti non siano mortificati da chi rallenta il passo e che i deboli non siano scoraggiati dalla corsa degli altri. In pratica, che si salvi sempre la comunione.

Taluni temono che il metodo sinodale contraddica il principio apostolico su cui si fonda la Chiesa …

Se si intente male questo metodo, cioè in senso solo democratico e non si rispetta la natura della Chiesa che è apostolica, con il primato di Pietro, allora questo timore è giustificato. Ma il timore non aiuta l’autorità. Ho fatto invece l’esperienza che, quando l’autorità favorisce una vera sinodalità, l’autorità è aiutata, è chiarita e quindi confermata, così che non si tratta più di comandare delle cose ma di riconoscere che ci sono delle direzioni e delle scelte che la comunità ha maturato in sé stessa e che quindi può più facilmente raggiungere.

Sulla questione femminile, tema forte di questo Sinodo, che esperienza arriva dal suo Ordine?

La sinodalità uomo-donna. Nella vita dell’Ordine a cui appartengo ho fatto l’esperienza che la complementarità uomo-donna, soprattutto quando non è cancellata, nascosta o livellata, permette veramente di prendere cura della vocazione e della missione della Chiesa in modo molto più integrale ed efficace. Da quando le Abbadesse sono presenti a pieno titolo nel Capitolo generale dell’Ordine o da quando ho cominciato a compiere le visite canoniche accompagnato da una superiora femminile, ho sperimentato una fecondità di queste istituzioni molto più grande, perché c’è l’apporto maschile e femminile insieme, che arricchisce la vita dell’Ordine e quella ecclesiale. Credo che la Chiesa nel suo insieme debba sempre più comprenderlo. Non è una questione di accesso a ordini e ministeri – o almeno non è solo quello -, ma che le donne partecipino pienamente al cammino della Chiesa, che possano esprimersi e che siano ascoltate e questo non necessita un cambiamento della struttura della Chiesa – chi si può discutere – ma come le donne sono presenti in un Ordine religioso, allo stesso modo possono esserlo nella Santa Sede, nelle istituzioni, del Sinodo, ecc…

L’abate Mauro Lepori durante l’intervista a Roma.

La presenza dei laici al Sinodo a Roma non ha snaturato l’istituto del Sinodo, che è definito «dei vescovi»?

A me pare che sia importante comprendere che il Sinodo dei vescovi può restare tale anche con la presenza delle donne e dei laici. La Chiesa è apostolica. Il vescovo ha il ruolo di pastore e responsabile ultimo ma questo non vuol dire che i vescovi debbano riunirsi o ascoltarsi solo tra loro. Poi è vero che la Chiesa non è abituata a questo riunirsi insieme, almeno non ovunque. In certe culture, per esempio, la donna ha magari molta influenza quotidiana ma poco diritto di parola. Nel Sinodo non ho visto delle resistenze. Mi pare piuttosto che in tutti gli stati di vita della Chiesa dobbiamo comprendere meglio che camminare insieme non cancella nulla di ogni ministero, di ogni ruolo: il vescovo resta vescovo, il Papa resta il Papa, senza vedere questo in termine di potere, ma in termine di comunione e missione.

C’è diffidenza, timore in taluni nei confronti dell’esperienza sinodale per i cambiamenti che potrebbe portare …

Anch’io condivido una tentazione di diffidenza quando vedo che certe idee o opinioni sembrano imporsi in modalità di maggioranza ma senza un approfondimento teologico. Questo a volte può fare paura e si comprende. A volte sono temi decisivi che non possono essere imposti per maggioranza, perché allora neppure un Sinodo è il luogo, ci vorrebbe un Concilio. Bisogna veramente fare un approfondimento nella preghiera, nell’ascolto dello Spirito Santo e della tradizione della Chiesa, ma a volte ancora manca. Evidentemente al Concilio Vaticano II c’erano grandi teologi presenti, pensiamo a Congar, De Lubac, Rahner, Journet, Ratzinger, ecc. Era un momento teologico nella Chiesa paragonabile a quello dei Padri dei primi secoli. Oggi, bisogna penso tornare ad ispirarsi a questi nuovi Padri della Chiesa del secolo scorso dandoci il tempo di approfondire i temi che ci occupano. Perché, se si va avanti per slogan o troppo influenzati dai media non si va da nessuna parte.

La sinodalità è accoglienza di tutte le domande, ma con quale metodo?

Nella sinodalità bisogna parlare di tutto perché la preoccupazione del Papa e del Sinodo è che la Chiesa esprima la sua vita e vocazione compiendo la sua missione di essere «il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium 1). A partire da lì, si deve verificare tutto: l’abolizione del celibato dei preti potrebbe aiutare questo? Può rendere la Chiesa più fedele a Gesù Cristo? La Chiesa non nasce per obbedire a delle leggi ma a questa missione immensa affidata e animata dal Signore soffiando sugli apostoli lo Spirito Santo. Se si mantiene la preoccupazione dell’unità della Chiesa, assieme a quella di assolvere la sua missione, si hanno i criteri per capire cosa va mantenuto per rispettare tutti e cosa va cambiato per amore di tutti.

La Chiesa in Svizzera attende riforme, nell’immediato, attese che potrebbero essere disattese…

La domanda da porsi, facendo un passo indietro è: «perché aspettiamo questo?» e «l’attendiamo veramente?». Per esempio, si dice che i giovani non comprendono il celibato dei preti. Ma è veramente questo il problema dei giovani in Svizzera? Non sarebbe anzitutto di incontrare Cristo, il senso della vita? Sono veramente questi i problemi della Chiesa e dell’umanità? Ci sono vescovi di altri continenti che sentono questi discorsi come neocolonialismo. Non dico che non se ne deve parlare, ma non si deve restare solo a livello di slogan e di polemiche. La Chiesa in questo deve ricordarsi che è «Mater et Magistra” e deve andare in profondità su questi temi, senza dimenticare la parola di Dio e la tradizione. Nell’anno che ci attende prima della prossima assemblea sinodale che sarà nell’ottobre 2024 a Roma, personalmente sento l’urgenza di studiare e approfondire le diverse questioni per capirne il fondamento.

Come aiutare la gente nelle Chiese locali a vivere il Sinodo?

Penso che sia importante che il popolo di Dio capisca che il Sinodo lo riguarda e lo rappresenta, e che il Sinodo comprenda che il popolo di Dio ne è parte. Non è un parlamento dove se non invii il tuo rappresentante non sei presente: ci sono cose che arrivano al Sinodo anche attraverso il silenzio, l’offerta, la sofferenza e soprattutto la preghiera di tante persone. È lo Spirito Santo che pensa a introdurre certe tematiche, a ispirarle o a impedirle se non sono secondo Dio, come dirigeva la missione di san Paolo dicendo «sì» o «no» alle sue intenzioni e ai suoi progetti.

*intervista realizzata a Roma da Cristina Vonzun (catt.ch) con il collega Maurice Page (cath.ch)

Padre Mauro Lepori, abate generale dell'Ordine cistercense | © cristina vonzun/catt
5 Novembre 2023 | 08:20
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