Pubblicati gli atti del congresso sulla «Deus caritas est» di Benedetto xvi – Dalla divisione alla condivisione

L’enciclica Deus caritas est (Dce) fa luce sulla nostra situazione contemporanea; al tempo stesso gli eventi che hanno avuto luogo nel mondo e nella Chiesa in questi ultimi dieci anni possono confermare, sfidare e amplificare l’eredità dell’enciclica stessa.

Vorrei proporre una riflessione sull’importanza di non avvicinarsi ai poveri e ai bisognosi da una posizione di superiorità. L’atteggiamento giusto è quello della solidarietà. Chi serve deve essere consapevole che è povero quanto coloro che vengono serviti. Siamo tutti mendicanti. Siamo tutti feriti. Non tutti gli atti esteriori di offerta o di servizio sono altruistici, Quando provengono da una persona piena di sé, essi diventano un insulto per chi ne è il destinatario.

Vorrei raccontare un’esperienza che mi è capitata quando ho visitato il campo profughi di Idomeni. Abbiamo visto la sofferenza, abbiamo odorato la sofferenza, abbiamo ascoltato la sofferenza e abbiamo toccato la sofferenza. Si avvertiva con urgenza la necessità di aiutare e di dare il più possibile. Tuttavia, alla fine della visita, mi sono reso conto di aver ricevuto dai profughi e dai generosissimi volontari molto più di quanto avessi dato. La loro testimonianza mi ha trasmesso forza, speranza e un senso più profondo di dignità e nobiltà umana.

La donna che supervisionava la distribuzione dei generi di conforto era anche il vicesindaco della città. Durante una pausa, le ho chiesto se la supervisione delle attività di soccorso facesse parte dei suoi compiti di vicesindaco. Mi ha risposto che, per quanto la riguardava, si trattava di volontariato. Quando le ho domandato perché si fosse proposta come volontaria, mi ha risposto: «Anche i miei antenati erano profughi. Nel mio corpo ho un Dna da profuga. Non abbandonerò mai i profughi perché sono miei fratelli e sorelle».

di Luis Antonio G. Tagle

18 Luglio 2016 | 00:45
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