Ticino e Grigionitaliano

Il Vescovo Valerio sulla religione alle scuole medie

Comunicato stampa

 

Nelle conclusioni del «Rapporto del Consiglio di Stato sull’iniziativa parlamentare presentata in forma elaborata il 2 dicembre 2002 da Laura Sadis (Modifica dell’art. 23 della legge sulla scuola del 1° febbraio 1990, insegnamento religioso)», si legge una frase che, da parte della Chiesa cattolica, richiede una precisazione. Vi si afferma, infatti, che «il mancato consenso da parte di tutte le chiese riconosciute appare essere oggi un ostacolo insormontabile per dei passi concreti nella direzione auspicata dagli iniziativisti». Questo potrebbe impropriamente far pensare che la Chiesa cattolica non sia preoccupata, come altre istanze della società e della politica ticinese, per la diminuzione della frequenza ai corsi di insegnamento religioso nella scuola ticinese e il conseguente aumento di allievi che, durante la scuola dell’obbligo, non ricevono alcun tipo di formazione alla dimensione culturale delle religioni. Ciò non corrisponde alla realtà. Il numero crescente di allievi ticinesi che lasciano la scuola dell’obbligo senza essere stati adeguatamente preparati a leggere e interpretare una realtà segnata dalla presenza di diverse espressioni del fenomeno religioso non può lasciare nessuno indifferente. In questa linea, da sempre, la Chiesa cattolica si è mostrata favorevole a un impegno dello Stato in questo settore, in particolare, a vantaggio di tutti quei ragazzi e giovani che, a livello di scuola media, non si avvalgono dell’insegnamento religioso offerto dalle chiese riconosciute. Per tale parte della popolazione scolastica ticinese, attualmente senza alcuna formazione alla dimensione culturale del fenomeno religioso, lo Stato potrebbe proporre un corso di storia delle religioni da inserire in alternativa all’insegnamento religioso delle chiese da essa non frequentato. Tale opzione – denominata «sistema misto» – rimane a nostro avviso quella preferibile e auspicabile in questo momento nel nostro particolare contesto storico-culturale. L’annuncio che la situazione presente non subirà nessun cambiamento non è perciò positivo neanche per la Chiesa cattolica. È evidente che l’attuale sistema dell’iscrizione facoltativa all’insegnamento religioso confessionale non permette alle chiese riconosciute, lasciate da sole, di realizzare l’obiettivo di una più adeguata formazione delle nuove generazioni alla dimensione culturale delle religioni. Nessuno può rallegrarsi dello scarso esito della sperimentazione e, soprattutto, del diffondersi dell’ignoranza in questo ambito così delicato per la vita dei singoli e della società. L’auspicio è però che in futuro la ricerca delle soluzioni non avvenga più, come finora, chiedendo semplicemente alle chiese di ritirarsi dalla scuola per far posto a proposte volte ad accontentare formalmente un po’ tutti senza soddisfare realmente nessuno. Di fatto, riteniamo che l’idea di uno spazio per la storia delle religioni – e magari anche per la civica! – da trovare indebolendo ulteriormente l’attuale insegnamento religioso affidato alle chiese, non risolve il problema di fondo. Non solo perché il numero delle ore per questi diversi insegnamenti risulterebbe assai ridotto e non solo per gli ulteriori problemi didattici che occorrerebbe risolvere, ma soprattutto perché tale proposta avrebbe dovuto trovare realizzazione ricorrendo unicamente ai docenti di storia, non qualificati per questa disciplina e obbligati ad assumersi il compito di due (storia e storia delle religioni) o addirittura tre ambiti disciplinari (storia, storia delle religioni e civica) contemporaneamente. Introdurre una o due ore al mese di storia delle religioni, come proposto dal Dipartimento, attribuendole al docente di storia, avrebbe potuto forse ridurre l’impressione di delusione provocata dal preavviso negativo dato all’iniziativa parlamentare Sadis/Quadranti e alla sperimentazione. Non riteniamo però che sarebbe stato un passo nella giusta direzione. Il ruolo che la Chiesa cattolica ha nell’insegnamento della dimensione culturale del fenomeno religioso nella scuola ticinese, è garantito dalle attuali leggi dello Stato e regolato da una Convenzione tra chiese riconosciute e Consiglio di Stato. D’altro canto, l’introduzione di nuovi insegnamenti nella scuola non dipende dalle chiese. Questo può essere da loro auspicato, senza che questo comprometta ulteriormente la situazione attuale, ma non da loro direttamente promosso. È comprensibile però che la Chiesa cattolica cerchi di continuare ad avere le condizioni minime per svolgere il compito che le è stato affidato, senza subire diminuzioni di orario, oltretutto non compensate da insegnamenti alternativi capaci di offrire sufficienti garanzie di qualità scientifica e di specificità di approccio. C’è da sperare che nella prossima legislatura il dibattito possa essere ripreso in Parlamento e trovare migliori canali di sviluppo, forse senza pretendere di sciogliere le perplessità di tutti, ma almeno evitando l’insoddisfazione di molti.

27 Marzo 2015 | 11:10
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