Ticino e Grigionitaliano

Dalla Parola di Dio alla vita per tutti: commenti verso il Natale di Gesù

Inizia con questa prima domenica d’Avvento, un percorso, speriamo, utile ed interessante, nel quale il Coordinamento della Formazione Biblica della Diocesi di Lugano desidera mettersi al servizio di lettrici e lettori, accompagnandoli verso un confronto aperto ed interattivo con i brani evangelici che sono proposti, nelle celebrazioni eucaristiche domenicali, secondo i riti liturgici cattolici romano e ambrosiano.

Ragguardevoli esperte ed esperti di tradizione cattolica e di altre confessioni cristiane proporranno le loro sintetiche linee di analisi e di interpretazione ai diversi testi che si succederanno, domenica dopo domenica. Le traduzioni dei brani evangelici saranno quelle pubblicate dall’Associazione Biblica della Svizzera Italiana nei volumi delle Edizioni Terra Santa (la casa editrice della Custodia francescana di terra Santa) editi dal 2017 in poi, nel quadro del progetto internazionale ABSI «Leggere i vangeli per la vita di tutti»[1]. Quando sarà utile e possibile offriremo anche dei suggerimenti multimediali, che consentano di approfondire quanto sarà proposto, leggendo i brani in questione, oppure di considerare aspetti culturali variamente collegati ad essi.

Il raccordo tra la lettura dei testi biblici in se stessi e la considerazione di che cosa possano dire alla nostra vita e cultura di oggi pare un obiettivo sempre più importante a livello ampiamente formativo. Per chi? Tanto per i credenti in senso religioso cristiano quanto per tutti coloro che sono di altra ispirazione culturale, quindi sia nella Chiesa di Gesù Cristo che nella società civile nel suo complesso.

Saremo lieti di conoscere l’opinione su di essi delle persone che leggeranno questi contributi (scrivano pure a: info@absi.ch) sia per stabilire un dialogo con loro sia per avere stimoli a migliorare costantemente quanto sarà proposto, settimana dopo settimana, in queste pagine elettroniche…

Marco 13,33-37 (rito romano – commento di Renzo Petraglio[2])

«33Guardate, restate svegli[3]! Infatti non sapete quando è il momento. 34Come una persona in viaggio, lasciata la sua casa e dato il potere ai suoi schiavi, a ciascuno il proprio lavoro, e ordinò a colui che guarda la porta di vegliare. 35Vegliate dunque: infatti non sapete quando il signore della casa viene, se di sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o all’alba. 36Che, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Ora, quel che dico a voi, (lo) dico a tutti: Vegliate!».

            La prima parola del brano, e cioè l’imperativo «guardate», vuole subito rendere attenti al contesto. Infatti essa riprende l’inizio del discorso (13,5) di Gesù sul monte degli ulivi. Ma riprende anche il messaggio centrale e la parola conclusiva della sezione 5-23, cioè i vv. 9.23.

            Quanto alla struttura del passo, essa è evidente. Nel v. 33 e rispettivamente nel v. 37 c’è l’invito a stare svegli, a vegliare. All’interno di questa cornice c’è un breve racconto, quasi una parabola, e la sua applicazione, cioè un invito a vegliare.

            Nella cornice l’invito è espresso con parole diverse. Nel v. 33 c’è «state svegli». Si tratta di un verbo che ricorre solo qui in tutto il Vangelo secondo Marco. Del resto è raro in tutta la Bibbia greca[4]. Invece nel v. 37, proprio come imperativo che chiude il discorso, c’è il verbo vegliare.

            Ed è interessante notare come lo stesso verbo vegliare si ritrovi nel cuore stesso della sezione. Infatti, il breve racconto dell’uomo che parte e lascia la casa si chiude con un particolare: l’ordine, rivolto a colui che guarda la porta, di vegliare (v. 34). E, nel verso successivo, l’applicazione del discorso alla condizione dei credenti, si apre proprio con lo stesso verbo all’imperativo: «vegliate dunque».

