Internazionale

Pakistan, dopo l’assoluzione di Asia Bibi la «legge di blasfemia» al centro del dibattito

Ha confessato di «aver pianto di gioia» quando, nel 2010, Asia Bibi fu condannata alla forca dopo una denuncia da lui organizzata e la testimonianza rilasciata in tribunale. Qari Mohammad Salim non ha avuto una parola di pentimento dopo che i giudici della Corte Suprema, il 31 ottobre scorso, hanno assolto la donna pakistana dal reato di blasfemia. Salim è l’imam che nel 2009, dopo aver consultato le due donne musulmane Asma e Mafia, colleghe di lavoro di Asia Bibi, concertò con loro la falsa denuncia per blasfemia. Dando così la stura a un calvario che è tuttora in corso, mentre la donna, rilasciata dal carcere, è sotto stretta sorveglianza, in un luogo segreto, per tenerla lontana da quanti vorrebbero ucciderla, ritenendola, comunque e nonostante tutto, «blasfema».

Ora, però, per Qari Mohammad Salim i nodi potrebbero venire al pettine. Lo sperano in molti in Pakistan, cristiani e musulmani, analisti e commentatori e che promuovono la revisione della legge dei blasfemia. Non per poterla abrogare (cosa impossibile dato il contesto sociale), ma almeno per impedirne gli abusi: per evitare, cioè, che sia facilmente utilizzata come una «clava» per colpire avversari in vendette private, in controversie che nulla hanno di religioso.

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23 Novembre 2018 | 06:10
Tempo di lettura: ca. 1 min.
AsiaBibi (31), blasfemia (6), libertà (19), Pakistan (44)
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