Santi

Il 4 agosto memoria liturgica di san Giovanni Maria Vianney: la prima regola è far straripare il cuore

«Bisogna avere un cuore liquido», perché «essere missionario è lasciare straripare il proprio cuore». Sono parole che il santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney (1786-1859), amava ripetere e soprattutto tradurre in gesti concreti. Parole che divennero regola di vita per questo umile e semplice sacerdote che si è letteralmente consumato fino a lasciarsi sciogliere il cuore per versare sui fratelli tutto il suo contenuto di bontà e di compassione.
Un gigante della fede, la cui grandezza, però, si evidenziava nel sentirsi un povero peccatore bisognoso di perdono, consapevole che, tramite quel corpo fragile e quelle mani alzate al cielo, il fiume della misericordia di Dio si sarebbe riversato sulle anime.
Aveva un forte senso della fragilità umana e del timore di Dio che lo spingevano a fare penitenza, a volte anche dura, ma sempre rivolta alla conversione e a una più stretta unione con Cristo. Ciò gli permetteva di vedere dei potenziali santi in tutti i fedeli di cui era pastore, grazie a quella misericordia di cui si sentiva annunciatore e strumento. Era convinto che chiunque potesse emendarsi e cambiare vita, anche il più grande peccatore. Perciò ripeteva spesso che «I santi non hanno tutti ben iniziato, ma hanno tutti ben finito!».
Fin da piccolo, Giovanni Maria aveva imparato a donarsi e ad aiutare gli altri. Era nato a Dardilly, nei pressi di Lione, l’8 maggio 1786, in una famiglia di contadini. Ferventi cristiani, i genitori contavano su di lui per farsi aiutare nel duro lavoro dei campi. Ma la provvidenza aveva altri progetti. Dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, il parroco di Dardilly giurò sulla Costituzione civile del clero. I Vianney, coerenti cristiani, non vollero neppure sentir parlare di seguire un sacerdote che non accettava l’autorità del Papa e quindi entrarono nel circolo di fedeli che si riuniva intorno a un prete «refrattario», cioè che si rifiutava di prestare quel giuramento. La testimonianza forte dei genitori e il coraggio del prete refrattario segnarono l’animo del giovane che decise di diventare sacerdote per «guadagnare delle anime al Buon Dio». C’era però un ostacolo da superare: non aveva istruzione. E qui intervenne don Balley, il parroco del vicino paese di Écull, che iniziò a insegnargli la grammatica latina. Purtroppo, il 28 ottobre 1809, la chiamata alle armi nell’esercito napoleonico interruppe la formazione del giovane che però, riuscì a disertare e, sebbene ricercato, a nascondersi grazie all’aiuto di persone volenterose. Non voleva assolutamente servire in un esercito nemico del Papa dove sarebbe stato spinto a uccidere altri fratelli.
Nella primavera del 1811, sicuro della sua vocazione, Vianney riprese gli studi da don Balley, il quale si spese presso i superiori per farlo ammettere, dopo grandi difficoltà, agli ordini sacri. Giovanni Maria venne ordinato sacerdote il 13 agosto 1815.
Per due anni, fino alla morte di don Balley, rimase a Écully. Dal parroco apprese, con accenti giansenisti, un profondo senso del peccato e il bisogno di penitenza per riconciliarsi con Dio. Nel febbraio 1818, l’obbedienza del vescovo lo chiamò a occuparsi della parrocchia di Ars, «l’ultimo villaggio della diocesi» con poco più di 200 abitanti. Erano quasi tutti contadini di umili condizioni, che vivevano una religiosità superficiale anche se non segnata da anticlericalismo. Quando giunse lì, il santo curato trovò una vera e propria desolazione spirituale. Ciononostante riuscì a compiere il miracolo. Iniziò a predicare contro i vizi dell’epoca che rispecchiavano la secolarizzazione intervenuta dopo la Rivoluzione. Tuonò contro quanti non rispettavano il precetto festivo e si perdevano nelle osterie. Soprattutto, scelse di rendere viva la sua chiesa: l’apriva prima dell’alba e vi rimaneva fino all’Angelus della sera. Tutti sapevano dove cercarlo.