            Sempre nella parte centrale, un altro aspetto collega la narrazione al monito conclusivo. Nella narrazione colui che parte è presentato semplicemente come «una persona» (v. 34) senza altre caratteristiche; solo il seguito del breve racconto ci permette di capire che si tratta di un maschio. Invece, nel monito che Gesù trae dal racconto, il personaggio in questione viene presentato come il signore, letteralmente come «il signore della casa» (v. 35).

Sempre a proposito della relazione tra la parte centrale e la cornice, è interessante cogliere il parallelo tra i vv. 33 e 35.

            Nel v. 33 c’è l’imperativo «restate svegli» seguito, letteralmente, da queste parole

«infatti non sapete quando il momento è».

            E nel v. 35 l’imperativo «vegliate dunque» è seguito da

«infatti non sapete quando il signore della casa viene».

            Abbiamo quindi un parallelismo tra il momento e il signore, in greco ho kairós e ho kyrios. Colui che in 1,15 annunciava «il momento è definitivamente compiuto e il regno di Dio si è fatto definitivamente vicino. Cambiate mentalità e mettete la vostra fiducia nel vangelo» ora, verso la fine del vangelo, torna a parlare del momento, un momento che gli ascoltatori non conoscono e in vista del quale devono vegliare: ed è il momento nel quale il signore della casa viene.

            Infine, mi pare importante evidenziare anche la relazione esistente tra il piccolo racconto del v. 34 e i vv. 28-32 che abbiamo letto poco sopra. Là, senza precisare chi fosse il soggetto, abbiamo: «è vicino, alle porte» (v. 29). Ebbene, nel v. 34, della persona che ha lasciato la sua casa, si dice che ha dato «a ciascuno il proprio lavoro, e ordinò a colui che guarda la porta di vegliare». E occorre notare che solo qui, in Marco, abbiamo il sostantivo thyrorós, «colui che guarda la porta»[5]. Come lui, per poter accogliere «il signore della casa», colui che viene all’improvviso, tutti siamo invitati a vegliare.

            E le pagine successive del vangelo secondo Marco, con il racconto della passione, torneranno sulla necessità di questo vegliare. Avverrà nella narrazione del Getsemani. Lì i discepoli, da Gesù che in tutto il suo essere è triste fino alla morte, ricevono l’invito: «Rimanete qui e vegliate» (Mc 14,34). E Simone sarà rimproverato perché non ha «avuto la forza di vegliare una sola ora» (14,37). E a lui, come a tutto il gruppo dei discepoli che stanno dormendo, Gesù rivolge nuovamente l’invito «vegliate e pregate per non cadere nel potere della tentazione» (14,38).

            Se consideriamo l’insieme di Mc 13, notiamo che è uno sguardo sul futuro, uno sguardo confortante. Incoraggiante. Ma non è una consolazione gratuita. È una notizia bella, una notizia che libera dalla paura. Ma è anche una pagina che incoraggia ad aprire gli occhi: aprire gli occhi e agire. «Che, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati» abbiamo letto nel v. 36. E l’attitudine che Gesù suggerisce è quella di chi «guarda la porta». Guardare alla porta: è questa l’attitudine che ci dà la forza di vivere in questo mondo di guerre e di ingiustizie, di tzunami e di catastrofi nucleari.

