Internazionale

A Gaza i cristiani «vivono e muoiono insieme»

Nonostante gli ordini di evacuazione, i 1.000 cristiani di Gaza non hanno lasciato le loro chiese nel nord dell’enclave. In solidarietà con i più vulnerabili, vivono un giorno alla volta, in mezzo alle bombe e alla mancanza di tutto.

Clémence Levant da Gerusalemme, per cath.ch (traduzione e adattamento catt..ch)

È sempre più difficile raggiungere la popolazione di Gaza. Niente elettricità, niente internet… L’enclave è tagliata fuori dal mondo. Nel caos dei bombardamenti, le Missionarie della Carità di sede a Gerusalemme riescono a contattare per pochi minuti al giorno le tre suore della loro comunità in missione nella parrocchia latina di Gaza.

Giusto il tempo di dare qualche notizia, di rassicurare, di chiedere preghiere. «Le nostre suore di Gaza mi stupiscono», dice la superiora dell’ordine fondato da Madre Teresa, «hanno sempre il sorriso sulle labbra, nonostante le bombe, nonostante la mancanza di tutto…». Dall’inizio della guerra, il 7 ottobre, sono quasi 500 i cristiani che si sono rifugiati nel complesso parrocchiale latino dall’inizio della guerra. Si tratta della metà dei cristiani di Gaza. Sono tutti palestinesi.

I cristiani palestinesi si rifiutano di andarsene

Situate nel nord dell’enclave, le parrocchie latina e greco-ortodossa hanno ricevuto lo stesso ultimatum del resto dell’area: ritirarsi nella parte meridionale in previsione di un imminente attacco dell’esercito israeliano. «Praticamente tutti hanno scelto di restare, ritenendolo più sicuro perché la situazione è sempre più delicata ovunque», ha spiegato lunedì il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, in un’intervista ai giornalisti italiani.

Partire, per andare dove?

«Partire? Per andare dove?», dice la superiora delle suore di Madre Teresa. «A Gaza, le nostre suore gestiscono una casa che si occupa di 60 bambini musulmani disabili e di alcuni feriti. Le loro famiglie sono rifugiate, sparse ovunque, e nessuno poteva venire a prenderli. Loro sono rimasti e così tutta la comunità: si vive insieme, si muore insieme, restando vicini a Gesù, vicini alle chiese».

Una parrocchia trasformata in un campo profughi

Sotto le bombe e con l’enclave a corto di acqua, elettricità, cibo e carburante, le tre Missionarie della Carità, insieme a tre Suore del Verbo Incarnato e tre Suore del Rosario, stanno lavorando per garantire una parvenza di normalità nel «campo profughi» che la parrocchia latina della Sacra Famiglia è diventata. Il pozzo che forniva alla parrocchia una fonte d’acqua indipendente ha smesso di funzionare a causa della mancanza di carburante per alimentare le pompe.

«La situazione sta tracimando. Non ci sono abbastanza servizi igienici per tutti, non ci sono abbastanza materassi, non ci sono abbastanza coperte», spiega la superiora, rifacendosi alle testimonianze delle suore di Gaza. Vivono ora per ora, senza pensare al domani. Hanno messo la loro vita completamente nelle mani di Dio. Mi dicono sempre: «Dio ci aiuter໫.

Papa Francesco ha telefonato al parroco di Gaza

Papa Francesco si è detto «molto preoccupato» per quanto sta accadendo a Gaza, secondo quanto riferito dal parroco padre Gabriel Romanelli. Il parroco, bloccato a Betlemme dall’inizio della guerra, ha ricevuto regolarmente telefonate dal Pontefice (quattro dal 7 ottobre), che gli ha detto di sperare in «una pausa nei bombardamenti» e «nell’apertura di corridoi umanitari per le migliaia di persone che ne hanno bisogno in questo momento». Il bilancio delle vittime nell’enclave è salito a 2.750 e si stima che un milione di persone sia sfollato.

Eppure, in mezzo al caos, la vita continua. Padre Yousef Assad, egiziano, guida le messe quotidiane. Domenica ha persino celebrato un battesimo. Il piccolo Daniel Ala Shaheen. Un barlume di speranza per il futuro della comunità cristiana di Gaza, una polveriera tra i 2 milioni di abitanti di un’enclave abbandonata al proprio destino. (cath.ch/cl/mp/traduzione e adattamento redazionecatt)

La presenza cristiana a Gaza

Nella Striscia di Gaza vivono oggi poco meno di 1.100 cristiani. La stragrande maggioranza segue il rito greco-ortodosso nella chiesa di San Porfirio. La parrocchia latina della Sacra Famiglia conta poco meno di 200 membri. Le Suore Missionarie della Carità gestiscono da 50 anni un centro che si occupa di bambini disabili, tutti musulmani. La comunità del Verbo Incarnato aiuta la parrocchia e le suore del Rosario gestiscono una scuola, considerata una delle migliori dell’enclave. Vicino alla costa si trovano i resti del più antico monastero della Terra Santa, quello di Sant’Ilarione. Costruito in epoca bizantina (IV-VI secolo d.C.), prende il nome da un monaco eremita della regione che fondò il monachesimo palestinese. Il monastero di Sant’Ilarione fa parte dell’elenco provvisorio dell’Unesco dei siti palestinesi meritevoli di essere inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale. È anche nella lista 2012 del World Monuments Fund (WMF) dei 100 siti più a rischio del mondo. CL

| © Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash
18 Ottobre 2023 | 15:52
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