I primi tempi furono duri. Si ritrovò solo, senza molta esperienza pastorale a dover affrontare l’indifferenza dei parrocchiani. Ma Giovanni Maria non si perse d’animo. Iniziò a pregare sempre più intensamente davanti al Santissimo Sacramento e alla statua della Madonna. Le penitenze e i digiuni non fecero altro che completare quella donazione interiore ai fratelli che caratterizzò tutta la sua azione. Iniziò a visitare i malati e le famiglie bisognose. Organizzò missioni popolari e feste patronali; promosse raccolte di denaro per le missioni e le opere di carità. Curò anche la chiesa, rendendola più bella specialmente per le celebrazioni solenni. Si dedicò alle orfane e per loro fondò l’istituto della «Providence». Memore del suo passato di analfabeta, pensò poi all’istruzione dei bambini affidandoli ad alcune educatrici. Aprì infine delle confraternite per coinvolgere i laici nella vita sacramentale.
La parrocchia divenne la sua casa. Lo stile di vita fece il resto, divenendo testimonianza eloquente dei valori del Vangelo agli occhi dei fedeli. A poco a poco, il muro di diffidenza e di apatia iniziò a crollare e i parrocchiani si coinvolsero nell’opera di carità e di evangelizzazione. La semplice povertà di Giovanni Maria parlava molto più dei suoi sermoni e la gente, anche quella dei paesi vicini, cominciò ad affollarsi intorno al suo confessionale. Fu quello il luogo in cui avvennero strepitosi miracoli con i quali la misericordia divina straripò sui peccatori. I fedeli trovavano in lui un padre, un fratello, un amico a cui ricorrere per riconciliarsi con Dio. Un giorno un fedele davanti al confessionale vide Giovanni Maria piangere e gli chiese: «Signor curato perché piange?». «Piango per quello che voi non piangete», rispose. La sua immedesimazione con gli altri fu totale, come lo fu il dono della sua vita.
Il santo curato tentò addirittura per tre volte di fuggire da Ars sentendosi indegno di essere parroco. Ogni volta i parrocchiani lo ripresero e lo riportarono indietro. Ormai non potevano più fare a meno di quel prete che insegnava loro ad amare Dio e il prossimo e parlava di felicità immensa e di misericordia infinita di Dio.
Consumatosi giorno per giorno, morì il 4 agosto 1859. Ai suoi funerali parteciparono fedeli provenienti da tutta la regione. L’8 gennaio 1905 Pio X lo beatificò e il 31 maggio 1925 Pio XI lo canonizzò. I Pontefici hanno sempre guardato al santo curato come a un prete modello. Gli anniversari terreni di san Giovanni Maria sono sempre stati momenti privilegiati per rivolgere messaggi ai sacerdoti da parte dei Pontefici. A cominciare da Pio XI che nel 1929 lo proclamò patrono di tutti i parroci del mondo. Giovanni XXIII, il 1° agosto 1959, in occasione del centenario della morte del santo, gli dedicò un’enciclica: Sacerdotii nostri primordia. Giovanni Paolo II, il Giovedì santo del 1986, scrisse una lettera ai preti, a duecento anni della nascita di Vianney, e il successivo 6 ottobre visitò il santuario di Ars e dedicò al curato ampio spazio della meditazione tenuta durante il ritiro spirituale per i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi. Benedetto XVI si rivolse ai preti con una lettera in occasione del 150° anniversario della morte del santo, annunciando l’indizione di un Anno sacerdotale dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010.
L’Osservatore Romano, 3-4 agosto 2019.

(pubblicato su Il Sismografo)

4 Agosto 2019 | 11:00
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