            Guardare alla porta? Ma chi vediamo? Persone che fuggono dal Sud del mondo su barconi zeppi zeppi, asilanti che arrivano da noi sorretti da un sogno o solo dalla disperazione, giovani che ho incontrato per molti anni, tutti i giorni, in Burundi e le cui notti sono lacerate dagli spari. Ma dov’è lui, il figlio dell’uomo, il signore della casa, la persona in viaggio? Francamente non lo so. Ma forse mi aiuta un suo connazionale, un ebreo folle (o profeta lui pure), un ebreo che – dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale – ha scritto: «La lotta per sopravvivere comincia qui, in questa camera nella quale noi siamo seduti. Che il Messia venga o no, poco importa. Occorrerà che ci sbrogliamo senza di lui. È perché è troppo tardi che noi dobbiamo sperare. Noi saremo onesti e umili e forti, e allora egli verrà, verrà ogni giorno, mille volte al giorno. Non avrà volto, perché avrà mille volti. Il Messia non è un solo uomo… è tutti gli uomini. E finché ci saranno uomini, ci sarà un Messia. Un giorno voi canterete, e lui canterà in voi»[6].

Per un’introduzione sintetica e globale alla lettura del vangelo secondo Marco, vangelo dell’anno liturgico 2020-2021 nel rito romano, è disponibile su internet la registrazione di una conversazione del Prof. Ernesto Borghi, tenuta presso la Chiesa evangelica riformata di Muralto (cfr. si utilizzi pure il seguente link: https://youtu.be/kmwu55Z42yg)

Giovanni 5,33-39 (rito ambrosiano – commento di Fabrizio Filiberti[7])

«In quel tempo il Signore Gesù disse: «33Voi avete inviato (messaggeri) presso Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità.  34Io non da parte di un essere umano ricevo testimonianza. ma queste cose dico perché voi siate salvati. 35Egli era la lampada, quella che arde e brilla, ma voi solo per un momento1 voleste rallegrarvi fieramente nella sua luce. 36Quanto a me, io ho una testimonianza più grande di quella di Giovanni: infatti le opere che il Padre mi ha dato perché io le porti a compimento, queste stesse opere che io faccio, esse testimoniano, a mio riguardo, che il Padre mi ha mandato. 37E anche colui che mi ha mandato – (cioè) il Padre –, ha reso testimonianza a mio riguardo. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, 38e non avete la sua parola che dimora in voi, perché colui che egli ha mandato, proprio a lui2, voi non credete[8]. 39Voi scrutate le Scritture perché pensate che in esse abbiate vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza»».

Questo è un brano importante, nel quale il Gesù giovanneo esprime il senso della presenza di Giovanni il Battezzatore e la funzione propria nel rapporto con il dono della pienezza di vita agli esseri umani. Questo passo fa parte di una pagina giovannea (vv. 19-47) di chiara attenzione cristologica: elementi della tradizione giudaica (Figlio dell’Uomo, giudizio) sono utilizzati per disegnare la figura del Figlio del Padre, sviluppo e compimento delle promesse e delle Scritture. La lunga replica ai Giudei dopo la guarigione (1-16) ha elementi di collegamento con la discussione sui rapporti di Gesù con il Battezzatore (cfr. 3,22-36). Vediamo alcuni aspetti proposti dal brano che sarà meditato nelle celebrazioni eucaristiche.

Nei vv. 33-35 già l’esempio del Battezzatore conferma il principio. Interrogato dai giudei, testimonia non se stesso, ma la «verità» (1,34). È un dato che non può essere ignorato, benché insufficiente: egli è però il precursore (»lampada» della «Luce», come l’Elia atteso – cfr. Mal 3,23-24). Ma i giudei non l’hanno preso sul serio, se non «per un momento». Testimonianza debole? Ecco perché la testimonianza vera non è «da parte di un essere umano», ma viene direttamente dal Padre (v. 34; nel v. 32 sotteso a quel «egli»). Come?

Il v. 36 evidenzia un dato eloquente: il modo «più grande» sono le «opere che il Padre mi ha dato perché le porti a compimento», quelle che «io faccio»: come la guarigione di cui sono stati spettatori poco prima. Un agire testimoniale che iscrive Gesù nella linea degli inviati a Israele (cfr. Mc 12,1-12).

E nei vv. 37-40 ancora più ampia è la testimonianza diretta e definitiva del Padre. Si può pensare alla globale testimonianza delle Scritture (v. 39). I Giudei pensano di avere in esse la vita, ma sono da loro disattese perché lette in modo esteriore, affidandosi – direbbe Paolo – alla lettera senza coglierne lo spirito. È già l’eco di un rabbinismo che, dopo il 70 d.C. e la fine del Secondo Tempio, si focalizza sulla Torah, sulla sua interpretazione, non cogliendone il «compimento» già avvenuto. I giudei non hanno così in loro «la parola» di Dio, mai hanno udito la sua voce, né visto il suo volto (v. 37b). Voce e volto che ora sono in Gesù (1,18). Il rifiuto è relativo a quel Figlio – il Figlio unigenito – incontrato sulle strade della Palestina. Il brano arriva a compimento con il v. 40: «Non volete venire presso di me per avere la vita».

Per un incontro multidisplinare (bibbia-arte-musica) con la figura di Giovanni il battezzatore, è disponibile su internet la registrazione di una conversazione a tre voci, ossia il Prof. Ernesto Borghi, il musicologo Pietro Zappalà (Università di Pavia) e lo storico dell’arte Stefano Zuffi (Amici di Brera/Amici del Poldi Pezzoli) tenuta presso il Centro Scolastico Canavée di Mendrisio (cfr. si utilizzi pure il seguente link: https://youtu.be/CcDmHioQZhM)


[1] Per avere accesso ai volumi di dette traduzioni, ci si rivolga pure a: info@absi.ch

[2] Nato a Scudellate (Svizzera) nel 1945, sposato, padre di due figlie e due figli, nonno di quattro nipoti, dottore di ricerca in lettere antiche e in teologia (Nuovo Testamento) presso l’Università di Fribourg, ha insegnato per molti anni greco e storia delle religioni nei licei cantonali. Animatore biblico e cultural-religioso tra la Svizzera, l’Italia e il Burundi (Centro Giovani «Kamenge», Bujumbura), fondatore dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana e membro del comitato di redazione della rivista «Parola&parole», è impegnato da decenni nella formazione biblica ad ampio raggio e nel dialogo interreligioso.

[3] Alcuni manoscritti aggiungono: «e pregate».

[4] Dieci volte nella LXX e solo quattro nel NT. In origine questo stesso verbo (in greco agr-ypnéo) probabilmente indicava un «dormire in campagna» o forse un «cercare di prendere sonno, ma inutilmente, in campagna».

[5] In tutto il NT, al di fuori di Mc 13,34, il sostantivo ricorre solo in Gv 10,3 e 18,16.17. D’altronde, nella LXX, lo stesso sostantivo non è affatto frequente: lo si incontra soltanto in 2Sam 4,6; 2Re 7,11; 1Esd 1,15; 5,28.45; 7,9; 8,5.22; 9,25; Ez 44,11.

[6] E. Wiesel, Le porte della foresta, Longanesi, Milano 1989, pp. 261.

[7] Nato a Novara nel 1958, sposato e padre di famiglia, è stato per molti anni e sino al 2019 docente di religione cattolica nelle scuole superiori italiane. Impegnato da tanto tempo nella divulgazione biblica, teologica e storico-religiosa, presiede «Città di Dio«, Associazione ecumenica di cultura religiosa (www.cittadidio.it) di Invorio (NO). Tra i suoi libri: Piccoli, poveri e peccatori, ilmiolibro.it, Roma 2012; (con M. Simonotti), Sulla cattiva strada. la spiritualità di Fabrizio De André, Moretti & Vitali, Bergamo 2014; Resurrexit. L’annuncio cristiano in discussione, ilmiolibro.it, Roma 2015.

[8] Si noti come, attraverso una forma grammaticale ›scorretta’, il narratore dia risalto alla assenza di fede negli interlocutori di Gesù: «colui che (il Padre) ha mandato, proprio a lui voi non credete».

28 Novembre 2020 | 14:47
Tempo di lettura: ca. 9 min.
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